Le migliori dottrine didattiche non mancano di associare al
termine "apprendimento" quello di "insegnamento".
Se si parla di "apprendimento" della lingua, si deve volgere
lo sguardo verso l'insegnamento e verso le tecniche usate per perseguire
l'obiettivo della competenza linguistica.
Come probabile reazione al rigido normativismo imperante da
sempre nella didattica della grammatica, negli anni scorsi, a partire dai
programmi ministeriali del 1979, si è prediletto l'accostamento alla lingua (L1
o L2) attraverso le regole della comunicazione, per lo sviluppo della competenza
nell'atto linguistico, piuttosto che della competenza riflessiva.
Si è distinto tra competenza linguistica e competenza
comunicativa , identificando la prima con la conoscenza delle regole del sistema
linguistico, l'altra con la capacità di comunicare in modo efficace. E' evidente
che non è pensabile di promuovere la mera conoscenza delle regole senza che
questa si traduca in una competenza d'uso della lingua, e viceversa.
L'intuizione di questa necessità si è manifestata nei tempi
più vicini a noi con il fenomeno che Sabatini [I] chiama "ritorno alla grammatica".
A noi sembra che dello studio della grammatica non si possa
fare a meno, proprio perché essa si occupa di una parte dello studio della
lingua distinto dal campo d'indagine della comunicazione, ma necessario ad essa.
Il vero problema è da leggersi in termini di glottodidattica [I],
di tecniche finalizzate all'insegnamento della lingua, materna, straniera o
seconda. Insomma, a noi sembra che non bisogna chiedersi che cosa insegnare
della lingua, ma come promuovere lo sviluppo delle competenze linguistiche e
comunicative nell'allievo.
L'apprendimento avviene per atto volontario: è necessario che
il discente deliberi la sua partecipazione all'azione didattica: come si può
motivare davvero all'apprendimento della "grammatica" e come si può fare in modo
che l'apprendimento cognitivo (relativo alla conoscenza delle regole) diventi
abilitativo, procedurale?