La musica dell'Impero del Mali di Stefano Soldati

CHI SONO I GRIOTS

I griots [IT1] [E1] [F1] sono stati figure chiave nella storia Malinkè e nella storia dell’Impero del Mali, ma sono stati anche delle figure emblematiche e controverse. La parola griot comprende una moltitudine di accezioni differenti. E’ difficile proporre una definizione univoca e precisa riguardo questa categoria. Sembra dunque efficace iniziare dall’etimologia della parola, etimologia che ancor oggi rimane incerta. Tra le varie ipotesi prese in considerazione, c’è accordo sul fatto che la parola griot sia frutto di una contaminazione linguistica. Ci sono però due differenti filoni di pensiero in merito. Alcuni ricercatori pensano che questa parola abbia avuto origine dalla trasformazione di un termine locale, altri pensano che sia frutto di una francesizzazione di un temine negro-portoghese. Tra i sostenitori della prima tesi ci sono Dominique Zahan e Vincent Monteil. Il primo pensa che la parola derivasse da guewel, termine proveniente dalla lingua wolof, una lingua parlata in Senegal. Il secondo pensa che il termine derivasse da iggio o iggiw, termine che in Mauritania designa i narratori. Il secondo filone di pensiero ha come esponente principale M. Labouret il quale sostiene che l’origine della parola sia portoghese e che derivi precisamente dalla parola criar, che significa: allattare, nutrire, ma anche educare ed istruire. L’autore sostiene che dal punto di vista fonetico le parole criar e griot non sembrano così distanti, tanto da poter giustificare questo passaggio di forma come il frutto di una trasformazione fonetica che è frequente quando si pronunciano termini stranieri. Alla base di questa ipotesi c’è la convinzione che già dal XV secolo fosse in uso in Africa occidentale un codice comunicativo a base portoghese utilizzato da marinai portoghesi ed abitanti del luogo.( Paola Beltrame C’è un segreto tra noi, Corazzano 1997, cfr p. 25-26-27) In lingua Malinkè, Bambarà e Dioulà il griot viene chiamato djélì. Riguardo l’etimologia di questa parola Hugo Zemp ha effettuato degli studi. Djélì in lingua maninka significa sangue e l’autore ha trovato una relazione tra la figura del griot ed il sangue nelle leggende della tradizione Malinkè. In una leggenda si narra la storia di un griot che accompagna il suo signore in guerra : << Quando i grandi guerrieri uccidevano i nemici, i griots tagliavano la testa ai cadaveri. Caricavano le teste tagliate sulle spalle e le portavano al villaggio come prova delle gesta eroiche dei guerrieri. Il sangue delle teste tagliate scendeva sul loro corpo ed è per questo che furono chiamati djélì>>. ( Paola Beltrame, op. cit. p. 45, cfr Hugo Zemp La légende des griots malinké << Cahiers des etudes Africains>>, 24.06.04, Paris 1966 pp. 611-642.) In una delle leggende islamizzate (Nel 1324 Kankan Moussa, Re dell’impero del Mali a quell’epoca, si rese famoso per il peregrinaggio alla Mecca da dove portò diversi predicatori, giureconsulti e marabut. In questo periodo molti sudditi vennero convertiti all’Islam. Si ipotizza che il filone delle leggende legate a Maometto siano state introdotte nella tradizione mandenka per aumentare e perpetuare un senso d’appartenenza all’Islam.) figurano come protagonisti Maometto e Sourakata ( Sourakata secondo alcune leggende è il primo antenato dei griots.) Vediamone due estratti: << Il Profeta aveva un’infezione alla gamba. La piaga si gonfiava. Ma la terra rifiutava il sangue; anche il cielo, le foglie e le radici degli alberi facevano lo stesso. Allora Sourakata bevve il sangue. La gente disse :<< Sourakata ha una parte del sangue di Maometto!>>, e così venne chiamato djélì come pure tutti i suoi discendenti>>. << Sourakata amava molto Maometto. Un giorno durante la guerra santa Maometto fu ferito ad una gamba dai nemici. Sourakata non voleva che il suo sangue fosse versato per terra. Bevve il sangue della ferita e così lo si chiamò djélì>> (Entrambe le citazioni sono tratte Paola Beltrame, op. cit. p. 46, da Hugo Zemp, op. cit, p.630) Una volta descritto il paesaggio etimologico possiamo entrare più consapevolmente nel merito delle mansioni svolte dal griot nella società mandenka. (Molte informazioni riguardano compiti che i griots assolvevano in epoca pre-coloniale.)

