Il vaccino italiano Tat
Il vaccino italiano Tat è stato studiato dal gruppo di laboratorio di virologia dell’Istituto Superiore di Sanità diretto dalla Dottoressa Barbara Ensoli. E’ basato sull’utilizzazione della proteina Tat regolatoria dell’HIV-1, prodotta subito dopo l’entrata del virus nella cellula e fondamentale per la replicazione del virus e per la progressione verso la malattia
[I1]. Dagli studi sugli animali si è osservato che la proteina non ha effetti tossici e induce a risposta immunitaria completa (anticorporale e cellulare) in grado di bloccare la replicazione del virus e quindi lo sviluppo della malattia. E’ diverso dagli altri vaccini anti-HIV (che hanno come bersaglio le proteine strutturali che costituiscono l’involucro esterno del virus e hanno lo scopo di indurre immunità sterilizzante, cioè evitare l’infezione). Non previene l’infezione dei linfociti T ma controlla precocemente la replicazione del virus con il risultato di contenere la replicazione virale e bloccare la progressione verso la malattia; la riduzione della carica virale permette di diminuire così la trasmissione tra la popolazione. Tat inoltre, a differenza degli altri vaccini, non induce sieropositività quindi gli individui non risulteranno positivi ai test usati per la diagnostica dell’infezione da HIV.
Altro vantaggio è che la proteina Tat è la stessa nei diversi sottotipi virali presenti nella popolazione mondiale, quindi può funzionare in tutti i continenti; ciò significa che può essere somministrato sia nei paesi sviluppati, sia in quelli in via di sviluppo.
Lo studio di coorte e studi preclinici
Nello studio di coorte è stato dimostrato che negli individui in cui si era verificata una risposta immune alla proteina, a seguito di un’infezione virale, si osservava un rischio di progressione della malattia molto minore rispetto agli individui privi di essa. Ciò stava a significare che la presenza di anticorpi contro la proteina Tat rappresenta un marcatore di controllo della malattia.
Gli studi preclinici sono stati eseguiti su roditori (porcellini d’India) per verificare che la somministrazione del prodotto non inducesse tossicità, sia di tipo acuto che di tipo cronico (dopo somministrazioni ripetute del vaccino), utilizzando differenti concentrazioni e vie di somministrazione. Il vaccino è risultato innocuo su tutti i roditori utilizzati, sia quelli immuno-competenti (e quindi incapaci di reagire e sviluppare una risposta immune), sia su quelli “nudi”, cioè vulnerabili, selezionati geneticamente allo scopo di ottenere sistemi immuni gravemente compromessi o praticamente inesistenti. Dai roditori si è passati poi alle scimmie che sono animali più vicini all’uomo e sulle quali sono stati eseguiti test sull’innoquità, l’immunogenicità e l’efficacia del vaccino. Poiché non era possibile infettare con HIV le scimmie, i ricercatori hanno usato una chimera, ossia un virus misto fatto di parti di HIV e parti di SIV (Simian Immunodeficiency Virus, variante del virus che infetta le scimmie), ottenendo così un modello di studio sovrapponibile a quello umano. Le scimmie sono state sottoposte a vaccinazioni ripetute sia con la proteina Tat, sia con DNA codificante per la proteina e tenute sotto controllo per i parametri clinici, ematologici e biochimici. Il vaccino si è dimostrato anche in questo caso innocuo e capace di indurre risposta immune specifica. Successivamente la scimmie (Sia quelle vaccinate che quelle non vaccinate) sono state infettate sperimentalmente. Sia nelle scimmie a cui era stato somministrato il vaccino, sia quelle vaccinate con DNA codificante per Tat, sono risultate protette e non hanno avuto cali di cellule CD4. Nelle scimmie infettate, e alle quali non era stato somministrato il vaccino, si è sviluppata la malattia.
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