Macbeth: Follia, cupidigia e destino di Oscar Serino, Basilio Sciacca

L’eterna lotta tra il bene e il male (e tra l’apparire e l’essere)


La storia di Dottor Jekyll e mister Hyde [F16] [I17] [Es17] [I18] esplora il concetto del bene e del male come principi compresenti nell’animo umano. Sebbene siano presenti entrambi, di solito uno dei due prevale sull’altro. Come il romanzo di Robert L. Stevenson [F17] [Es18] [I19] [E21], anche il Macbeth affronta tale questione. In Macbeth e Lady Macbeth, il bene e il male convivono, tuttavia li vediamo emergere in momenti diversi. Quando Lady Macbeth spinge Macbeth a uccidere Duncan, la sua parte malvagia prevale su quella buona. In questo senso, il “male” ha prevalso sul “bene”.
Per tutto il dramma, osserviamo Macbeth e la moglie impegnati in una costante lotta interiore tra il “bene” e il “male”.


“E' brutto il bello, e bello il brutto, libriamoci per la nebbia e l'aer corrotto” (Atto I, scena I), cantano le streghe mentre attendono il termine della battaglia per comunicare a Macbeth le loro diaboliche profezie.

“Come proprio di là d'onde il sole comincia a risplendere scoppiano uragani che sommergono le navi, e tuoni orrendi, così da quella fonte d'onde sembrava dovesse venire il conforto, è traboccato lo sconforto” (Atto I, scena II), dice il sergente che racconta la battaglia di Macbeth contro i ribelli. Il sergente intende dire che proprio quando l’arrivo della primavera ci fa credere che il tempo sarà bello e ci recherà conforto, il maltempo può recare estremi disagi. Egli prosegue raccontando come la stessa cosa sia accaduta in battaglia. Proprio mentre Macbeth stava sconfiggendo uno dei nemici, altri si lanciavano all’attacco.

“Un giorno così brutto e così bello, ad un tempo, non l'ho mai visto”(Atto I, scena III): sono queste le prime parole di Macbeth nella scena in cui incontra le streghe.

Poco dopo essere stato nominato signore di Cawdor, Macbeth non sa se credere alle profezie delle streghe, e Banquo osserva che “i ministri delle tenebre ci dicono il vero; ci seducono con delle inezie oneste, per tradirci in cose del più grave momento”. Egli avverte Macbeth che, rivelandogli delle piccole verità, le streghe potrebbero sedurlo e spingerlo verso un disastro enorme. Macbeth non sente o non vuole ascoltare il monito dell’amico. Dice invece a sé stesso che “questo incitamento soprannaturale non può essere cattivo, e non può esser buono”. In realtà, Banquo ha già intuito che si tratta di un segnale funesto, nonostante possa apparire propizio. Dopo aver ricevuto la notizia dell’esecuzione del signore di Cawdor (che aveva tradito), Re Duncan esclama: “Non c'è arte per leggere nella faccia la costituzione della mente: egli era un gentiluomo sul quale io avevo fondato una fiducia assoluta...” (Atto I, scena IV). Il suo è un commento su quanta fiducia riponesse nel signore di Cawdor e sul fatto che non immaginasse sarebbe diventato un ribelle.
Prima dell’arrivo di Re Duncan al loro castello, Lady Macbeth esorta così il marito: “Prendete l'apparenza del fiore innocente, ma siate il serpe che sta sotto” (Atto I, scena V). Vuole che assuma un’aspetto gradevole, per meglio nascondere le intenzioni malvage.

“Andiamo, e inganniamo la gente con il più gaio aspetto: un viso falso bisogna che nasconda quello che sa il falso cuore” (Atto I, scena VII). Con queste parole rivolte alla moglie, Macbeth esce dalla scena in cui pianifica seriamente l’assassinio di Re Duncan. I coniugi fingeranno di essere fedelissimi al re durante la festa, per poi trucidarlo quella stessa notte.

Nella scena (Atto II, scena III) in cui viene ritrovato il cadavere di Duncan, Malcolm e Donalbain, figli del re, temono di essere le prossime vittime. “… Qui dove siamo, vi sono pugnali fin nel sorriso degli uomini”, dice Donalbain; così entrambi decidono di fuggire dal castello di Macbeth.

