La prevenzione HIV di Manuela Letizia

Gli effetti secondari dei farmaci Anti-HIV

Esistono degli effetti secondari negativi nell’utilizzo dei farmaci Anti-HIV. Le persone che usano questi medicinali conducono vite più lunghe e più sane; obiettivo del trattamento è quello di ridurre la quantità di virus nel corpo dell’individuo infettato e impedire la distruzione del sistema immune. I farmaci [E1] [Es1] che sono stati approvati dagli USA per la gestione della droga e il trattamento di HIV devono essere assunti in associazione ma i loro effetti secondari [E1] [E2] [E3] sono:

La caratteristica degli inibitori di proteasi e degli inibitori non nucleosidici di transcriptase inversa è la loro interazione con il citocromo epatico p450, che è un sistema di enzimi del fegato deputati al metabolismo dei farmaci. Gli inibitori di proteasi sono capaci di influenzare il metabolismo di altri farmaci e per questo motivo devono essere effettuati spesso aggiustamenti di dosaggio e cambiamenti di farmaci. Alcune interazioni possono essere usate a fini terapeutici, ad esempio il Ritronavir (inibitore del citocromo p450) può aumentare i livelli plasmatici di altri inibitori o migliorare la farmacocinetica [I1].
Il problema della tollerabilità della terapia HAART è uno dei problemi che limita l’efficacia del trattamento. Si segnalano infatti numerose reazioni avverse, in particolare con l’impiego su vasta scala di inibitori di proteasi. Vari regimi terapeutici prevedono l’utilizzo di farmaci in associazione e i pazienti spesso hanno già utilizzato terapie con altri antiretrovirali; per questo motivo è difficile attribuire un evento avverso ad un preciso farmaco. Sembra diventare evidente che la comparsa di eventi avversi sia la conseguenza dell’attività dei farmaci che si potenziano tra loro e, per questo motivo, si parla di tossicità da HAART [E1] [I1] [E2].
Per curare efficacemente i pazienti che sviluppano un effetto secondario ad una droga nel loro primo regime terapeutico, si cambia la droga offendente nel regime. Più difficile è il caso in cui i pazienti affetti da HIV che hanno avvertito la tossicità, o un guasto virologico, o resistenza a più droghe, hanno bisogno di un nuovo regime terapeutico.

Le tossicità acute

La maggior parte delle tossicità non minacciano la vita ma la loro qualità e la compiacenza dei pazienti che devono seguire le terapie.
In parecchi studi si è notato come le tossicità fossero motivo comune di cambiamento dei regimi. Nausea, vomito e diarrea sono i sintomi più citati. La maggior parte dei cambiamenti terapeutici avviene nei primi tre mesi e la maggioranza dei pazienti, degli studi effettuati, seguiva un regime basato su inibitori di proteasi.
Emicrania, affaticamento e anomalie nelle prove ematologiche riguardanti le funzioni epatiche sono sintomi di tossicità ma, poiché molti pazienti migliorano le loro condizioni da subito, i medici possono provare a controllare gli effetti secondari con cure palliative di breve durata. La decisione di cambiare i farmaci deve essere presa in considerazione della severità dei sintomi e dell’efficacia delle cure palliative e delle opzioni per le eventuali sostituzioni, compresi i rischi.

Le tossicità croniche

Sono tossicità che emergono mesi o anni dopo l’inizio delle cure con farmaci antiretrovirali ed includono:

  • neuropatie [E1];
  • cambiamenti corporei dovuti a lipodistrofia [E1];
  • problemi metabolici (ad esempio: resistenza all’insulina e dislipidemia connesse all’aumentato rischio di disturbi vascolari).

Lipoatrofia

In diversi studi si è notato come la lipoatrofia (che consiste in una perdita di grasso sottocutaneo nella faccia, nei glutei e negli arti, come conseguenza della lipodistrofia) sia associata all’uso di Timidina ed in particolare di Stavudine. Si è pensato per un po’ di tempo che la perdita di grasso fosse irreversibile ma alcuni studi stanno mettendo in evidenza che la sostituzione dello Stavudine con lo Zidovudine può rimediare al problema, o anche con Abacavir.

L’accumulazione di grasso

L’aumento di grasso viscerale è stato collegato epidemiologicamente all’uso dell’inibitore di proteasi.
In diversi piccoli studi si è cercato di vedere l’effetto sul grasso del tronco in pazienti ai quali era stato mutato il regime con farmaci non contenenti inibitori di proteasi; purtroppo non sono stati ben controllati, quindi si sono verificati difetti nei risultati. In studi in cui i soggetti sono stati presi con scelta casuale, si sono registrate, in alcuni di questi, riduzioni elevate di grasso dopo esser passati da regimi contenenti inibitori di proteasi ad Abacavir (NRTI), rispetto a coloro che hanno continuato la terapia con inibitori di proteasi; in altri soggetti, ai quali è stato modificato il regime invece, si è registrato un peggioramento della lipoatrofia.

La Dislipidemia

L’Ipertrigligeridemia e l’Ipercolesterolemia sono stati associati all’uso di inibitori specifici di proteasi. Si tratta di problemi che compaiono poche settimane dopo l’inizio delle terapie ma fortunatamente possono essere controllate con successo cambiando il tipo di inibitore di proteasi o altri farmaci antiretrovirali.

La resistenza all’insulina/Diabete mellito

L’effetto della sostituzione della droga è stato osservato meno bene per quanto riguarda la resistenza all’insulina. L’Indinavir (Pi) causa in modo chiaro una diminuizione di sensibilità all’insulina una volta somministrata ai volontari non infetti da HIV. I dati degli esperimenti effettuati in vitro e le associazioni al Diabete mellito con l’uso dell’inibitore di proteasi, suggeriscono che alcune droghe possono causare direttamente e indirettamente resistenza all’insulina. Cambiando il tipo di farmaco sembra registrarsi un effetto favorevole. Non esistono dati disponibili sull’efficacia di una simile strategia per impedire il diabete mellito, però la sostituzione dell’inibitore di proteasi, con un’altra droga, può essere la soluzione per pazienti con altri fattori di rischio quali l’obesità e la storia familiare.

Le tossicità mortali

Le tossicità che minacciano la vita dei pazienti sono rare ma rimangono comunque una motivazione importante per la decisione di cambiare regime terapeutico. Severe sono: la Sindrome di Stevens – Johnson e l’Eritema multiforme. Quelle potenzialmente mortali sono collegate con lo Stavudine (NRTI) ma ne sono state segnalate anche a seguito dell’uso di altri inibitori di transcriptase inverso del nucleoside.
Nel caso di acidosi lattica è stato suggerito di cambiare l’agente offendente (solitamente Stavudine o Didanosine) con analoghi alternativi del nucleoside che non danneggino i mitocondri.

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Edurete.org Roberto Trinchero