Bambini e HIV
Le madri che hanno alti carichi virali hanno una maggiore probabilità di trasmettere l’infezione ai propri figli, tuttavia non sono da sottovalutare tutti gli altri casi. L’infezione può aversi durante la gravidanza, durante il parto e durante l’allattamento.
Nelle prime settimane, comunque, tutti i bambini nati da madri sieropositive risultano positivi al test HIV perché ne condividono gli anticorpi. Se il bambino non è sieropositivo gli anticorpi scompariranno gradualmente. Questo processo richiede però anche 18 mesi. Per verificare la presenza di HIV nei bambini si usa un test simile a quello della carica virale: l’HIV PCR DNA; si cerca il virus integrato nelle cellule (linfomonociti) del sangue del bambino. Tale test deve essere effettuato alla nascita, dopo un mese e dopo tre mesi. Se tutti e tre i test risultano negativi e si sta allattando con latte artificiale, allora il bambino non è sieropositivo.
Dopo i 18 mesi d’età, anche i bambini, come gli adulti, possono essere sottoposti ad ulteriori test per assicurarsi ulteriormente dell’assenza del virus nel loro sangue: il test ELISA
[I1]
[I2]
(Enzime-Linked Immunosorbent Essay) che ricerca nel sangue anticorpi diretti contro gli antigeni gp41 e gp120, glicoproteine presenti nell'envelope del virus (cioè nella sua parte esterna) e Western Blot
[E1]
[I1] (test di immunofluorescenza).
Le cure per i bambini con HIV
Nel neonato, di madre che non ha eseguito una precedente terapia in gravidanza o intrapartum, va iniziata prima possibile la terapia con zidovudina (possibilmente entro 6 – 12 ore dalla nascita)
[E1]
[Es1]. Può essere considerata anche una terapia combinata ma il trattamento profilattico ottimale resta ancora da stabilire
[E1]. Il Canadian HIV Trials Network Working Group on Vertical HIV Transmission raccomanda in ogni caso l'associazione con una singola dose orale di nevirapine.
L’epidemiologo Steven Gortmaker, della Harvard Medical School di Boston, a nome del Pediatric AIDS Clinical Trials Group (gruppo costituito da studiosi di numerosi centri statunitensi e finanziato dai National Institutes of Health), rileva che la terapia combinata con inibitori di proteasi riduce il rischio di morte in bambini e adolescenti e ne migliora la crescita e le funzioni immunitarie, con diminuito rischio di complicazioni infettive.
Gli attuali metodi di diagnosi permettono di individuare la presenza del virus nella maggioranza dei neonati, e in tal caso le linee guida consigliano di iniziare subito la terapia combinata antiretrovirale. Questa raccomandazione è motivata dalla difficoltà di distinguere le infezioni che progrediranno in modo rapido da quelle con decorso più lento. «Studi recenti dimostrano che una cura praticata entro i primi tre mesi di vita può arrestare del tutto la replicazione virale e conservare funzioni immunitarie normali, condizioni che possono protrarsi per anni se il regime terapeutico è osservato con scrupolo» affermano Sullivan e Luzuriaga «questi risultati possono essere raggiunti con terapie combinate a base di inibitori delle trascrittasi virali e anche con regimi che includono gli inibitori di proteasi» [I1].
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