La nascita dei fascismi in Italia e Germania di Daniela Raimondo (raimondopatrucco@libero.it), Valter Balzola (), Rossana Denicolai ()

LEGGI RAZZIALI (e approfondimenti)

Dal 1936 la politica estera del regime lavorò per un avvicinamento progressivo alla Germania di Hitler: dalla firma di un patto d'amicizia, il cosiddetto Asse Roma-Berlino, al comune coinvolgimento nella guerra civile spagnola, a sostegno del fascismo locale, l'Italia si trovò ad essere sempre più legata al "carro" tedesco, con un Mussolini, ormai condizionato dal fuhrer, al punto da accettarne passivamente tutte le iniziative, comprese quelle più sgradite come l'annessione dell'Austria del 1938, e, soprattutto, da dare il via alla vergognosa campagna antisemitica che culminò con l’emanazione delle leggi razziali.

Le leggi ricalcavano, sia pure in forma attenuata, quelle naziste del ’35, escludendo gli israeliti da qualsiasi ufficio pubblico, limitandone l’attività professionale e vietando i matrimoni misti.

Preannunciata da un manifesto di sedicenti scienziati (che sostenevano l’esistenza di una “pura razza italiana” di indiscutibile origine ariana) e preparata da un’intensa campagna di stampa, la legislazione razziale giunse tuttavia del tutto inattesa in un paese che non aveva mai conosciuto, al contrario di Germania, Russia e persino Francia, forme di antisemitismo diffuso.

Anziché suscitare consenso e mobilitazione popolare (non vi furono in Italia, né allora né in seguito, episodi di violenza popolare contro gli ebrei), le leggi razziali suscitarono talvolta sdegno, spesso sconcerto e perplessità in un’opinione pubblica che certo non si ribellò (quasi vent’anni di dittatura avevano lasciato il segno), ma che non aderì certamente alla solitaria battaglia del duce contro gli ebrei.

Documenti storici [I1]

Manifesto scienziati [I2] [I3] [I4]

E PER CHI VUOLE APPROFONDIRE...

La dittatura e gli Ebrei

Con l'alleanza tra il fascismo e la Germania nazista incominciò a porsi il problema della "questione ebraica". Pressato dall'alleato tedesco Mussolini lanciò, nel 1938, la campagna per la razza, che condurrà alle tristemente note leggi. Fu allora che

"storici e pubblicisti da strapazzo, giornalisti desiderosi di mettersi in vista, esponenti nazionali e periferici del partito andarono riesumando dalla stampa di quindici-venti anni prima articoli, discorsi, accenni - spesso vaghissimi e privi di sostanziale valore - per dimostrare che la politica della razza e l'antisemitismo erano presenti nel fascismo sin dalle origini…" (R. De Felice, "Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo", Giulio Einaudi Editore, Torino 1961, p.77)

In realtà non sembra possibile trovare una posizione ufficiale del primo fascismo a proposito degli ebrei: le singole opinioni individuali, personali, di pochi fascisti antisemiti, si perdono in un clima di indifferenza generale rispetto alla questione, che non assume mai un certo rilievo nell'ideologia del movimento.

D'altra parte, se esaminiamo gli atteggiamenti degli ebrei nei confronti del fascismo, noteremo anche in questo caso la mancanza di una posizione univoca. Tra i finanziatori de "Il Popolo d'Italia" figuravano ebrei; altri ne troviamo, soprattutto in zone dove massiccia era la presenza "rossa", come il Ferrarese, tra gli attivi sostenitori di Italo Balbo e delle sue squadre: alcuni latifondisti ebrei ebbero in tal senso un ruolo non trascurabile.

Tra i fondatori dei fasci di combattimento, il 23 marzo 1919, a Milano, risultano almeno cinque ebrei; alla Marcia su Roma parteciparono, come risulta dai "brevetti" concessi loro quale attestazione ufficiale, ben duecentotrenta ebrei; a quella stessa data gli iscritti al PNF di origine ebraiche erano circa settecentocinquanta. Tra gli ebrei, quindi,l'adesione iniziale al fascismo fu consistente, e questo è facilmente spiegabile se si tiene conto del carattere spiccatamente "borghese" dell'ebraismo italiano.

