Lo Strutturalismo di Luisella Agodi (gufix70@gmail.com), Alessandro Croce (alcroce@yahoo.it), Alessandra Morelli (morellialessandra@yahoo.it)

La dissoluzione dei generi

Tale affermazione ci rinvia all’ultima delle dissoluzioni cui conduce, in ambito letterario, uno strutturalismo teorizzato con assoluta coerenza. Nel regno utopico della visione unificata del campo letterario si attua la compiuta reintegrazione di letteratura e critica in quella che Barthes definisce una “mitologia della scrittura”. Ossia, potremmo parafrasare, un racconto originario che, svolgendosi a livello delle strutture costitutive della soggettività stessa (il linguaggio), tocca le corde più profonde dell’uomo, e, liberatosi di ogni esteriorità fittizia, nel proprio svolgimento parla esclusivamente di sé, facendosi compiutamente autoreferenziale. Tale metaracconto (o metascrittura, o metastruttura) è la letteratura stessa, che avrà per oggetto «non già opere determinate, ossia inscritte in un processo di determinazione di cui una persona (l’autore) sarebbe l’origine, ma opere attraversate dalla grande scrittura mitica in cui l’umanità saggia le sue significazioni, cioè i suoi desideri» [Barthes: 51].

Quest’essere attraversato dell’opera indica che la sua unità strutturale si riconnette ad un complesso strutturale più profondo, esteso virtualmente in maniera infinita, o indefinita, ed originariamente indifferenziato, che fa un tutt’uno con il piano stesso della scrittura. L’opera non può in alcun modo essere considerata come un messaggio “chiuso” che possa venire trasposto in un linguaggio diverso (la critica) e diventare il supporto di un commento, poiché

priva di origine, la scrittura [...] conosce un solo modo di esistere: la traversata infinita delle altre scritture: quello che ancora ci appare come “critica”, è solo una maniera di “citare” un testo antico, che è anch’esso, nel suo prospetto, intessuto di citazioni: i codici si ripercuotono all’infinito. È dunque giusto affermare che nel momento in cui nasce una scienza della scrittura, che è la scrittura stessa, muoiono ogni Letteratura e ogni Critica [Barthes: 9].
Ciò significa che critica e letteratura si incontreranno sul terreno, l’unico in realtà esistente, della scrittura, poiché «non può esservi altra scienza della scrittura se non la scrittura stessa» [ivi]. Se nello spazio aperto dalla scrittura mappa e territorio vengono a infine a coincidere, tale identificazione si ripercuoterà anche sulla tradizionale distinzione fra i generi, e in primo luogo su quella tra critica e opera, riassorbite in un paradigma che fa giustizia di ogni inessenziale e artificiosa suddivisione di ruoli, fino a che regni solo «dovunque e da parte a parte il Testo» [ivi]. Creazione letteraria e analisi critica, dunque, non si distingueranno più, poiché lo sguardo strutturale ci fa comprendere come, là dove vediamo suddivisioni, non vi sia in definitiva che il solo campo del linguaggio e la sua autostrutturazione. Poiché tale campo coincide con quello della scrittura, nell’esperienza letteraria come nell’esperienza critica (ma chissà, forse anche al di fuori di esse) non incontreremo che variegate forme testuali che si differenziano unicamente nello stile utilizzato nell’elaborazione del proprio tessuto. Quest’ultimo, peraltro, non appena si sia discostato di poco lo sguardo, apparirà per ciò che è: una microvariazione interna del tessuto infinito della scrittura stessa. O, per dirla con Barthes, del Testo. [I1] [I2] [E1] [E2] [E3] [E4] [E5] [E6] [E7] [F1] [ES1]

ESERCIZI

  • Che cosa spinge Barthes a teorizzare la dissoluzione dei generi letterari?
  • Secondo Barthes, la scrittura:
    1. Si deve trasformare in critica
    2. Non deve trasformarsi in critica
    3. È il piano sul quale s’incontrano letteratura e critica
    4. Non è una mitologia

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Edurete.org Roberto Trinchero