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6.1. Levinas – responsabilità – etica
Levinas, 
come Buber, intende affermare il principio della responsabilità personale 
dell’etica, non intesa come insieme di regole ma per la sua responsabilità verso 
l’altro. 
Il 
filosofo
(I15)
(I17)
(S1) considera nell’esperienza della prossimità la centralità per la 
comprensione dell’umano, accorda all’altro quella priorità più frequentemente 
riconosciuta all’io. La prossimità è intesa come soppressione della distanza. È 
il volto dell’altro che chiede di assumere significati, ma solo dopo aver 
riconosciuto quel volto come responsabilità. Possiamo dire che situi il 
principio etico nell’amore.
La 
filosofia di Levinas oppone il principio dell’alterità al principio di totalità 
tipico della società occidentale, che non può essere colto dalla ragione perché 
tenderebbe a negare le differenze. L’alterità si manifesta originariamente solo 
nel rapporto etico, cioè nel rapporto in cui l’alterità dell’altro uomo è 
riconosciuta e rispettata. L’etica è l’unica via attraverso la quale dare senso 
alla individualità. L’uomo si fa soggetto per l’altro uomo, la sua identità 
consiste nella responsabilità di fronte a lui.
Possiamo, partendo dalle riflessioni di questo filosofo, esaminare quale etica 
debba essere presente in una relazione educativa. Se si è propensi a guardare, 
con Levinas, la soggettività come punto di arrivo in quanto si costituisce a 
partire dall’alterità che si esplicita nel volto dell’Altro, si è coinvolti e si 
trasforma un semplice incontro in un momento particolare. Riconoscere l’altro ci 
rende responsabili nei suoi confronti.
Riusciamo a valutare ora l’importanza del dialogo e dell’incontro fra individui 
per la costruzione del proprio io.
Il pensiero di Lévinas si può rendere in termini empiricamente osservabili e 
attuabili nel concreto dell’agire educativo: nel pensiero pedagogico essere 
responsabile nei confronti dell’altro costituisce uno dei presupposti sulla base 
dei quali fondare una relazione educativa. Non vuol dire che tutto dipenda 
dall’educatore, ma da lui dipende coinvolgere l’educando, instradarlo, 
esortandolo a superare, con il suo personale supporto, le difficoltà che 
autonomamente non sarebbe in grado di vincere. 
Anche l’educatore vede realizzata nell’educando, grazie all’incontro, la 
possibilità di ampliare la propria visuale soggettiva.
 
6.2. Maritain – globalità della persona
Maritain
(I18) fonda il suo piano pedagogico sul principio dell’educazione liberale 
che fornisce all’allievo non conoscenze settoriali e fini a se stesse ma 
assicura, primariamente, gli strumenti per decifrare anche i significati, 
liberando la capacità di autoriflessione del soggetto.
Il 
pedagogista considera l’uomo nella sua integralità, corpo e anima, conoscenza ed 
azione, la sua l’attenzione è centrata sull’intima profondità della persona, 
preoccupato dell’interiorizzarsi dell’influenza educativa. 
In 
“Educazione al bivio” del 1943 denuncia quelli che sono giudicati errori 
dell’educazione contemporanea tra i quali emergono pragmatismo ed 
intellettualismo; al contrario Maritain spiega che il condizionamento sociale 
non può essere motivo dell’educazione ma che è fatto essenziale, prima di ogni 
altra cosa, di ogni individuo “farne un uomo”, integralità di sapere e volere.
Si lega 
alla tradizione classico cristiana il cui primo scopo educativo è far conoscere 
la verità. Riflette sulla necessità di assicurare e alimentare l’interna unità 
dell’uomo, che non può ricevere passivamente l’insegnamento ma deve  
comprenderlo e trasformarlo attraverso l’attiva interpretazione personale.
 