Notevole fu però anche la presenza ebrea nell'antifascismo militante: nel 1925, ad esempio, quando venne pubblicato il manifesto redatto da Benedetto Croce con la rivendicazione dei diritti di libertà ereditati dalla tradizione risorgimentale, furono ben trentatré i sottoscrittori ebrei.

Esaminando direttamente la posizione del Duce si possono fare delle considerazioni interessanti. Sui giornali diretti da Mussolini, ad esempio, non apparvero mai i segni di quel bieco antisemitismo che, dal '38 in poi, caratterizzò tanta stampa italiana. Il periodico "Gerarchia", la rivista che esponeva le teorie e l'ideologia mussoliniana, fu condiretto per dieci anni dall'ebrea Margherita Sarfatti, sua intima amica.

Pare proprio che Mussolini, a differenza del Fuhrer, non avesse vere prevenzioni antisemite, al punto da collaborare a pubblicazioni curate da ebrei (nel 1908 con "le Pagine libere" dell'Olivetti) e da annoverarne addirittura tra i suoi amici più cari. Una volta preso il potere non esitò a conferire importanti cariche pubbliche ad autorevoli esponenti ebrei: Aldo Finzi, ex aviatore con D'Annunzio, squadrista e membro del Gran Consiglio fascista, fu il primo sottosegretario agli Interni; Dante Almansi venne nominato vicecapo della polizia, con De Bono.

Ancora all'inizio degli anni '30 la posizione degli ebrei in Italia sembrava tranquilla e consolidata, tanto che non stupiva trovare su una pubblicazione sionista, "Israel", un articolo intitolato "Decennale" che diceva:

"Dopo dieci anni di regime fascista, il ritmo spirituale della vita ebraica in Italia è più intenso, assai più intenso di prima… in un clima storico come quello del fascismo riesce più facile ai dimentichi di ritrovare il cammino della propria coscienza, ai memori di rafforzarlo, presidiandolo di studio e di opere."

E le aspettative ebraiche sembravano non essere deluse: nel 1932 vennero pubblicati i famosi "Colloqui con Mussolini", lunghe interviste al duce: il razzismo vi era condannato come una "stupidaggine" e sull'antisemitismo in particolare diceva:

"L'antisemitismo non esiste in Italia… gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini, e come soldati si sono battuti coraggiosamente."

Pareva dunque che sulla posizione ufficiale del duce non ci dovesse essere alcuna incertezza, e ci sarebbe voluta la faccia tosta di Mussolini a dimenticare tutto, come se nulla fosse, neppure sei anni dopo!

L'antisemitismo non faceva parte del patrimonio culturale italiano e quando, dopo il '33, nella penisola giunsero sempre più forti gli echi della politica nazista, sui grandi quotidiani di informazione (che, lo ricordiamo, erano pesantemente condizionati dalle direttive emanate dal governo circa quel che si poteva o meno pubblicare) apparvero parecchi articoli che condannavano il razzismo: la "Stampa della sera" di Torino il 7 marzo 1933 scrisse che le accuse contro le cospirazioni ebraiche erano notizie da "baracca delle curiosità" e le idee di Rosenberg (il maggior teorico del razzismo nazista) "cose buffe".

L'"Ora" di Palermo titolò: "Al razzismo non crediamo proprio", aggiungendo che "è davvero enorme e quindi inammissibile che, sotto forma di predominio razzista, di superiorità nordica, di espansionismo ariano" Hitler volesse spacciare "una ripresa improvvisa dell'imperialismo guglielmino".

"Il Popolo di Lombardia", di Milano, fu ancora più esplicito: "Il razzismo è fuori dalla storia, la rinnega, o per meglio dire la trascura, la ignora, è indifferente ad essa. La riduce, al più, a sottoprodotto della propaganda".

Purtroppo qualche sporadica voce a sostegno delle tesi naziste si levò anche sulla stampa italiana, anche se non tra gli organi ufficiali del fascismo o del governo.

Stupisce vedere che tra queste voci ce ne fossero alcune che appartenevano alla stampa cattolica più qualificata; mentre la gran parte dei fedeli riteneva l'antisemitismo hitleriano semplicemente aberrante, alcuni giornali di matrice confessionale assunsero atteggiamenti più sfumati, quando non apertamente contro agli ebrei.

