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4.1.
Luoghi comuni
Per luogo comune si intende una
credenza condivisa la cui peculiarità è l’infondatezza e la banalità, ma
soprattutto la sua accettazione acritica e la conseguente approvazione senza
riserve.
Si può rilevare il ruolo dei luoghi comuni nei
sistemi umani di ogni tipo, il loro utilizzo può essere una naturale modalità
comunicativa usata in ogni tipo di conversazione e con ogni tipo di
interlocutore, consapevolmente o no
(I9). Possiamo riflettere sugli effetti che provoca l’uso non ragionato dei
luoghi comuni nelle relazioni di lavoro, scolastiche ed educative, formative in
generale, con il proposito di rendere il loro uso e la loro funzione
consapevole, in modo particolare quando la finalità della comunicazione è un
cambiamento.
Genitori, insegnanti, operatori, spesso
faticano ad evitare l’utilizzo dei luoghi comuni permettendo così che orientino
la relazione con l’altro.
4.2. Pregiudizi e stereotipi
Il pregiudizio è un insieme di credenze e di
sentimenti che orienta le condotte o almeno gli atteggiamenti delle persone
(I95).
Nel parlare comune i pregiudizi si manifestano
essenzialmente attraverso gli stereotipi, segmenti discorsivi che tendono a
perpetuare un certo modo di vedere la realtà, dando corpo al pregiudizio.
Con Hilgard possiamo definire il pregiudizio un
atteggiamento fermamente radicato, chiuso alla discussione libera e razionale,
resistente alla modificazione. Sono perciò valutazioni preconcette che
impediscono la libera ed obiettiva percezione dei dati di fatto.
Lippman li considera immagini nella nostra
testa che si inframmettono fra la realtà e la percezione che ne abbiamo,
provocando una semplificazione o un orientamento selettivo delle nostre
percezioni, che può anche sfociare in distorsioni in rapporto alla realtà
oggettiva.
Il problema nasce quando il nostro pensiero si
cristallizza su un luogo comune in modo che influisca sulla nostra percezione,
sia della persona che abbiamo davanti, nella sua interezza, sia della relazione,
sia della situazione che stiamo vivendo
(I96). La sensazione è che la situazione sia chiara, senza possibilità di
modifica, la nostra percezione si ritiene esatta ed infallibile
(I10).
Una soluzione potrebbe essere l’atteggiamento
entropatico, che è sospensione del giudizio, in modo da avere il tempo di poter
comprendere, avere una visione più chiara della relazione, educativa,
lavorativa, personale. È accettare di farsi sorprendere da quanto è inatteso.
La consapevolezza di essere intrappolati in un
luogo comune aiuterebbe questo percorso di liberazione della nostra percezione e
del nostro pensiero, per poter cogliere ogni aspetto, ogni differenza da quanto
già pare definito nella nostra mente, per riuscire a non generalizzare
(I97). Nella comunicazione il nostro comportamento, quanto noi trasmettiamo
all’interlocutore (a parole e/o con la mimica) basterà ad orientare la persona
con cui interloquiamo tanto da fare in modo che si comporti proprio come avevamo
pensato, confermando così, seppur in modo disfunzionale, la nostra ipotesi.
È quanto si riconosce come fenomeno della
profezia che si autoavvera.
4.3. Don Milani
Sacerdote fiorentino, si occupa di educazione
giovanile e popolare in piccoli centri della provincia di Firenze negli anni ’70
del 1900.
La sua esperienza è legata alla scuola di
Barbiana
(I11)
(I12)
(I85) raccontata nel libro scritto da alcuni suoi allievi “Lettera ad una
professoressa”. Per don Milani la persona è veramente libera, in grado di
attuare se stessa se riesce a superare l’ ignoranza e l’incapacità di far valere
le proprie ragioni.
Don Milani vuole superare luoghi comuni e
pregiudizi legati ai più poveri e disagiati attraverso l’istruzione e
l’intervento educativo.
È definito pedagogista della parola
ritenendo che la stessa dovesse essere ricca di significato, riflettere valori,
interessi, bisogni dei ceti popolari, la sente lontana dalla cultura borghese
giudicata come retorica, negazione delle ragioni dello spirito.
Il passaggio auspicato è dalla subalternità
all’autonomia. L’azione pedagogica per essere veramente tale si deve rivolgere
in primo luogo alla condizione personale dell’essere umano, deve mediare fra
principi generali e condizioni reali di vita, lontano da preconcetti.
I personalisti prospettano una pedagogia ed una
scuola ricca di partecipazione umana e scambi interpersonali significativi.
L’adulto, educatore/docente è colui che accompagna, incoraggia, consiglia e non
si limita ad elargire conoscenze. “È il maestro che ha cura dell’altro”.
Possiamo concordare con Don Milani sul fatto che non sia possibile
l’autoeducazione se non c’è qualcuno che si occupa di noi, senza preclusioni ma
guardando all’essenza della persona.