Le Talassemie di Daniela Crestani

Il ferro e la terapia chelante

Il ferro [E1] è elemento indispensabile per la vita. E’ contenuto nell’emoglobina [I1] [E1] [E2] [F1], in enzimi per la sintesi del DNA [E1] [F1] ed in altre molecole. Tuttavia un sovraccarico di ferro [E1] [E2] nell’organismo porta a un possibile sviluppo di un danno d’organo e a un incremento della mortalità.
Nella talassemia major [E1] [F1] e con entità variabile nella forma intermedia, l’anemia cronica è responsabile di un aumentato assorbimento gastrointestinale di ferro con conseguente accumulo a livello di diversi organi. Inoltre nella talassemia major le continue trasfusioni comportano un ulteriore apporto di ferro nell’organismo. In questi casi il corpo non è più in grado di eliminare il ferro in eccesso depositato soprattutto a livello del cuore, fegato e ghiandole endocrine, dove i danni provocati sono maggiori.
A questo punto risulta fondamentale intervenire con una terapia chelante [E1] [E2] [F1], cioè somministrare farmaci (ferrochelanti) che “catturino” ed eliminino il ferro in eccesso dall’organismo.
Negli ultimi anni nei paesi dove è possibile effettuare la terapia trasfusionale [E1] [E2] [F1] e quella chelante le condizioni dei pazienti talassemici sono notevolmente migliorate.
Per misurare il livello di ferro nell’organismo ci sono diversi metodi: uno invasivo come la biopsia epatica, risonanze magnetiche nucleari e più recentemente un esame non invasivo (biopsia magnetica) effettuato tramite una strumentazione chiamata Squid [I1]che quantifica il ferro nel fegato [F1]. Esistono però solo tre Squid al mondo, uno di questi si trova in Italia, a Torino.
La terapia chelante tradizionale viene somministrata con un farmaco, la desferrioxamina, o desferal o DFO [E1], per via endovena o sotto cutanea mediante infusione prolungata con una pompa portatile, di solito per 10/12 ore ogni giorno. Il più importante effetto benefico della terapia consiste nella limitazione delle complicanze cardiache indotta dall’accumulo di ferro con conseguente miglioramento della sopravvivenza. Come tutti i farmaci anche il Desferal ha i suoi effetti collaterali, quali tossicità al prodotto, riduzione della crescita, allergia cutanea locale, riduzione capacità uditiva.


Il trattamento con desferrioxamina risulta particolarmente gravoso per i pazienti data la continuità della cura, ogni giorni per tutta la vita, inoltre la pompa per l’infusione è limitativa per le attività normali, gli aghi causano dolore anche a lungo, inoltre non è da sottovalutare il peso psicologico [I1] [E1] per l’impatto che ha la cura sulla vita pesonale e quotidiana, sia per il paziente che per i familiari.
Negli ultimissimi anni sono stati sperimentati alcuni ferrochelanti orali: il più importante è il deferiprone o L1 attualmente in commercio, che sotto forma di pastiglie, viene assunto giornalmente dai pazienti. Purtroppo è ancora un farmaco recente, ma i dati ottenuti dagli studi sono incoraggianti: è efficace e aiuta ad eliminare il ferro depositato nel cuore [F1]. Gli effetti collaterali del deferiprone sono diversi, dolori articolari, nausea, tossicità epatica, neutropenia i più diffusi.
I chelanti orali certamente migliorano la qualità di vita dei pazienti in quanto la cura rispetto il Desferal è più leggera e consente una maggiore compliance alla terapia.

   12/20   

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