Non bisogna scordare che la Chiesa metteva al primo posto, nella sua scala di valori politici, l'anticomunismo, e non vi è dubbio che i nazisti, fin dalla presa del potere, operarono per cancellare dalla scena politica (in senso fisico, non metaforico) le opposizioni, quelle di sinistra in particolare; a dimostrazione dello "scarso senso critico" della Chiesa basterà ricordare che, dopo aver approvato e legittimato il fascismo con la firma del Concordato del '29, ne sottoscrisse un altro con Hitler appena salito al potere, nel luglio del '33.

In un articolo apparso sulla rivista gesuita "La Civiltà Cattolica" e firmato dal padre E. Rosa troviamo, dopo un accenno di biasimo per le esagerazioni naziste:

"Essa [la Germania hitleriana] è passata dal semitismo più dichiarato e massonico all'antisemitismo più scalmanato ed estremo, perciò anche inefficace, quanto alla giusta ed equa restrizione della preponderanza o prepotenza ebraica in tutte le parti e gradi della vita sociale… Non neghiamo tuttavia che anche costoro [gli "scalmanati"] apparirebbero scusabili, e forse pur degni di encomio, se contenessero la loro opposizione politica dentro i limiti di una tollerabile resistenza ai maneggi dei partiti e delle organizzazioni giudaiche…"

"La Rassegna Romana", altro periodico cattolico, nel numero di maggio-giugno 1933, pubblicò un articolo che deplorava sì la campagna del governo tedesco, ma anche che alle manifestazioni tenutesi in America, Inghilterra, Belgio, Francia, Spagna, Messico per protestare contro i nazisti avessero partecipato e "spesso in prima fila" cattolici eminenti e prelati venerandi". L'articolista scriveva acidamente, dopo aver fatto cadere, così per caso, l'affermazione che "il bolscevismo è ebraismo al novanta per cento"

"Perché tante e così clamorose e così unanimi proteste quando si tocca l'ebreo? [!!!] Quale sentimento, quale interesse, quale forza determina simili movimenti? Dobbiamo supporre che sia solo l'amore sviscerato per il Libero Pensiero, o l'ammirazione ardentissima per i Salmi di Davide o per i Dieci Comandamenti? Dobbiamo credere che sia solo, o prevalentemente, l'umano istinto della compassione per un popolo disperso di reietti, di miseri, di schiavi? [Evidentemente tutto ciò non era sufficiente per il cattolico autore dell'articolo!]

Non crediamo. Oggi i diciotto milioni di ebrei che sono nel mondo (una minoranza etnica e religiosa, come si dice a Ginevra) danno lo stato maggiore degli elementi dirigenti della maggior parte dei paesi civili; danno i più audaci, i più temuti, i più potenti capitani dell'industria, della finanza, dell'affare - cioè del denaro. Quindi, con tutto il rispetto che si deve a queste manifestazioni di protesta, per le loro finalità ideali, per l'autorità degli uomini che vi partecipano - molti dei quali sono apostoli di purissimo lealismo e di umanità - dobbiamo concludere, con serena ed onesta melanconia, che, alla fin dei conti, tutto è pagato."

Nell'ambito della breve rassegna stampa relativa a commenti sull'antisemitismo nel '33, sembra significativo inserire un breve passo di un'intervista, apparsa sul giornale francese "Echo de Paris" il 19 ottobre, al rabbino di Roma A. Sacerdoti: questi sottolineava ancora una volta l'inesistenza di un antisemitismo italiano, ricordando anche le affermazioni di Mussolini:

"Il primo [motivo per cui in Italia non vi è antisemitismo] è che gli ebrei patrioti italiani sono venuti numerosi al fascismo, fino dalla sua formazione. Il secondo è che il fascismo è Mussolini; il suo pensiero è il pensiero fascista. Ora Mussolini non ha mai avuto la più piccola arrière-pensée di antisemitismo: egli non lo concepisce nemmeno."

Nei primi anni '30, dunque, l'antisemitismo non aveva ancora contagiato Mussolini che anzi, di fronte al proclami del Fuhrer cercò di contrapporre un atteggiamento calmo e misurato, tentando di intervenire a favore degli ebrei tedeschi attraverso i canali diplomatici, interpretando così, una volta tanto, i sentimenti della stragrande maggioranza del popolo italiano.

Dal '36 in poi, tuttavia, con l'avvicinamento dell'Italia alla Germania, quegli attacchi agli ebrei che erano stati solo episodici, personali e non rappresentativi dell'ideologia del regime, divennero più frequenti, aumentando anche d'intensità. E proprio nell'ambito dell'Asse Roma-Berlino che nasce uno dei capitoli più vergognosi della storia italiana, quello dell'antisemitismo di stato.

