La filosofia aristotelica - il movimento
La filosofian aristotelica - il movimento
Il concetto di movimento, nella fisica degli aristotelici, non coincide affatto con il moto della fisica dei moderni. Il movimento è, in genere, ogni passaggio dall’essere in potenza all’essere in atto. Si configura, per Aristotele, come moto nello spazio, come alterazione nella qualità, come generazione e corruzione nelle sfere dell’essere. Nel “movimento” rientrano fenomeni fisici e fenomeni che noi chiamiamo chimici e biologici. Il moto non è uno stato dei corpi, ma un divenire o un processo. Un corpo in moto non muta solo in relazione ad altri corpi: è esso stesso, in quanto in moto, soggetto a mutamento. Il moto è una sorta di qualità che affetta il corpo. In quella fisica, com’è noto, non c’è bisogno di una causa che spieghi la persistenza della quiete, c’è bisogno di una causa che spieghi la presenza o la persistenza del moto.
Il mondo terrestre è il mondo dell’alterazione e del mutamento, della nascita e della morte, della generazione e della corruzione. Il cielo è invece inalterabile e perenne, i suoi moti sono regolari, in esso nulla nasce e nulla si corrompe, ma tutto è immutabile e eterno. Le stelle, i pianeti (uno di essi è il Sole) che si muovono attorno alla Terra non sono formati dagli stessi elementi che compongono i corpi del mondo sublunare, ma da un quinto elemento divino: l’etere o quinta essentia, che è solido, cristallino, imponderabile, trasparente, non soggetto a modificazioni. Della stessa materia sono fatte le sfere celesti. Sull’equatore di queste sfere rotanti sono fissati il Sole, la Luna e gli altri pianeti.
Al moto rettilineo, difforme e sempre limitato nel tempo (che è proprio dei corpi che si muovono nel mondo terrestre) si contrappone il mondo circolare, uniforme e perenne delle sfere dei corpi celesti. A differenza del rettilineo, il moto circolare è perfetto e di conseguenza adatto alla natura perfetta dei cieli. Esso non ha inizio e non ha fine, non tende verso qualcosa, ritorna perennemente su sé stesso e prosegue in eterno. L’etere, fatta eccezione per il mondo terrestre, riempie tutto l’universo. Limitato dalla sfera delle stelle fisse, l’universo è finito. La sfera divina trasporta le stelle fisse e produce quel moto che si trasmette, per contatto, alle altre sfere e giunge fino al cielo della Luna che costituisce il limite inferiore del mondo celeste. Alla Terra non può competere, per natura, alcun moto circolare. Essa è immobile al entro dell’universo. La tesi della sua centralità e immobilità non è solo confermata dall’ovvia esperienza quotidiana, è uno dei fondamenti o pilastri dell’intera fisica aristotelica, di quella terrestre come di quella celeste.
2/38
|