Competenze comunicative e apprendimento linguistico di Daniela Fiorio, Annamaria Nigro

La pragmatica

Imparare una lingua/acquisizione/ competenze comunicative/ pragmatica/ sociolinguistica/ metalinguistica

Quotidianamente, nelle interazioni sociali, l’uomo usa la lingua per trasformare in parole qualcosa che ha in mente, ma anche per “fare” delle cose, “agire” sul/ nel contesto comunicativo attraverso degli atti linguistici (speech acts) [E], [F]cioè modi verbali usati dal parlante per interagire con gli altri. L’atto linguistico può essere definito come “enunciato o scambio comunicativo considerato in quanto azione, mirato ad uno scopo” (1).

Un atto linguistico, infatti, può avere in sé la forza di impegnare chi lo pronuncia a compiere certe azioni (2), o può invitare l’interlocutore a fare una determinata cosa (3 ). Per rendere più chiare queste affermazioni può essere utile servirsi di un semplice esempio. Se uno studente dice a un compagno: - Hai un fazzoletto di carta? non comunica semplicemente il contenuto semantico della frase pronunciata, ma compie anche l’atto linguistico di interrogare su questo contenuto (cioè di verificare se effettivamente il compagno ha un fazzoletto) (atto illocutivo), e nello stesso tempo, in modo indiretto, di spingere l’interlocutore a offrire ciò che è stato richiesto se ne è provvisto (atto perlocutivo).

All’interno della riflessione linguistica la disciplina che si occupa di studiare i modi attraverso i quali i parlanti possono servirsi della lingua per “fare” alcune cose (l’uso della lingua come azione), quali promettere, giudicare, minacciare, chiedere, ordinare ecc., si chiama pragmatica [ES] (dal greco pragmatikos che vuol dire “relativo ai fatti”). Uno degli autori di riferimento per lo studio della pragmatica è il filosofo e linguista J. L. Austin, in particolare il suo libro How to do things with words,( “Come fare cose con le parole”,1962), dove viene proposta la teoria degli atti linguistici, già trattata nel corso di alcune lezioni all’università di Harvard. Le studiose Cecilia Adorno e Paola Ribotta, nel VI capitolo del volume Insegnare e imparare la grammatica, cercano di spiegare, in modo essenziale, le basi della teoria degli atti linguistici di Austin: noi non solo “diciamo” qualcosa (atto linguistico locutivo), ma (“nel” dire) facciamo anche qualcosa (atto linguistico illocutivo) e, inoltre, (“attraverso” il dire ) perseguiamo i nostri scopi (atto linguistico perlocutivo).(4)

Secondo questa teoria quindi la maggior parte degli enunciati servono a compiere delle vere e proprie azioni [I] in ambito comunicativo, per esercitare un particolare influsso sul mondo circostante. L’intenzione comunicativa con cui si dice una determinata frase (5) (ordinare qualcosa, fare una richiesta ecc.) può essere legata al contesto in cui ciò avviene (sono comunemente considerati parametri contestuali gli interlocutori, i tempi e i luoghi dell’enunciazione, i gesti) e può essere veicolata attraverso mezzi grammaticali quali: - l’intonazione (interrogativa, esclamativa, imperativa); - il modo verbale (l’imperativo usato in italiano per ordinare, ad esempio: “Finisci i compiti” e il condizionale usato per esprimere un desiderio, ad esempio “Vorrei tanto prendermi una vacanza” ); - “particelle” o “marcatori” o “modificatori” pragmatici (ad esempio, nella lingua italiana: pure, mica, tanto, magari, chissà, poi, già, ormai, finalmente ecc…).

Questi dispositivi linguistici e questi “marcatori” dal contenuto semantico non facilmente definibile permettono di compiere le numerose inferenze necessarie per comprendere uno scambio verbale. Per facilitare la comprensione di quanto è stato esposto può essere utile servirsi di un esempio tratto dalla lingua italiana. La particella pragmatica pure viene usata, soprattutto nell’interazione orale, per trasformare un ordine in un permesso o in una concessione.

Si confrontino i due enunciati seguenti:

a) Finisci la pasta! (forza illocutiva di ordinare)

b) Finisci pure la pasta (forza illocutiva di permettere).

Pure può essere dunque considerato come un modificatore di illocutività, e il suo uso, in una enunciato come b) presuppone che l’ interlocutore abbia manifestato in precedenza, in modo esplicito o implicito, il desiderio di compiere l’azione indicata dal verbo. Questa presupposizione non è necessaria, invece, nella frase contenente l’imperativo.


Domande-chiave di verifica

  • Che cos'è l'atto illocutivo?

  • Che cos'è l'atto perlocutivo?

  • In quali situazioni usiamo marcatori di illocutività?

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Edurete.org Roberto Trinchero