L'antisemitismo aveva un posto troppo determinante nell'ideologia nazista perché potesse essere ignorato e costituiva un fatto così essenziale nella politica tedesca perché un alleato non dovesse, se voleva essere veramente tale, adeguarvisi. Non vi è dubbio che ad introdurre anche in Italia provvedimenti contro gli ebrei fu la decisione di Mussolini, determinata dalla convinzione che per rendere inattaccabile l'alleanza tra le due nazioni fosse necessario eliminare questa potenziale fonte di contrasti. Pare da escludere, inoltre, che tale decisione fosse motivata da una richiesta esplicita dei tedeschi.

"Nel 1936-1937, quando Mussolini imboccò la via dell'antisemitismo di Stato, egli non avrebbe ancora tollerato un intervento diretto di questo tipo di Hitler, né questo l'avrebbe ancora tentato. Per un intervento massiccio e in prima persona bisognerà attendere i primi del 1943, quando ormai l'Italia era completamente vassalla della Germania e Hitler si era quasi liberato della sua morbosa infatuazione per Mussolini." (R.De Felice, op.cit., pagg.286-7)

Quando la decisione di dare atto a misure restrittive e discriminatorie nei confronti degli ebrei fu presa, si trattò di farla apparire giusta, "necessaria" agli italiani. Il Regime aveva a sua diretta disposizione molti organi di stampa e, attraverso le sue direttive, li condizionava tutti; partì perciò un'ignobile campagna denigratoria, che dai giornaletti giovanili o locali approdò in poche settimane alle prime pagine dei grandi quotidiani, "Il resto del carlino" e "La Stampa" in testa.

All'inizio dell'aprile 1938 sulla questione ebraica la stampa italiana era ormai allineata: sui giornali nulla di positivo doveva essere pubblicato a proposito di cittadini ebrei, mentre grande rilievo veniva dato a tutto ciò che poteva dar loro una connotazione negativa, dai reati comuni alla partecipazione come volontari nelle file dei "rossi", nella guerra civile spagnola. Apparvero notizie "scientifiche" come quella pubblicata su "La sera" di Milano: "I figli dei matrimoni misti con gli ebrei sono predisposti alla tubercolosi…"; si fece rilevare come la potenza e l'invasione ebraiche in Italia fossero ormai intollerabili.

Nel Luglio del '38 la situazione era matura per la pubblicazione del "Manifesto degli scienziati razzisti", una delirante lista di dieci punti che attestavano l'esistenza di razza umane "grandi e piccole", l'origine ariana della popolazione italiana e la sua appartenenza alla civiltà ariana, l'esistenza di una pura razza italiana, la necessità per gli italiani di proclamarsi francamente razzisti. Si sottolineava inoltre l'esigenza di una netta distinzione tra i mediterranei d'Europa (occidentale) da una parte, gli orientali e gli africani dall'altra, la non appartenenza degli ebrei alla razza italiana e alla civiltà europea e, soprattutto, la necessità che i caratteri puramente europei degli italiani fossero preservati:

"I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo: l'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani."

Tutto ciò non era sottoscritto da un gruppo di analfabeti facinorosi, ma dal fior fiore della comunità scientifica italiana: tra i firmatari troviamo professori universitari di patologia ed antropologia, il direttore della clinica di neuropsichiatria dell'Università di Bologna, il direttore dell'Istituto di patologia medica dell'Università di Roma, il presidente dell'Istituto centrale di statistica ed altri "insigni" luminari; un folto gruppo si “intellettuali razzisti” sentì poi la necessità di aderire ad un proclama scientifico di tanto rigore: tra essi troviamo personalità note (e spesso stimate…) della nostra storia repubblicana, come, ad esempio, Giorgio Almirante, importante uomo politico del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Bocca, decano del giornalismo italiano, Amintore Fanfani, esponente di spicco della Democrazia Cristiana., Padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica di Milano, il filosofo Giovanni Gentile e Giovanni Guareschi, celebre scrittore e “papà di Peppone e Don Camillo .

