Interpretazione dell'effetto fotoelettrico
Nel contesto di una teoria ondulatoria della radiazione i primi tentativi di interpretazione dell’effetto si mossero sulla strada di fenomeno provocato dalla struttura del metallo colpito dalle radiazioni. Furono Lenard e Thomson a tentare le prime interpretazione teoriche del fenomeno. Secondo Lenard l’energia della radiazione ha solo la proprietà di innescare un processo di liberazione degli elettroni dagli atomi. L’energia con la quale gli elettroni fuoriescono dal metallo dipende solo dal precedente moto che essi avevano all’interno dell’atomo. Un elettrone può essere liberato solo quando la frequenza della luce incidente è identica a quella di oscillazione dell’elettrone. In quest’ottica è la struttura dell’atomo che determina l’energia e la velocità dei fotoelettroni. Secondo Thomson è l’azione sugli elettroni del campo elettrico trasportato dalle onde che costituiscono la radiazione che produce l’effetto di liberare gli elettroni dal metallo. Nell’ipotesi ondulatoria della radiazione dovrebbe accadere che quanto più è intensa la radiazione tanto più è grande il campo elettrico che ad essa si accompagna , con la conseguenza che al crescere dell’ intensità dovrebbe crescere l’energia con cui vengono emessi gli elettroni, fatto che è in contrasto con l’esperienza. La scoperta del fenomeno fotoelettrico e, soprattutto, gli studi che ne seguirono, a proposito dei problemi di interpretazione che poneva, comportarono una rivoluzione concettuale della fisica. L’immagine del mondo fisico costruita sull’ipotesi di atomo come ultimo costituente della materia, insecabile ed eterno, doveva essere cancellata e sostituita con una più aderente ai fatti. Alla fine del secolo XIX, infatti, l’esistenza dell’elettrone, cinque anni prima solo ipotizzata in qualche lavoro teorico, è sperimentalmente provata nei raggi catodici, nei raggi Becquerel e nel fenomeno fotoelettrico. L’approccio di Einstein alla questione dell’effetto fotoelettrico [I1] mise in discussione e permise di superare la vecchia concezione dualista della continuità del campo elettromagnetico e della discontinuità delle particelle materiali offrendo, al tempo stesso, l’esemplificazione di un nuovo modo di fare fisica.Il contributo notevole che diede Einstein al dibattito sul fenomeno fotoelettrico fu quello di trovare dei principi generali dai quali, tra l’altro, far discendere la spiegazione dell’effetto fotoelettrico. Esso costituisce un modo esemplificativo di ciò che Einstein chiama teorie dei principi. Egli individua, innanzitutto, una asimmetria nella trattazione dei fisici che assegnavano una natura discontinua alla materia ponderabile ed una natura continua alla radiazione elettromagnetica. Einstein introduce così la quantizzazione, che M. Planck aveva utilizzato come mero artificio di calcolo per risolvere il problema della radiazione di corpo nero [I2] [E1] ,come rappresentazione della fisica dei campi [I2] .
La teoria dei campi di Maxwell era valida solo per fenomeni macroscopici; i fenomeni microscopici necessitavano di un altro principio che li spiegasse , i quanti. Una trattazione di tipo statistico di questi ultimi ridà i fenomeni macroscopici. Questo vale anche per la luce come fenomeno del campo elettromagnetico. Il fenomeno fotoelettrico risultava più comprensibile se considerato in base all’ipotesi che l’energia sia distribuita nello spazio in modo discontinuo. La luce non doveva più essere considerata qualcosa di continuo, ma costituita da quanti di luce, come dirà successivamente Lewis, da Fotoni [I3] [I4] . I quanti sono, dunque, assunti a principio generale. Inoltre, dai principi generali della termodinamica, Einstein calcola l’entropia di un gas in funzione del volume da esso occupato e l’entropia della radiazione di corpo nero. Dal fatto che le entropie hanno circa la stessa forma per gas e radiazione conclude che anche la struttura corpuscolare di gas e radiazione deve essere la stessa ammettendo che le leggi di emissione e trasformazione della luce siano costituite come se la luce fosse formata da quanti, ciascuno avente energia = hf, con h = costante di Planck e f frequenza della radiazione. Poiché la “luce eccitatrice” è costituita da quanti l’emissione di elettroni si spiega ammettendo che l’energia penetra nello strato superficiale del corpo e la loro energia si trasforma, almeno in parte, in energia cinetica di elettroni. Differenti metalli richiedono diverse energie di estrazione dei metalli. Per un dato metallo, all’aumentare della frequenza oltre quella di soglia aumenta l’energia cinetica con la quale un dato elettrone è emesso dal metallo. Aumentando l’intensità della radiazione di una data frequenza, un maggior numero di fotoni andrà a colpire la superficie del metallo nell’unità di tempo, ma l’energia di ciascun quanto di luce resterà invariata. Conseguentemente aumenterà la corrente elettronica emessa dal metallo, ma non l’energia cinetica dei singoli elettroni.
La concezione einsteniana tardò quasi 20 anni ad affermarsi. In tutto questo tempo teorie alternative ed esperimenti sempre più sofisticati si susseguirono.. i quanti di luce creavano più problemi di quanti ne risolvessero, ma soprattutto quel ribaltamento del quadro concettuale che portava dalle teorie costruttive alla fisica dei principi, non entusiasmava nessuno.
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