2.a.iv. Winnicot
Donalds
Woods Winnicot
Psicanalista inglese
(1986-1971) di formazione pediatrica, ha sempre occupato un posto
originale nel campo della psicanalisi infantile. Poco interessato a
porre dei punti di riferimento cronologico allo sviluppo, ha
avanzato delle proposte che, pure esse, si lasciano difficilmente
concettualizzare in modo dogmatico. Queste ipotesi, frutto della sua
pratica, corrispondono meglio, secondo Khan, a delle “funzioni
regolatrici”.
All’inizio, un
neonato non può esistere senza sua madre, dato che il suo
potenziale innato non può rivelarsi senza le cure materne.
La madre del neonato è
dapprima preda di quella che Winnicot chiama una malattia normale:
la preoccupazione materna primaria. Questa preoccupazione materna
primaria dà alla madre la capacità di mettersi al posto
del suo bambino e di rispondere ai suoi bisogni: grazie a questo
adeguamento precoce, il neonato non avverte nessuna minaccia
d’annichilimento e può investire il suo sé senza
pericolo. Dalla parte della madre la preoccupazione materna
primaria si sviluppa poco a poco durante la gravidanza, dura
alcune settimane dopo la nascita e si spegne progressivamente. Questo
stato può, secondo Winnicot essere paragonato ad uno stato di
ripiegamento, di dissociazione o anche ad uno stato schizoide. Più
tardi la madre guarisce da questo stato che poi dimentica, accetta di
non essere totalmente gratificante per il suo bambino: diventa
semplicemente una madre sufficientemente buona, cioè
una madre con mancanze passeggere che però non sono mai più
grandi di quelle che il suo bambino può sopportare. Quando la
madre non può lasciarsi spontaneamente invadere dalla
preoccupazione materna primaria, rischia di comportarsi da
madre terapeuta, incapace di soddisfare i bisogni precocissimi
del suo bambino e, in seguito, invadendo costantemente il suo spazio,
angosciata e colpevolizzata per la mancanza iniziale. Allora ella
“cura” il suo bambino invece di lasciargli fare le sue
esperienze. Winnicot distingue nella funzione materna tre ruoli che
definisce holding, handling e object-presenting. Il termine
holding si riferisce al sostegno, al mantenimento del bambino,
non solo fisico, ma anche psichico, essendo il bambino inizialmente
incluso nel funzionamento psichico della madre. Il termine handling
si riferisce alle manipolazioni del corpo: cure e pulizia,
abbigliamento, ma anche carezze, molteplici scambi cutanei.
Infine il termine
object-presenting si riferisce alla capacità della
madre di mettere a disposizione del suo bambino l’oggetto
nell’esatto momento in cui ne ha bisogno, né troppo
tardi né troppo presto, in modo tale che il bambino abbia il
sentimento onnipotente di aver lui stesso creato magicamente questo
oggetto. La presentazione troppo precoce dell’oggetto toglie al
bambino la possibilità di sperimentare il bisogno, poi il
desiderio, rappresenta un’irruzione da cui deve proteggersi
creando un falso sé. All’opposto, la presentazione
tardiva dell’oggetto porta il bambino a sopprimere il proprio
desiderio per non essere annientato dal bisogno e dalla collera. Il
bambino rischia anche di sottomettersi passivamente al suo ambiente.
Al contrario, quando la madre è abbastanza buona, il bambino
sviluppa un sentimento d’onnipotenza: ha l’illusione
attiva di creare il mondo attorno a lui.
Questa “attività
mentale del bambino trasforma un ambiente sufficientemente buono in
un ambiente perfetto”. Ciò permette alla psiche del
bambino di stare nel corpo, giungendo all’unità
mente-corpo, base d’un sé autentico. Parallelamente, di
fronte alle inevitabili piccole carenze della madre, il bambino prova
una disillusione moderata.
Essa è necessaria,
il bambino vi si adatta attivamente rimpiazzando l’illusione
primitiva con un’area intermedia, area della creatività
primaria: è ciò che Winnicot chiama l’area
transizionale il cui rappresentante più caratteristico è
l’oggetto transizionale. Questo oggetto non è né
interno né esterno, appartiene al mondo della realtà,
ma il bambino lo include all’inizio del suo mondo d’illusione
e d’onnipotenza; è precedente allo stabilirsi della
prova di realtà e rappresenta il seno o l’oggetto della
relazione primaria. Questo oggetto transitorio e, più
generalmente , questo spazio transizionale, sono i luoghi di
proiezione dell’illusione, dell’onnipotenza e della vita
fantasmatica del bambino. E’ essenzialmente anche lo spazio di
gioco per il bambino. Infine è assai difficile comprendere la
nozione di un falso sé: si tratta d’una specie di
barriera artificiale tra il vero sé nascosto, protetto e
l’ambiente allorché questo ambiente sia di cattiva
qualità, troppo intrusivo. Contrariamente al vero sé,
il falso sé non è creativo, non produce nel bambino il
sentimento d’essere reale. Può essere all’origine
d’una costruzione difensiva contro la paura di un
annichilimento e rappresenta il concetto che costituisce il legame
tra lo sviluppo normale e il campo del patologico.
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