Dopo la massiccia campagna propagandistica arrivarono, tra il '38 ed il '39 le prime leggi, i primi concreti provvedimenti discriminatori contro gli ebrei. Innanzi tutto furono posti dei severi limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commerciale per i cittadini italiani di razza ebraica: chi possedeva più del consentito era costretto a cederlo ad un ente statale, l'EGELI, che avrebbe pagato un indennizzo in "comode" rate trentennali. Il fascismo poi vietò agli ebrei la possibilità di esercitare la professione di notaio e giornalista. Si procedette quindi alla cancellazione dai rispettivi albi professionali di medici, farmacisti, veterinari, ostetrici, avvocati, procuratori, patrocinatori legali, ragionieri, ingegneri, chimici, architetti, agronomi, geometri di origine ebrea: si impediva in questo modo ai professionisti ebrei di esercitare.

Gli impiegati pubblici di origine ebrea vennero allontanati dai loro posti e costretti al prepensionamento, ai ragazzi si impedì l'accesso alle scuole, se non a quelle "speciali" loro riservate. I matrimoni cosiddetti "misti", tra italiani ed appartenenti a razze diverse dall'ariana, furono vietati per legge.

Si vennero poi rapidamente aggiungendo numerosissime disposizioni particolari, spesso ridicole e sempre gravemente lesive dei diritti e della dignità di coloro ai quali si applicavano: divieto per gli ebrei di frequentare i luoghi di villeggiatura, di tenere personale di servizio "ariano", di inserire sui giornali avvisi pubblicitari e mortuari, di possedere apparecchi radio, di godere di prestiti agricoli, di pubblicare libri, di avere il proprio nominativo inserito negli elenchi telefonici ed altro ancora. Gli interventi legislativi non sospesero la massiccia campagna denigratoria che, come si è visto, una stampa asservita e succube aveva montato contro gli ebrei.

Il regime, anzi, visto la scarsa presa che tale campagna aveva avuto fino a quel momento sull'opinione pubblica (“Il punto importante qui è che il fascismo di tipo razzista è emerso dove era presente una qualche tradizione affine […] senza una tradizione da attivare nulla si muove. L’Italia, per esempio, non aveva alcuna seria tradizione di antisemitismo, e quindi in questo campo il fascismo non trovò nulla da attivare.” G. Mosse, Intervista sul nazismo, a cura di Michael A. Ledeen, Laterza, Bari, 1977), la intensificò senza alcun ritegno, anche perché in tal modo poteva tentare di distogliere l'attenzione delle masse da temi assai più scottanti, come la disoccupazione, l'avvicinarsi della guerra e, dopo l'avvio delle operazioni belliche, dai primi rovesci militari; per la prima volta, però, perse la sua battaglia sul terreno della propaganda.

Dopo aver toccato, nel '35-'36, con la vittoriosa impresa etiopica, l'apice della popolarità, il fascismo, imboccando la via dell'alleanza sempre più stretta con la Germania, aveva incominciato a perdere consensi e certo la persecuzione contro gli ebrei non glie ne fece guadagnare.

Gli italiani non seppero opporsi fermamente a tanta barbarie, non trovarono la forza, il coraggio di dire apertamente "NO", e di questo devono indubbiamente assumersi tutta la responsabilità, ma il regime non riuscì a coinvolgerli attivamente in questa disgustosa persecuzione; anche a guerra iniziata, fino all'8 settembre 1943 gli episodi di violenza fisica nei confronti di ebrei italiani, tenuto conto del clima di odio creato dai media, furono pochissimi: si trattò per lo più di iniziative prese da gerarchetti locali, ansiosi di mettersi in mostra, o di giovani facinorosi che potevano dar sfogo con poco rischio ai loro più bassi istinti.

La stragrande maggioranza della popolazione manifestò ostilità ai provvedimenti e, se in altre occasioni la tattica fascista era stata quella di ignorare ufficialmente lo scontento, di fronte ad un fenomeno di così larga misura tacere era impossibile. L'avversione alla politica antisemita, infatti, era viva non solo in ambienti antifascisti, ma anche tra coloro che la politica fascista avevano sempre accettato e tra gli stessi fascisti. Nel giugno 1939 Starace si vedrà costretto a vietare agli iscritti al partito, pena il ritiro della tessera, di inoltrare raccomandazioni di qualsiasi tipo a favore dei giudei.

