I PRIMI PASSI DEL REGIME (e approfondimenti)
Il primo governo Mussolini, formatosi il 31 ottobre 1922, nacque dunque nel rispetto della normativa vigente (a parte l’eversione “politica” della marcia su Roma) ed ottenne la fiducia del Parlamento. Lo Statuto Albertino rimase formalmente, e in certa qual misura anche sostanzialmente, la legge fondamentale dello Stato (il re, ad esempio, conservò le sue prerogative: non bisogna dimenticare che, in fin dei conti, Mussolini salì al potere nel ’22 e fu destituito nel ’43 proprio da Vittorio Emanuele III).
La trasformazione dello Stato liberale in un regime autoritario, quale fu quello fascista, fu graduale: Mussolini riuscì ad alterare l’ordinamento costituzionale dello Statuto Albertino (che non richiedeva complesse procedure per la sua modifica come l’attuale ordinamento repubblicano) e a dar vita ad un sistema statalista, caratterizzato dalla commistione tra strutture del partito ed istituzioni statali, ma per fare ciò impiegò anni, ed inoltre non raggiunse mai il completo controllo dello Stato che invece – come vedremo fra poco - Hitler, in pochi mesi dalla presa del potere, assunse in proprio. Al contrario del “collega” d’oltralpe, il duce dovette confrontarsi con due istituzioni in particolare, monarchia e chiesa, che, sebbene assai “collaborative” con il regime, non gli furono mai completamente assoggettate.
Mussolini seppe comunque muoversi subito in modo da consolidare il potere appena conquistato, aiutato in questo dall'ottusità degli alleati cattolici e liberali, i cosiddetti "fiancheggiatori", che non vollero scorgere gli evidenti segnali di pericolo e, in nome dell'antisocialismo, tollerarono i toni ricattatori del nuovo Presidente del Consiglio. Non servì a disilluderli nemmeno il più che esplicito discorso pronunciato da Mussolini alla Camera, durante il dibattito sulla fiducia al nuovo governo: "Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto."
Nel dicembre 1922 venne istituito il Gran Consiglio del fascismo, inizialmente organo supremo del partito con funzioni di raccordo tra questo ed il governo, ma in seguito (9 dicembre 1928) destinato a divenire un organo dello Stato con il quali si tentava di incidere sull’aspetto costituzionale, anche per condizionare il sovrano ed ottenerne l’appoggio (es.: venne sancita la prerogativa di questo organismo ad esprimere un parere vincolante a proposito della successione reale).
Gli squadristi furono inquadrati in una "Milizia volontaria per la sicurezza nazionale", organo militare ufficiale, che aveva lo scopo dichiarato di proteggere gli sviluppi della rivoluzione fascista.
Alle violenze illegali contro la classe operaia ed i suoi rappresentanti, ora, si sommava la repressione "istituzionalizzata" di Milizia, organi di polizia e magistratura: furono chiusi (o sequestrati) numerosi giornali, i comunisti furono costretti alla semiclandestinità; il sindacato perse potere contrattuale e i salari, come era stato promesso agli industriali che avevano appoggiato l'ascesa di Mussolini, subirono drastici ridimensionamenti.
La Chiesa assunse subito un atteggiamento favorevole al nuovo governo, meritevole ai suoi occhi per aver sventato la "terribile" minaccia rossa e Mussolini, da parte sua, la "corteggiò" con una riforma scolastica varata da Giovanni Gentile, che, con l'introduzione dell'esame di stato alla fine di ogni ciclo scolastico, metteva sullo stesso piano la scuola pubblica e quella privata. In cambio la gerarchia ecclesiastica esercitò forti pressioni su don Sturzo, che lasciò la guida del partito popolare, rifugiandosi in seguito all’estero.
Dopo aver indebolito, grazie all'appoggio della Chiesa, il suo più forte avversario, Mussolini, con il voto di liberali e cattolici di destra, fece approvare una nuova legge elettorale di tipo maggioritario che avrebbe dovuto rafforzare fortemente le posizioni fasciste; quindi, nel 1924, indisse nuove elezioni. La maggior parte dei liberali accettò di candidarsi sotto il simbolo del fascio, ricostituendo, a parti invertite, i "blocchi nazionali" del 1921. El ascenso del Fascismo
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E PER CHI VUOLE APPROFONDIRE...
