Conclusione: valutazione e ricerca (Alice Zangirolami)
Sebbene sia palese che nella valutazione di un intervento formativo, si debba tenere conto degli avvenuti apprendimenti dei singoli, è comunque comune in questo campo concepirne la validità nel momento in cui la valutazione viene condotta secondo canoni per lo più “scientifici”: la sofisticata strumentazione oggi diffusa consente, infatti, l’alta attendibilità dei risultati, ma nonostante questo non coglie la significatività dell’esperienza soggettiva se condotta senza considerare un quadro d’insieme, sia per quanto riguarda metodi quantitativi, sia per ciò che concerne criteri qualitativi.
Inoltre, è opportuno ricordare come ogni ricercatore si muova nella direzione di un proprio interesse di ricerca, che inevitabilmente è in grado di influenzare l’approccio di quest’ultimo nei confronti dei risultati del progetto.
La professionalizzazione della valutazione non è affatto auspicabile in campo educativo, non si può avere lo stesso “livello di certezza” in partenza, per tutti i casi: la soggettività del ricercatore rappresenta di fatto una qualità, in quanto un intervento pedagogico è condotto non per ricercare la “verità”, ma sempre per portare alla luce inedite consapevolezze, corroborare precedenti teorie oppure dare luogo ad un nuovo problema conoscitivo.
La peculiarità di un intervento in educazione è quindi identificata dal connubio ricerca-valutazione: ogni intento di valutazione è necessariamente guidato da una logica di ricerca, dal momento che ogni singolo evento viene condotto in ragione dell’esistenza di una tematica comune. Qualunque procedimento, in questo senso, viene condotto per mezzo della presenza di doti sociali nel ricercatore, quali empatia e potenza creativa, per cui la pretesa “scientificità” della valutazione deve essere abbandonata in ambito pedagogico, giacché non esistono dettami che decidono una rigida pratica da seguire.
Perciò considerare che in educazione ogni singolo caso da valutare presenta costantemente anche modalità di ricerca, significa che ciascuna esigenza di valutazione mette in scena un intento conoscitivo, un problema che richiede un intervento formativo ed è connesso all’esistenza di questioni di portata più generale, comunemente già trattate con formulazioni di teorie e congetture.
L’approccio positivista stenta a riconoscere che la valutazione possegga intento di ricerca, considerando i due momenti (valutazione e ricerca) come fasi nettamente distinte. Nella concezione di matrice classica, perciò, ogni ricerca condotta su un singolo caso e singolo gruppo intende raccogliere dati che spieghino le relazioni tra fattori, che offrano insights che possono successivamente essere estesi alla popolazione di riferimento.
In realtà, in educazione, lo studio di un singolo caso, data la sua specificità, conta solo per quel caso, non si presuppone la trasferibilità statistica dei risultati alla classe di casi che si intende rappresentare, se il case study non viene riconosciuto come portatore di particolare significatività nel quadro di riferimento, composto da esperienze e asserti, dello studioso, poiché risulta fondamentale, nella sfera formativa, il contesto in cui l’azione si svolge.
Una prassi valutativa che viene spesso utilizzata è lo studio di caso comparativo, con cui si cerca di individuare analogie o differenze tra due singoli casi.
Si può concludere quindi affermando che l’indagine valutativa è indubbiamente sempre uno studio di caso, il quale, partendo dalla particolarità della situazione, consente l’esplorazione e la rappresentazione qualitativa del singolo evento educativo.