Dopo lo scoppio della guerra i nazisti ebbero più volte di che lamentarsi a proposito dell'atteggiamento dei militari italiani nei confronti degli ebrei, "protetti" a loro dire dalle nostre truppe in tutte le zone di occupazione, dalla Jugoslavia alla Grecia, dall'Albania alla Francia (Si deve dire, a onore dei connazionali di Mussolini, che durante la guerra l’esercito italiano rifiutò decisamente di consegnare ai tedeschi gli ebrei perché fossero sterminati, o di consegnare chiunque altro fosse fatto prigioniero nelle zone di occupazione italiane, quali il sudest della Francia e alcune aree balcaniche. Sebbene anche l’amministrazione italiana si mostrasse assi poco zelante nell’applicare le leggi antisemite, quasi la metà della piccola comunità ebraica italiana perì; alcuni, comunque, caddero come combattenti antifascisti piuttosto che come vittime della persecuzione - Si veda J. Steinberg, All or Nothing: The Axis and the Holocaust 1941-43, London, 1990) . Ancora alla vigilia della caduta del fascismo, il 21 luglio 1943, uno dei più alti ufficiali delle SS in Francia, il Roethke, disgustato, scriveva:

"L'atteggiamento italiano è ed è stato incomprensibile. Le autorità militari italiane e la polizia italiana proteggono gli ebrei con ogni mezzo che sia in loro potere. La zona di influenza italiana, particolarmente la Costa Azzurra, è divenuta la Terra Promessa per gli ebrei residenti in Francia. Negli ultimi mesi vi è stato un esodo in massa di ebrei che dalla nostra zona di occupazione sono passati in quella italiana. La fuga degli ebrei è stata facilitata dall'esistenza di migliaia di vie traverse, dall'assistenza data loro dalla popolazione francese, dalla simpatia delle autorità, da carte d'identità false e anche dalla vastità dell'area che rende impossibile bloccare ermeticamente le zone di influenza.

A proposito dell'atteggiamento italiano sulla questione ebraica, sono già stati inviati circa venti rapporti. Sinora non vi è stato alcun accenno di mutamento nella condotta degli italiani. Questo problema crea grandi difficoltà nel mantenimento esteriore delle relazioni politiche italo-tedesche, perché i francesi e i rappresentanti diplomatici di altri paesi utilizzano abilmente la diversità di condotta verso gli ebrei, tenuta rispettivamente dall'Italia e dalla Germania. Gli italiani hanno fatto trasferire dalla Costa Azzurra alle stazioni climatiche del dipartimento dell'Isère e della Savoia circa mille ebrei bisognosi. Gli ebrei vi si trovano benissimo poiché non sono soggetti ad alcuna restrizione, ma, al contrario, alloggiati nei migliori alberghi."

Tra il 23 luglio e l'8 settembre del 1943 la vergognosa legislazione sugli ebrei non venne abolita, ma, di fatto, disattesa. Gli ebrei italiani, che con la caduta del fascismo avevano sperato in una liberazione dalla persecuzione, però, dovettero amaramente disilludersi.

Con l'occupazione tedesca del territorio nazionale la caccia all'ebreo fu ufficialmente aperta e la loro tragica sorte definitivamente segnata. Tra il 1943 ed il 1945 i deportati dall'Italia furono 7495; solo 610 riuscirono a tornare dall'inferno dei lager: 6885 vi trovarono la morte.

La popolazione italiana che per le leggi razziali aveva già dimostrato insofferenza, di fronte alla deportazione in massa di migliaia di concittadini, pur minacciata dalle armi degli occupanti, reagì cercando di sottrarre ai tedeschi il maggior numero di vittime possibile.

Anche se vi furono purtroppo vari casi di delazione da parte di civili, la stragrande maggioranza degli italiani diede agli ebrei braccati ogni sorta di aiuto possibile, a rischio della propria vita (si ebbero parecchi casi di fucilazioni per tale "reato").

Al processo di Gerusalemme contro A. Eichmann, è stato affermato che "ogni ebreo italiano che è sopravvissuto deve la sua vita agli italiani". Questo non deve far dimenticare, però, che polizia, carabinieri e militari, tranne casi sporadici, eseguirono passivamente gli ordini nazisti, pur sapendo che questo significava la morte per gli ebrei arrestati.

