La I elegia
Questa elegia fu composta da
Tibullo probabilmente attorno al 29 a.C., dopo il suo ritorno da Corfù, dove a
causa di una malattia si era conclusa la sua partecipazione alla campagna
militare in Oriente al seguito di Messalla. Il carme che apre il libro e la
raccolta ha un valore programmatico e racchiude tutti i temi cari a Tibullo e
all’elegia latina: il poeta affronta il problema topico della scelta di vita,
contrapponendo la propria esistenza ‘povera’ (cioè semplice e modesta),
politicamente disimpegnata e confortata dall’amore, alla vita militare, che
egli rifiuta in quanto sì apportatrice di ricchezze, ma inconciliabile con
l’amore e con la tranquillità, esprimendo il desiderio di vivere serenamente
nella pace agreste, venerando gli Dei dei campi e godendo il dolce amore di
Delia prima del sopraggiungere della vecchiaia e della morte. (En1)
(Fr1) (Fr2)
(Es1)
La celebrazione di
un’esistenza ‘pigra’ (iners) ma
a misura d’uomo, si contrappone a quella frenetica e piena di rischi di chi
non riesce ad accontentarsi.
Una tendenza, una spinta
tipica della poesia elegiaca, è il rifugio in un mondo ideale, uno spazio di
evasione dalle amarezze di un'esistenza tormentata. Questa lacerante tensione
trova il suo sfogo nel mondo del mito, dove il poeta proietta la propria
esperienza, assimilandola ai grandi paradigmi eroici. In Tibullo tuttavia il
mondo del mito è assente e la sua funzione è svolta dal mondo agreste.
Nel poeta è forte questo
bisogno del rifugio, di uno spazio intimo e tranquillo, in cui proteggere e
coltivare gli affetti dalle insidie e dalle tempeste della vita. Questo ideale
tibulliano trova il suo ambiente elettivo in una campagna idealizzata, in cui la
vita scorre in piena armonia tra uomini, natura e divinità. Un mondo agreste
dove tutto sembra perfetto, tranquillo e sereno,
ma cui è sotteso un valore polemico: il poeta, cogliendo infatti echi
epicurei e influssi della lirica neoterica, contesta velatamente il modello di
sviluppo augusteo, basato sulla ricerca della gloria, della potenza e della
ricchezza, le cui conseguenze egli aveva tra l’altro, a quanto pare, vissuto
in prima persona con le confische di buona parte dei beni di famiglia.
Lo svolgimento della poesia
tibulliana rivela tuttavia un’ambiguità di fondo. Dietro i tratti di idillio
bucolico (non è lontana l'influenza di Virgilio), la campagna di Tibullo rivela
il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati
dall'ideologia arcaizzante del principato: in ciò, nell'atteggiamento
antimodernista, Tibullo rappresenta forse il caso più vistoso di quella
contraddizione che la poesia elegiaca, dichiaratamente anticonformista e
ribelle, cova in se stessa.
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