Alla prima comparsa come Re di Scozia, le prime parole di Macbeth sono rivolte a Banquo: “Ecco qui il nostro principale convitato” (Atto III, scena I). Macbeth e Lady Macbeth trattano Banquo con estrema cortesia, ma più avanti nella scena lui ne organizza l’omicidio. Una volta sul trono, Macbeth comincia a soffrire d’insonnia e allucinazioni. Inoltre, egli teme che i figli di Banquo saranno i futuri re di Scozia, secondo la profezia delle streghe.
Ovviamente, dal suo volto cupo tutte queste preoccupazioni affiorano eccome, infatti la moglie lo invita ad essere più ipocrita: “Andiamo, gentile signor mio, spianate l'aggrottata fronte; siate allegro e giocondo, stasera, in mezzo ai vostri convitati” (Atto III, scena II). Macbeth si risente di dover fare di necessità virtù celare i suoi cattivi pensieri dietro un aspetto gradevole. Ha già pianificato l’omicidio di Banquo, ma chiede alla moglie di dimostrarsi ancora più cortese del solito, soprattutto nei confronti di Banquo: “La vostra attenzione sia dedicata a Banquo; prodigategli i più alti onori, così con gli occhi come con la lingua: malsicuro è il tempo nel quale noi dobbiamo lavare il nostro onore in questi fiumi di adulazione, e far del viso una maschera per il cuore, la quale nasconda ciò che esso è”. Il punto chiave di questo passo è “il tempo è malsicuro”. Sono Macbeth e Lady Macbeth ad essere insicuri, poichè Banquo potrebbe sospettare che siano loro gli assassini di Re Duncan, anche in virtù della profezia delle streghe. Pur essendo il re e la regina dovranno trattare Banquo con deferenza, come se questi fosse il vero sovrano.
Per festeggiare la propria ascesa al trono, Macbeth organizza un banchetto per i nobili scozzesi, nel quale assume il ruolo dell’anfitrione ossequioso. Durante il banchetto si prodiga nel dimostrare il suo rispetto per Banquo, ricorrendo a frasi come: “Ora noi accoglieremmo qui sotto il nostro tetto l'onor della patria, se la nobile persona del nostro Banquo fosse presente” (Atto III, scena IV). Gli ospiti di Macbeth non sanno che ha già mandato due sicari ad ucciderlo, ma ecco che fa la sua comparsa proprio il fantasma insanguinato di Banquo per mostrare a Macbeth (e al pubblico) la concretezza del male che si cela dietro le gradevoli parvenze.

Nella scena successiva, quella in cui Macbeth afferma di voler ritornare a far visita alla streghe, Ecate [F18] [Es19] [I20] [E22] giunge dagli inferi per comunicare alle streghe la sua rabbia nei loro confronti. Ecate pretende di sapere perché esse osino escluderla dal loro “affare Macbeth”. Dopo tutto ella si autodefinisce “la segreta orditrice di tutti i mali” (Atto III, scena V). Come tutte le streghe, Ecate crede che fare il male sia bene, e che lei è quella che meglio ci riesce. Poco dopo, Ecate dice alle streghe che attuerà degli inganni per cui Macbeth: “… Disprezzerà il destino, schernirà la morte, ed innalzerà le sue speranze al di sopra d'ogni saggezza, d'ogni pietà e d'ogni paura: e voi tutte sapete che la sicurezza è il capitale nemico dei mortali”. In breve, la cieca convinzione di avere il destino dalla nostra parte ci fa sentire invulnerabili e quindi diventa la causa della nostra fine.

Poco dopo il banchetto durante il quale fa capolino il fantasma di Banquo, Lennox viene a conoscenza della natura ipocrita e maligna di Macbeth. Egli esclama: “Il pio Duncan fu pianto da Macbeth: sfido, era morto!” (Atto III, scena VI). Questa salace battuta serve a descrivere sia la reazione di facciata di Macbeth - la costernazione per Re Duncan – sia la sua vera natura umana, cioè la sua ipocrisia. Lennox continua poi a ridicolizzare la versione fornita da Macbeth su quanto è successo fino a quel momento.
Macduff si rivolge a Malcolm per ottenere aiuto in una guerra contro Macbeth, ma Malcolm è molto cauto, perché sa che Macduff potrebbe fare il doppio gioco. Dopo aver fatto chiarezza, si scusa e dice: “Gli angeli rifulgono ancora di luce, benché il più fulgido sia caduto, e quand'anche ogni sozzura assumesse le sembianze della virtù, pure la virtù conserverebbe il suo aspetto” (Atto IV, scena III).
L’angelo più fulgido era Lucifero, che cadde diventando Satana. Secondo Malcolm, sebbene un’apparenza innocua possa nascondere un cuore malvagio, e chi sembra un angelo possa invece essere un demonio, ciò non significa che ogni angelo sia necessariamente un demonio.

Benchè i cattivi si sforzino di sembrare buoni, comunque i buoni avranno l'aspetto dei buoni, e non è giusto che dei buoni sospettino altri buoni di essere cattivi.

Col sopraggiungere della battaglia campale, Macbeth riflette sul fatto che la sua vita non è degna di essere vissuta: “Tutto ciò che dovrebbe accompagnare la vecchiaia come onore, affetto, obbedienza, schiere di amici, io non debbo cercare di averlo; per me, in loro vece, ci sono maledizioni proferite a bassa voce, ma profonde, rispetto espresso a fior di labbra, come un soffio che il povero cuore vorrebbe volentieri trattenere, ma non osa” (Atto V, scena III).
E così l’atteggiamento ipocrita che ha usato con tutti, la catena di menzogne e dissimulazioni che ha infilato una dietro l’altra, gli si ritorcono fatalmente contro. Chi sta ancora dalla sua parte, in realtà lo odia silenziosamente e neanche l’eventuale esito favorevole della battaglia lo renderà amato né rispettato.

   11/15   

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