Anche l'atteggiamento della gerarchia cattolica non fu di ferma opposizione alla barbarie nazista. A partire dal 1938 la Santa Sede (che non denunciò mai i Concordati con il governo fascista né con quello nazista) aveva assunto di fronte ai provvedimenti razziali fascisti un atteggiamento moderato, cercando soprattutto di difendere le sue prerogative concordatarie. In questo avevano avuto peso notevole le correnti più oltranziste della Chiesa, sia quelle apertamente filofasciste, sia quelle che, fedeli alla tradizionale linea cattolica, non vedevano di malocchio una moderata persecuzione degli ebrei, limitata ad alcune restrizioni dei diritti civili.

In occasione del rastrellamento nel ghetto di Roma, la maggior operazione di tale tipo condotta in Italia, con oltre duemila deportati, la voce ufficiale della Chiesa non seppe levarsi in favore degli ebrei, donne, vecchi, bambini, malati compresi, che furono brutalmente strappati dalle loro case ed avviati allo sterminio di Birkenau.

La miglior testimonianza in tal senso è rappresentata dallo stesso stupore dei nazisti: l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Weizsacker, che si era aspettato una dura reazione da parte di Pio XII, pochi giorni dopo la criminale azione poteva rassicurare il ministero degli esteri di Berlino:

"Benché premuto da più parti, il Papa non si è ancora lasciato trascinare ad alcuna riprovazione dimostrativa a proposito della deportazione degli ebrei di Roma. Sebbene egli debba aspettarsi che un tale atteggiamento gli sia rinfacciato dai nostri nemici e che venga sfruttato dagli ambienti protestanti dei paesi anglo-sassoni nella loro propaganda contro il cattolicesimo, egli ha nondimeno fatto il possibile in questo delicato problema per non mettere alla prova le relazioni con il governo tedesco e le rappresentanze tedesche di Roma. Siccome, senza dubbio, non vi sarà più motivo di aspettarsi ulteriori azioni tedesche a Roma contro gli ebrei [!!!], si può ritenere che tale questione, spiacevole per le relazioni tra Germania e il Vaticano, sia liquidata."

Quello che non seppero fare le "alte sfere" della gerarchia, però, fecero, in periferia, fedeli e tanti sacerdoti, che tentarono in tutti i modi di salvare i perseguitati. Nelle parrocchie e nei conventi trovarono rifugio molti ebrei, che riuscirono a salvarsi dallo sterminio. Anche i Valdesi ospitarono nelle loro valli decine e decine di famiglie israelitiche e diedero rifugio nei loro luoghi sacri a numerosi perseguitati.

Nelle campagne, nei paesi montani, tra gente comune e funzionari pubblici che spesso approfittavano delle loro cariche per nascondere degli ebrei, si ebbe uno slancio di solidarietà verso quegli uomini, quelle donne, quei bimbi italiani perseguitati solo perché ebrei.

Il tributo di sangue imposto dai nazisti agli ebrei italiani nel '43-'45 fu enorme e spesso ottenuto con la complicità di qualche italiano che, per eccesso di zelo servile o fanatismo, collaborò. Ma se tale tributo non raggiunse le terrificanti percentuali di altri paesi europei (l'Italia fu seconda solo alla Danimarca per numero di concittadini sottratti alla deportazione e salvati), certo questo fu dovuto a quegli italiani che si prodigarono per aiutare i compatrioti ebrei, dimostrando quanto estranea e calata d'autorità sulle loro teste fosse stata l'intera politica della razza voluta da Mussolini.

D'altra parte, numerosi furono gli ebrei che parteciparono alla Resistenza, italiani che avevano scelto di scendere in campo con le armi a fianco di altri italiani per sconfiggere la barbarie nazi-fascista.

Il fascismo di Salò collaborò fino all'ultimo con il "padrone" tedesco, percorrendo fino in fondo quella via di degradazione e crimine che aveva imboccato con l'alleanza con la Germania. Sull'altare di tale alleanza Mussolini sacrificò con cinismo gli ebrei italiani, pur non essendo convinto, al contrario di Hitler e del fanatico stato maggiore nazista, che essi fossero portatori di alcuna "colpa": e in questo si dimostrò, se possibile, persino peggiore dei tedeschi che, almeno, a quella "colpa" ci credevano davvero.

La tragica conclusione del fascismo italiano era nelle sue stesse premesse, nella logica antidemocratica e liberticida, nella presunzione di essere il depositario dei destini di un popolo e, soprattutto, nella pretesa, comune a tutti i fascismi, di conoscere e rappresentare l'unica verità.

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