Quotidianamente, nelle interazioni sociali, l’uomo
usa la lingua per trasformare in parole qualcosa che ha in mente, ma anche per
“fare” delle cose, “agire” sul/ nel contesto comunicativo attraverso degli atti
linguistici (speech acts) [E], [F]cioè modi verbali usati dal parlante per
interagire con gli altri. L’atto linguistico può essere definito come “enunciato
o scambio comunicativo considerato in quanto azione, mirato ad uno scopo”
(1).
Un atto linguistico, infatti, può avere in sé la
forza di impegnare chi lo pronuncia a compiere certe azioni (2), o può invitare
l’interlocutore a fare una determinata cosa (3 ). Per rendere più chiare queste
affermazioni può essere utile servirsi di un semplice esempio. Se uno studente
dice a un compagno: - Hai un fazzoletto di carta? non comunica
semplicemente il contenuto semantico della frase pronunciata, ma compie anche
l’atto linguistico di interrogare su questo contenuto (cioè di verificare se
effettivamente il compagno ha un fazzoletto) (atto illocutivo), e nello stesso
tempo, in modo indiretto, di spingere l’interlocutore a offrire ciò che è stato
richiesto se ne è provvisto (atto perlocutivo).
All’interno della riflessione linguistica la
disciplina che si occupa di studiare i modi attraverso i quali i parlanti
possono servirsi della lingua per “fare” alcune cose (l’uso della lingua come
azione), quali promettere, giudicare, minacciare, chiedere, ordinare ecc., si
chiama pragmatica [ES] (dal greco pragmatikos che vuol dire “relativo
ai fatti”). Uno degli autori di riferimento per lo studio della pragmatica è il
filosofo e linguista J. L. Austin, in particolare il suo libro How to
do things with words,( “Come fare cose con le parole”,1962), dove viene
proposta la teoria degli atti linguistici, già trattata nel corso di alcune
lezioni all’università di Harvard. Le studiose Cecilia Adorno e Paola Ribotta,
nel VI capitolo del volume Insegnare e imparare la grammatica, cercano di
spiegare, in modo essenziale, le basi della teoria degli atti linguistici di
Austin: noi non solo “diciamo” qualcosa (atto linguistico locutivo), ma
(“nel” dire) facciamo anche qualcosa (atto linguistico illocutivo) e, inoltre,
(“attraverso” il dire ) perseguiamo i nostri scopi (atto linguistico perlocutivo).(4)
Secondo questa teoria quindi la maggior parte
degli enunciati servono a compiere delle vere e proprie azioni [I] in ambito
comunicativo, per esercitare un particolare influsso sul mondo circostante.
L’intenzione comunicativa con cui si dice una determinata frase (5) (ordinare
qualcosa, fare una richiesta ecc.) può essere legata al contesto in cui ciò
avviene (sono comunemente considerati parametri contestuali gli interlocutori, i
tempi e i luoghi dell’enunciazione, i gesti) e può essere veicolata attraverso
mezzi grammaticali quali: - l’intonazione (interrogativa, esclamativa,
imperativa); - il modo verbale (l’imperativo usato in italiano per
ordinare, ad esempio: “Finisci i compiti” e il condizionale usato per esprimere
un desiderio, ad esempio “Vorrei tanto prendermi una vacanza” ); - “particelle”
o “marcatori” o “modificatori” pragmatici (ad esempio, nella
lingua italiana: pure, mica, tanto, magari,
chissà, poi, già, ormai, finalmente ecc…).
Questi dispositivi linguistici e questi “marcatori”
dal contenuto semantico non facilmente definibile permettono di compiere le
numerose inferenze necessarie per comprendere uno scambio verbale. Per
facilitare la comprensione di quanto è stato esposto può essere utile servirsi
di un esempio tratto dalla lingua italiana. La particella pragmatica pure viene
usata, soprattutto nell’interazione orale, per trasformare un ordine in un
permesso o in una concessione.
Si confrontino i due enunciati seguenti:
a) Finisci la pasta! (forza illocutiva di
ordinare)
b) Finisci pure la pasta (forza illocutiva di
permettere).
Pure può essere dunque considerato come un
modificatore di illocutività, e il suo uso, in una enunciato come b) presuppone
che l’ interlocutore abbia manifestato in precedenza, in modo esplicito o
implicito, il desiderio di compiere l’azione indicata dal verbo. Questa
presupposizione non è necessaria, invece, nella frase contenente l’imperativo.
Domande-chiave di verifica
-
Che cos'è l'atto illocutivo?
-
Che cos'è l'atto perlocutivo?
-
In quali situazioni usiamo marcatori di
illocutività?