Discorso pronunciato da Mussolini il 16 novembre 1922 alla camera: è il primo come Capo del Governo. Signori, quello che io compio oggi, in questa Aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza. Da molti, anzi da troppi anni, le crisi di Governo erano poste e risolte dalla Camera attraverso più o meno tortuose manovre ed agguati, tanto che una crisi veniva regolarmente qualificata come un assalto, ed il Ministero rappresentato da una traballante diligenza postale. Ora è accaduto per la seconda volta, nel volgere di un decennio, che il popolo italiano - nella sua parte migliore - ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al disopra e contro ogni designazione del Parlamento. Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l'ottobre del 1922. Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò. Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle «camicie nere», inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione. Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. Gli avversari sono rimasti nei loro rifugi: ne sono tranquillamente usciti, ed hanno ottenuto la libera circolazione: del che approfittano già per risputare veleno e tendere agguati come a Carate, a Bergamo, a Udine, a Muggia. Ho costituito un Governo di coalizione e non già coll'intento di avere una maggioranza parlamentare, della quale posso oggi fare benissimo a meno, ma per raccogliere in aiuto della Nazione boccheggiante quanti, al di sopra delle sfumature dei partiti, la stessa Nazione vogliono salvare. Ringrazio dal profondo del cuore i miei collaboratori, ministri e sottosegretari: ringrazio i miei colleghi di Governo, che hanno voluto assumere con me le pesanti responsabilità di questa ora: e non posso non ricordare con simpatia l'atteggiamento delle masse lavoratrici italiane che hanno confortato il moto fascista colla loro attiva o passiva solidarietà. Credo anche di interpretare il pensiero di tutta questa Assemblea e certamente della maggioranza del popolo italiano, tributando un caldo omaggio al Sovrano, il quale si è rifiutato ai tentativi inutilmente reazionari dell'ultima ora, ha evitato la guerra civile e permesso di immettere nelle stracche arterie dello Stato parlamentare la nuova impetuosa corrente fascista uscita dalla guerra ed esaltata dalla vittoria. Prima di giungere a questo posto, da ogni parte ci chiedevano un programma. Non sono ahimè i programmi che difettano in Italia: sibbene gli nomini e la volontà di applicare i programmi. Tutti i problemi della vita italiana, tutti dico, sono già stati risolti sulla carta: ma è mancata la volontà di tradurli nei fatti. Il Governo rappresenta, oggi, questa ferma e decisa volontà. La politica estera è quella che, specie in questo momento, più particolarmente ci occupa e preoccupa. Ne parlo subito, perché credo, con quello che dirò, di dissipare molte apprensioni. Non tratterò tutti gli argomenti, perché, anche in questo campo, preferisco l'azione alle parole. Gli orientamenti fondamentali della nostra politica estera sono i seguenti: i trattati di pace, buoni o cattivi che siano, una volta che sono stati firmati e ratificati, vanno eseguiti. Per ciò che riguarda precisamente l'Italia noi intendiamo di seguire una politica di dignità e di utilità nazionale. Non possiamo permetterci il lusso di una politica di altruismo insensato o di dedizione completa ai disegni altrui. Do ut des. L'Italia di oggi conta, e deve adeguatamente contare. Lo si incomincia a riconoscere anche oltre i confini. Non abbiamo il cattivo gusto di esagerare la nostra potenza, ma non vogliamo nemmeno, per eccessiva ed inutile modestia, diminuirla. La mia formula è semplice: niente per niente. Chi vuole avere da noi prove concrete di amicizia, tali prove di concreta amicizia ci dia. L'Italia fascista, come non intende stracciare i trattati, così per molte ragioni di ordine politico, economico e morale non intende abbandonare gli Alleati di guerra. Roma sta in linea con Parigi e Londra, ma l'Italia deve imporsi e deve porre agli Alleati quel coraggioso e severo esame di coscienza che essi non hanno affrontato dall'armistizio ad oggi. Si tratta insomma di uscire dal semplice terreno dell'espediente diplomatico, che si rinnova e si ripete ad ogni conferenza, per entrare in quello dei fatti storici, sul terreno cioè in cui è possibile determinare in un senso o nell'altro un corso degli avvenimenti. Una politica estera come la nostra, una politica di utilità nazionale, una politica di rispetto ai trattati, una politica di equa chiarificazione della posizione dell'Italia nell'Intesa, non può essere gabellata come una politica avventurosa o imperialista nel senso volgare della parola. Noi vogliamo seguire una politica di pace: non però una politica di suicidio. Le direttive di politica interna si riassumono in queste parole economia, lavoro, disciplina. Il problema finanziario è fondamentale: bisogna arrivare colla maggiore celerità possibile al pareggio del bilancio statale. Regime della lesina: utilizzazione intelligente delle spese: aiuto a tutte le forze produttive della Nazione. Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzino con quelli della produzione e della Nazione. Il proletariato che lavora, e della cui sorte ci preoccupiamo, ma senza colpevoli demagogiche indulgenze non ha nulla da temere e nulla da perdere, ma certamente tutto da guadagnare da una politica finanziaria che salvi il bilancio dello Stato ed eviti quella bancarotta che si farebbe sentire in disastroso modo specialmente sulle classi più umili della popolazione. La nostra politica emigratoria deve svincolarsi da un eccessivo paternalismo, ma il cittadino italiano che emigra sappia che sarà saldamente tutelato dai rappresentanti della Nazione all'estero. L'aumento del prestigio di una Nazione nel mondo è proporzionato alla disciplina di cui dà prova all'interno. Non vi è dubbio che la situazione all'interno è migliorata, ma non ancora come vorrei. Non intendo cullarmi nei facili ottimismi. Non amo Pangloss. Le grandi città ed in genere tutte le città sono tranquille: gli episodi di violenza sono sporadici e periferici, ma dovranno finire. I cittadini, a qualunque partito siano iscritti, potranno circolare: tutte le fedi religiose saranno rispettate, con particolare riguardo a quella dominante che è il Cattolicismo: le libertà statutarie non saranno vulnerate: la legge sarà fatta rispettare a qualunque costo. Lo Stato è forte e dimostrerà la sua forza contro tutti, anche contro l'eventuale illegalismo fascista, poiché sarebbe un illegalismo incosciente ed impuro che non avrebbe più alcuna giustificazione. Debbo però aggiungere che la quasi totalità dei fascisti ha aderito perfettamente al nuovo ordine di cose. Lo Stato non intende abdicare davanti a chicchessia. Chiunque si erga contro lo Stato sarà punito. Questo esplicito richiamo va a tutti i cittadini, ed io so che deve suonare particolarmente gradito alle orecchie dei fascisti, i quali hanno lottato e vinto per avere uno Stato che si imponga a tutti, colla necessaria inesorabile energia. Non bisogna dimenticare che, al di fuori delle minoranze che fanno della politica militante, ci sono quaranta milioni di ottimi italiani i quali lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono ed hanno il diritto di non essere gettati nel disordine cronico, preludio sicuro della generale rovina. Poichè i sermoni - evidentemente - non bastano, lo Stato provvederà a selezionare e a perfezionate le forze armate che lo presidiano: lo Stato fascista costituirà una polizia unica, perfettamente attrezzata, di grande mobilità e di elevato spirito morale; mentre Esercito e Marina gloriosissimi e cari ad ogni italiano - sottratti alle mutazioni della politica parlamentare, riorganizzati e potenziati, rappresentano la riserva suprema della Nazione all'interno ed all'estero. Signori, Da ulteriori comunicazioni apprenderete il programma fascista, nei suoi dettagli e per ogni singolo dicastero. Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo che non si farebbe una lira - dico una lira - di economia. Con ciò non intendiamo escludere la possibilità di volonterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti. Abbiamo ognuno di noi il senso religioso del nostro difficile compito. Il paese ci conforta ed attende. Vogliamo fare una politica estera di pace, ma nel contempo di dignità e di fermezza: e la faremo. Ci siamo proposti di dare una disciplina alla Nazione, e la daremo. Nessuno degli avversari di ieri, di oggi, di domani si illuda sulla brevità del nostro passaggio al potere. Illusione puerile e stolta come quella di ieri. Il nostro Governo ha basi formidabili nella coscienza della Nazione ed è sostenuto dalle migliori, dalle più fresche generazioni italiane. Non v'è dubbio che in questi ultimi giorni un passo gigantesco verso la unificazione degli spiriti è stato compiuto. La patria italiana si è ritrovata ancora una volta, dal nord al sud, dal continente alle isole generose, che non saranno più dimenticate, dalle metropoli alle colonie operose del Mediterraneo e dell'Adriatico. Non gettate, o signori, altre chiacchiere vane alla Nazione. Cinquantadue iscritti a parlare sulle mie comunicazioni, sono troppi. Lavoriamo piuttosto con cuore puro e con mente alacre per assicurare la prosperità e la grandezza della Patria.
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