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Uno sguardo generale sul fenomeno strutturalista
È opinione comune che una caratterizzazione in termini generali dello strutturalismo
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sia questione alquanto spinosa, e ciò a causa della molteplicità delle configurazioni che tale corrente ha assunto in relazione ai più svariati ambiti applicativi (matematica, biologia, psicologia, linguistica, semiologia, antropologia, sociologia, storia delle idee, filosofia, critica letteraria...). Cionondimeno, si può affermare che proprio la duttilità dimostrata nel riuscire a universalizzare un modello, o piuttosto un meta-modello teorico (che potrebbe tranquillamente ambire allo statuto di paradigma), nonché la sua applicabilità a campi totalmente differenti, costituiscano gli elementi che più spiegano la sua influenza sulla cultura contemporanea.
Per comprendere tale fenomeno, occorre distinguere al suo interno un piano programmatico, in cui emerge in piena luce quello che potremmo definire l’atteggiamento strutturalista, e un piano metodologico vero e proprio. Se è opportuno ricordare che questi risultano solo idealmente distinguibili, operare una loro virtuale disgiunzione consente di dare ragione delle differenze nelle soluzioni proposte nonché nell’intensità con cui queste vengono adottate e perseguite (non di rado fino all’estremo di trasformare un utile modello operativo in una vera e propria presa di posizione ontologica; cfr. Eco 285-302). La diversa prevalenza nella combinazione dell’una o dell’altra istanza risulta infatti non di rado risolutiva al fine di chiarire le opzioni scelte e le strade percorse da ognuno degli autori che si sono implicitamente o esplicitamente collocati entro lo spettro delle teorie strutturaliste.
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