Capitolo 9. Il Reggio approach (Francesca Cianflone)
Nella rete delle scuole reggiane
(materne e nidi comunali) si è andata sempre più consolidando un modello
culturalista applicato alla pedagogia della scuola. Esso si basa
sull’esaltazione di pratiche progettuali quali: costruzione di contesti di
apprendimento multipli, riflessione rispetto alle pratiche di ricerca educativa
e documentazione del rapporto individuo-ambiente. I percorsi educativi scelti
dagli adulti e le loro credenze influenzano i processi cognitivi dei bambini.
Nel modello reggiano emerge un atteggiamento orientato verso la pratica e la consapevolezza
della necessità che la scuola si qualifichi come luogo di ricerca e
innovazione. Ciò in primis coinvolge la formazione degli insegnanti come presa
di coscienza della complessità della loro funzione e delle variabili che
concorrono al processo formativo. A testimoniare il rilievo pedagogico
internazionale assunto dal “Reggio Approach” oltre alle illustri collaborazioni
di Bruner,Gardner, Forman sono anche le numerose delegazioni che hanno visitato
gli asili di Reggio Emilia tra il 1981 ed il 1999 e la proposta di masters
offerta dal Reggio Children, tutti aspetti che attestano il consolidamento di
una serie di pratiche educative in una struttura pedagogica permanente,
trasformatesi ormai in un format ed approach. L’innovazione pedagogica di cui si è fatto promotore il modello
reggiano è profondamente radicato nella città stessa (cit.Bruner). Il percorso
di sviluppo delle scuole di Reggio
Emilia è stato inizialmente di tipo socio-politico e successivamente ha assunto
una schietta legittimazione pedagogica. L’esperienza delle scuole materne
comunali di Reggio Emilia nasce nel primo dopoguerra e si concretizza, nel
1963, con la fondazione della prima scuola materna di Villa Cella. Animatore
del progetto pedagogico reggiano dai primordi
fino agli anni ’90 fu Loris Malaguzzi che, con Bruno Ciari furono più in
generale i promotori del movimento che dalle scuole attive conduce alle
esperienze della “pedagogia alternativa”. Le spinte culturali e sociali del
movimento degli asili comunali negli anni ‘60/’70 hanno dato origine ad un
progetto organico che attraverso la gestione sociale di una scuola
culturalmente aperta al territorio, mirava a correggere tutte le distorsioni
prodotte da un apparato antidemocratico. I collettivi, che costituivano i
luoghi di rottura delle logiche tradizionali, nelle scuole reggiane diventano
il principale referente pedagogico per il bambino, non più il singolo
individuo. Gli adulti sono considerati figure educative a prescindere dal loro ruolo all’interno
della scuola. Proprio dell’approccio culturalista è l’idea dello sviluppo centrato
sull’immersione del bambino nelle pratiche, nei linguaggi e nelle strutture
dell’ambiente, una visione fortemente ecologica dell’educazione. Tenendo conto
di questi aspetti la gestione delle scuole “a nuovo indirizzo” non estrometteva
la famiglia dall’educazione dei figli ma le assegnava una funzione essenziale.
La filosofia dell’accoglienza e della continuità tra scuola e famiglia
costituisce lo stile pedagogico che ha improntato le scuole reggiane fino ad
oggi nella consapevolezza che solo con il superamento della relazione
asimmetrica tra insegnante e genitore sia possibile realizzare un percorso
educativo fondato sulla reciprocità. Questo presupposto nel tempo si è
declinato nel concetto di “pedagogia relazionale”, secondo cui una motivata e
partecipata relazione sociale sia lo sfondo per i fenomeni dell’apprendimento.
La scuola deve prima di tutto assicurare al fanciullo una favorevole situazione
sociale ed emotiva, solo così essa può davvero fare cultura. La pedagogia
relazionale si basa sulla volontà di emancipare la cultura infantile intesa
nella sua eccezione di diritto del bambino piuttosto che come funzione sociale
o come percorso di emancipazione di classe. Con la sua complessità e
pluridimensionalità l’approccio reggiano insegna al bambino a districarsi tra
le ambiguità del reale, poiché maggiore sarà la varietà del materiale, più
produttive saranno le ipotesi, le scoperte e le invenzioni dei bambini. Il
modello pedagogico reggiano attinge i suoi riferimenti non solo dal
costruttivismo di Bruner, di Doise e di Megny, ma ancor più dal pensiero di
Gregory Bateson, per il quale il sapere è costruito e negoziato nella relazione
tra bambino e adulto, che insieme si interrogano, si ascoltano e si danno
risposte. Il Reggio Approach ha operato una rivoluzione didattica concependo la
scuola come unico grande atelier di ricerca e sperimentazione, laboratorio per
l’apprendimento, individuale e di gruppo e l’educazione come autoeducazione, in
cui il soggetto interagendo con il reale lo costruisce e decostruisce
liberamente. Molto rilievo nella didattica reggiana ha la documentazione, come
pratica volta garantire non solo la comunicazione trasparente tra scuola e
famiglia ma anche una riflessione e rimemorazione continua per ragionare sulle
opzioni possibili delle esperienze proposte .