I griots vengono definiti genealogisti, storici, narratori, poeti, musicisti, danzatori, cantanti, tessitori di lodi. <griots erano consiglieri dei re, essi conservavano le costituzioni dei regni con il solo lavoro della loro memoria; ogni famiglia principesca aveva il suo griot incaricato di conservare la tradizione; era fra i griot che i re sceglievano i precettori dei giovani principi>>.(Djibril Tasmir Niane, Sundiata epopea mandinga, Roma 1986, p 7) In Europa, si è abituati a pensare al griot come un musicista e, a mio parere, si mette in secondo piano il suo ruolo di narratore e di poeta. Tra i malinkè la Parola ha un’importanza considerevole e questa interagisce notevolmente con la musica. Infatti, come verrà approfondito in seguito, nel Mandé erano considerati più importanti gli strumenti che mettevano in evidenza la Parola. Musica e parola si trovano in una tale relazione simbiotica che per dire parlare o suonare, in lingua Malinkè, si usa lo stesso verbo :“fò”. Inoltre viene riconosciuta la facoltà di parlare ad alcuni strumenti come ad esempio il tamani, [F1] [F2] [E1] il longan, il balafon, [F1] [F2] [E1] il djembè,[F1] [E1] [IT1] il flauto, [E1] [F1] etc. In seguito a delle chiacchierate avute con amici burkinabè ed in base a quanto ho visto durante un viaggio a Bobo-Dioulasso, i messaggi trasmessi dai griots con questi strumenti, sono riconducibili a proverbi o a situazioni sociali standard, come l’arrivo di qualcuno, la morte del capo-villaggio, lo smarrimento di qualcuno, etc. Come dice Paola Beltrame : << è difficile poter apprezzare la combinazione del parlato strumentale e della musica senza parole se non si è iniziati ad una lingua tonale [E1] ma si può ben immaginare come queste combinazioni offrano incredibili opportunità. (per una migliore comprensione << La combinazione di strumenti in grado di riprodurre la parola può dar luogo ad un continuum di frasi significanti, che combina alternandole, frasi parlate o suonate; o ancora intervallare delle frasi significanti a dei ritmi dalle strutture strettamente musicali.>>,Paola Beltrame, op. cit. p. 78-79) Una lingua tonale non permette soltanto di produrre enunciati significanti con degli strumenti musicali. Potremmo dire che la sua caratteristica principale è quella di predisporre la lingua al passaggio naturale e progressivo dal parlato al cantato: favorisce cioè la musicalità della parola>>. (Paola Beltrame, op. cit. p. 79) Il griot esercita anche il ruolo di portavoce o di mediatore in merito alle sue competenze linguistiche. Si serve di figure retoriche come allitterazioni, parallelismi, assonanze, crea doppi sensi. Grazie alla padronanza della lingua, il griot riesce facilmente ad eseguire delle improvvisazioni (narrando o cantando) sia su un tema libero sia su generi formali come l’ ”Epopea”. Il possesso di tutte queste capacità consente ai griots di mantenere viva e trasmettere una tradizione. (Paola Beltrame, op. cit. cfr pp 82-84) Secondo lo scrittore maliano Massa Makan Diabatè, iniziato al Mandé dal padre griot, i griots sono morti con l’arrivo dei bianchi. Secondo lui, oggi i griots sono degli animatori che cantano di tutto. Massa Makan Diabatè ha così poco conto della figura del griot post-coloniale perché a partire da questo periodo,i griots hanno stravolto il proprio ruolo di arbitri (ruolo che verrà approfondito nei prossimi paragrafi) della società per colludere con il potere politico ed economico. Diabatè continua dicendo che i griots moderni travestono la verità per soddisfare la loro sete di guadagno. I griots sono accusati di aver aiutato i nuovi dittatori (Sekou Toure in Guinea e Mobido Keità in Mali) a raccogliere consenso politico, accomunando questi ultimi ai grandi eroi del passato. I griots si vendevano ai politici ed ai grandi commercianti per avere un successo immediato. Inoltre questi politici e commercianti sceglievano i griots per la bella voce o per la bella presenza, anche se non conoscevano bene le genealogie. Questo diminuiva la qualità della conoscenza e della padronanza della lingua e dunque impoveriva l’arte della parola. Diabatè dice anche che non tutti i griots si sono venduti; cita l’esempio di Banzoumana Sissoko, [F1] un griot che cantava solo elogi degli eroi del vecchio Mandé, perché sosteneva che costoro detenevano il potere perché il popolo l’aveva consegnato loro e non si comportavano come i politici attuali che si comportano da oppressori. Per Massa Makan Diabaté solo la scrittura può ridare coerenza sociale alla trasmissione della tradizione, in modo che questa sia divulgata seguendo la strada dettata dall’evoluzione generale del mondo. (Cheick M. Chérif Keita, Massa Makan Diabaté. Un griot mandingue à la recontre de l’écriture, Paris 1995, cfr pp. 22-29)

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