6.3. Buber – principio dialogico 
Nel 
saggio “Io e Tu” del 1923 Buber
(I19)
(E1)
(E2)
(S2) afferma  il fatto fondamentale dell’esistenza che è 
“l’uomo-con–l’uomo”, è infatti questa relazione che fa dell’uomo un uomo. 
L’Io 
soggetto deve riconoscere nell’altro se stesso – l’Uomo – è aprire una breccia 
verso l’altro perché l’incontro possa essere motivo di trasformazione. 
È una 
critica al soggettivismo, non si può riconoscere la propria esistenza senza 
l’altro. 
La 
relazione Io-Tu ha una struttura colloquiale, in un continuo scambio di ruoli. 
Educazione è accogliere il mondo dell’interiorità dell’uomo in un’esperienza di 
reciprocità. L’educatore fa esperienza dell’altro e, attraverso l’accettazione 
della responsabilità che gli compete, accede alla pienezza interiore degli 
allievi. 
Finalità 
dell’educazione è, per l’autore, il conseguimento di quel “grande carattere” che 
consiste nel promuovere autonomia e capacità di risposta alle diversificate 
richieste della vita.
Per 
Buber, filosofo del dialogo, l’ “esistenza autentica” si costruisce attraverso 
un percorso edificato sulla relazione educativa.
L’Io esiste e ha senso di esistere, se si volge al Tu, altrimenti rischia di 
perdere il valore e la dignità dell’esistenza; chi è lasciato solo a se stesso 
non sa e non può valorizzarsi. 
Nell’insegnamento, nell’accostamento di una persona ad un’altra, nel fidarsi 
reciproco, nell’incontro, nel dialogo, c’è valorizzazione, occasione di unione 
fra gli uomini e pieno riconoscimento dell’alterità.
Il 
dialogo è, per Buber, il fulcro su cui si fonda l’incontro, e, in pedagogia, è 
la base di tutte le dinamiche della relazione educativa. 
L’Io-Tu è la relazione autentica, in cui l’Io si costituisce come “esistenza 
autentica”, prende coscienza di sé, si “educa” e costruisce il proprio dialogo 
con l’Altro nella reciprocità. 
Buber 
mette in luce la possibilità di fare affidamento anche all’autoeducazione, 
percorso funzionale alla consapevolezza della propria natura, legato 
all’intenzionalità e responsabilità.
La relazione educativa dialogale innalza l’uomo dandogli la possibilità di 
rispondere all’ “appello” che proviene dall’Altro, mettendo in pratica il 
proprio potenziale  di   responsabilità.                              
Si può affermare, con Buber, che l’educazione si attui nella relazione, e che 
sia fatto riguardante l’intera comunità, che non si chiude nell’esclusività del 
rapporto a due, ma coinvolge tutti, arrivando alla possibilità di porre la basi 
per l’esistenza di una società autentica.
 
6.4. Rogers – autorità esercitata a 
servizio dell’altro
Rogers
(I45)
(I46) pensa all’uomo come un fascio di potenzialità positive ed intrinseche 
che l‘educazione deve soltanto contribuire a sviluppare. Statunitense, esperto 
di psicoterapia, si occupa anche di scuola ed educazione.
Chi si 
cura di un altro – genitore, insegnante, educatore, terapista…- deve rafforzare 
gli aspetti positivi che costituiscono l’individuo, nell’ottica della relazione 
d’aiuto. L’educatore/docente ha la responsabilità educativa di cercare di 
favorire nel discente sviluppo, maturità e competenza ad affrontare la vita, 
nell’ accettazione incondizionata della sua individualità, senza giudicarlo né 
orientarlo direttivamente. Si tratta di relazione empatica, cioè di reciproca 
condivisione. L’educatore pone nella fiducia nel potenziale dell’altro la base 
per ogni relazione costruttiva ed educativa. Rogers ha una visione positiva 
della persona umana definita dalla possibilità di realizzazione personale, 
attribuisce il primato al rapporto di reciprocità, tendendo ad eliminare ogni 
potere di costrizione e di sopraffazione. Si educa attraverso l’ascolto, il 
dialogo e la ricerca comune di senso. 
Il 
pensiero di Rogers, la sua teoria della non direttività, sono da considerarsi 
spunto di riflessione non solo per l’azione del formatore/insegnante, ma per 
l’educatore in generale, il quale si propone come compito cardine la scoperta e 
l’espressione della creatività e delle potenzialità dell’educando.
 
6.5. Guardini – incontro
Lo 
studioso tedesco
(D1)
(I20) si interroga sull’identità dell’uomo contemporaneo, il suo interesse è 
riaprire all’uomo contemporaneo le vie – che lui lega all’annuncio cristiano – 
per creare le condizioni perché si possa attingere alla dimensione della 
“totalità”, al di là di ogni soggettivismo. Totalità intesa come l’uomo stesso e 
la realtà tutta.
L’uomo 
deve riconoscere la sua povertà e i suoi limiti, aprendosi e donandosi 
nell’incontro. È infatti nell’incontro che si ha accesso alla realtà e ci si 
mette alla prova con accadimenti e circostanze.
Questo 
incontro si può svolgere in diversi modi e l’esperienza può diventare occasione 
per valorizzare libertà e dignità della persona. 
Solamente nell’ “altro che diventa un tu per me” si ha la pienezza 
dell’esperienza umana.
L’ 
identità diviene capace di cogliere, attraverso l’incontro, il senso profondo 
dell’esperienza umana.
 
6.6. Ricoeur - etica della disponibilità
Filosofo 
francese
(I21)
(F1), ancora alla primitiva disposizione al bene dell’uomo, il suo modo di 
essere naturalmente votato a corrispondere ad un altro. 
In “Se 
stesso come un altro” afferma il valore della persona  chiamata a realizzarsi 
non come un “io” ma come un “sé”, cioè nella forma analoga a quella di qualunque 
altra persona. L’attenzione e la cura che abbiamo dell’altro derivano dalla cura 
che abbiamo per noi stessi. 
La 
nostra identità è manifesta soltanto nell’esposizione agli altri, nel sociale 
infatti possiamo palesarci e restare fedeli a noi stessi.
L’Altro 
è visto come un bene, un’opportunità, una risorsa; se non fosse possibile questa 
simmetria con l’Altro la pena sarebbe la perdita di identità.