Imparare una lingua: bisogna distinguere tra apprendimento e acquisizione?
E' recente l'affermazione in ambito glottodidattico dell'antitesi tra
"acquisizione linguistica" e "apprendimento linguistico". Secondo Krashen
[E]
[F]
[ES], il
teorico di questa contrapposizione -
Principles and Practice in Second Language Acquisition, 1981 - i due
termini e i due processi sono distinti e separati.
L’acquisizione è un processo inconscio, che avviene attraverso l'esposizione
naturale alla lingua, l'unico mezzo per conseguire una stabile, automatica,
profonda competenza linguistica. L'apprendimento è razionale, consapevole, può avere più o meno breve durata e non consente, di per sé, un
elevato livello di competenza nell'esecuzione dell'atto linguistico.
E' evidente la predilezione di Krashen per l'acquisizione. Come non pensare a
Dante che, nel De Vulgari Eloquentia [I],
pure distingue tra lingua "acquisita" e lingua "appresa"? Il volgare è la lingua
che si acquisisce con l'esposizione diretta, sine omni
regula, nutricem imitantes, senza l'apprendimento di regole di ogni sorta, per
imitazione della nutrice.
Ma quale lingua si impara con la sola esposizione naturale?
La "lingua" non è un concetto astratto, non esiste la lingua senza un atto
linguistico, senza un messaggio, senza un parlante, senza un contesto storico e
territoriale. La lingua che accipimus, che acquisiamo in modo naturale, la
lingua madre, è un codice necessariamente dipendente da variabili di tipo
socio-culturale.
Quale lingua si impara col latte materno, per rimanere nella metafora
dantesca? Una lingua condizionata dalle caratteristiche diafasiche, diatopiche,
diastratiche, diamesiche a cui si viene esposti! Cioè, la lingua standard non si
può apprendere in modo naturale, perché non si può pensare a una lingua parlata
senza tratti socialmente marcati.
Si può fare a meno dell' "apprendimento"?
L'apprendimento formale, che avviene con l'accostamento alla regola, è
necessario per la conoscenza e l'uso di un codice che sia quanto meno marcato e
più elastico possibile, che tenda all'acquisizione di una norma condivisibile da
una più ampia comunità di parlanti. Addirittura, sembra che nemmeno il processo
di acquisizione sia estraneo al processo di apprendimento: il parlante - il
bambino che comincia a comunicare, l'adulto esposto a una lingua straniera,
l'adulto che entra in contatto con una nuova comunità che usi un sottocodice
settoriale o un linguaggio gergale - elabora continuamente un'interlingua[ I ],
segno dell'attività riflessiva sulla lingua.
Domande-chiave di verifica
-
Qual è per Dante la lingua "acquisita"?
-
Perché, a nostro avviso, non si può dividere con una linea di
demarcazione precisa il processo di apprendimento e quello di acquisizione?
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Che cos'è l'interlingua?