PROPOSTE PER SUPERARE IL PROBLEMA DELLA MUTILAZIONE
GENITALE FEMMINILE (Varacalli Valentina)
a. Il parere di Medici senza frontiere sui riti
alternativi alle FGM
L'organizzazione umanitaria "Medici senza Frontiere" [I] [I] [I]
[F]
[S] [E] che opera in
tutto il mondo in situazioni di emergenza, in un articolo dal titolo Msf
contro la FGM, pubblicato nell'ottobre del 1999 dalla rivista
"Operations", ci mette a conoscenza di un particolare rito alternativo
all'infibulazione. L'autore ribadisce che Msf è contro qualsiasi forma di FGM e
specifica inoltre che l'organizzazione rifiuta di contribuire al miglioramento
delle condizioni igieniche in cui vengono eseguite tali pratiche. "Medici senza
Frontiere" rigetta la pratica per i disastrosi effetti sulla salute e perché si
tratta di una violazione dei diritti umani. Nei paesi in cui vengono
praticate le mutilazioni, i medici dell'organizzazione spesso si devono
confrontare con le complicanze immediate (salvano ad esempio le bambine portate
in ospedale in preda ad emorragia, setticemia o tetano) e con le complicanze
insorte a distanza di tempo (assistono le partorienti infibulate durante un
parto complicato e spesso impossibile per vie naturali). Purtroppo quello che
affrontano è solo la punta dell'iceberg: sicuramente molte bambine e donne
muoiono prima di raggiungere le strutture dove Msf opera.
L'articolo ricorda che Msf ha portato nell'assemblea generale
tenutasi in Belgio una mozione in cui viene raccomandato di usare, oltre alle
strategie di educazione e informazione sulle conseguenze mediche della pratica,
anche progetti che si propongono di abolire le FGM tramite altri rituali (riti
alternativi) che conservino lo stesso valore tradizionale e sociale ma che non
presentino i rischi della mutilazione. L'articolo afferma: "Attualmente un
progetto di questo tipo è messo in atto in Kenya a Dadaab, un campo profughi di
rifugiati somali. Il rito di iniziazione consiste nel prelevare un piccolo lembo
di pelle da una gamba invece di praticare la consueta mutilazione dei genitali.
Dovremmo esaminare tutti quegli aspetti che contribuiscono al mantenimento della
pratica (es. gli incentivi economici) o dovremmo trovare altri strumenti di
dissuasione".
L'autore conclude con un invito: "Chiunque abbia delle idee
migliori di quelle di Msf per agire in modo efficacie e concreto contro le FGM
ci coinvolga in modo da poter agire uniti contro lo stesso obiettivo". Fornisce
anche il nominativo da contattare: Sophie Maes, responsabile del gruppo di
lavoro contro le FGM.
b. Nascita e morte della proposta di un rito
simbolico non dannoso
Nel Centro di Riferimento Regionale per la Prevenzione e la
Cura delle Complicanze delle Mutilazioni dei Genitali Femminili [I] da anni si cura
ogni varietà delle modificazioni dei genitali femminili praticate da alcune
etnie per motivi tradizionali e non terapeutici: dalle più devastanti e dolorose
a quelle più lievi senza gravi conseguenze. Tra tutti i tipi descritti
dall'OMS, la FGM che richiede il maggior impegno professionale e psicologico, è
l'infibulazione. L'obiettivo finale è la promozione della salute psicofisica
delle donne che si rivolgono al Centro per essere curate. Oltre che curare si
cerca di educare e prevenire.
Per poter svolgere questi compiti, gli operatori hanno il
dovere etico e deontologico di essere a conoscenza delle dinamiche culturali e
tradizionali che hanno portato tante donne a mutilare i genitali delle proprie
figlie, generazione dopo generazione. Non si può ignorare che per queste
bambine, passare attraverso tale terribile esperienza -temuta e desiderata
insieme- significa poter fare parte, a pieno diritto, del proprio gruppo
femminile ed essere degne di diventare un giorno spose e madri. Per loro la FGM
è un rito di iniziazione talmente potente da imprimere nella memoria e nel corpo
non solo la sofferenza ma anche identità ed orgoglio: con la FGM il soggetto
diventa donna in quanto la sola biologia non è sufficiente. Durante questa
attività di lavoro e di ricerca, si sono spesso evidenziati conflitti innescati
dallo stravolgimento dei valori in cui crede una donna immigrata da un paese a
tradizione escissoria: a volte riesce ad adattarsi e a condividere quelli nuovi
per essere accettata nella nuova realtà anche a costo di rotture con la propria
tradizione e quindi con la propria comunità; altre volte questo non succede e
allora si isola e vive difendendo con forza le proprie tradizioni, anche quando
non sono accettate dal mondo "civile".
Attraverso indagini scientifiche sul campo si è appreso che
per molte di queste donne e per la loro famiglia risulta impossibile non
rispettare questa tradizione che viene descritta come buona e "migliorativa
dell'essere donna"; viceversa, per i nostri valori culturali, la pratica è una
mutilazione e una violazione dell'integrità del corpo femminile operate su
bambine non in grado di opporsi al condizionamento sociale e culturale del
gruppo d'appartenenza. E' con queste donne che si è aperto un dialogo, cercando
di convincerle pur rispettandole, che non occorre accettare l'inutile sofferenza
procurata dalla pratica escissoria per essere stimate e per raggiungere un'
identità femminile "certa". Alla fine, i racconti segreti delle pazienti
mutilate giunte al Centro, le cose viste, le condizioni trovate, le parenti e le
amiche infibulate che si sono confidate hanno fatto sì che tale compito potesse
diventare, oltre che sanitario, anche propositivo di miglioramento delle
problematiche culturali e fisiche connesse. L'essere medico impone di fare
diagnosi, di curare e di prevenire, così di fronte a casi di irriducibile
volontà a farsi infibulare, si è cercato di dissuadere con l'informazione:
alcuni casi sono stati risolti positivamente, altri meno.
Con un gran numero di donne somale è stata definita la
proposta di un "rito simbolico alternativo" da proporre esclusivamente alle
famiglie irriducibili quando appariva evidente che ogni strategia educativa e di
informazione per prevenirla si era dimostrata inutile e di cui, con certezza, si
sapeva che avrebbero mutilato le bambine nell'immediato. Tale pratica consiste
in una puntura di ago sottile sulla mucosa esterna che ricopre il clitoride dopo
breve e temporanea anestesia locale con specifica crema anestetica; l'obiettivo
era di dare la possibilità alle bambine delle famiglie più tradizionali di
evitare un danno maggiore, o meglio, di azzerarlo- non c'era perdita di tessuto
o mutilazione e non c'era dolore- e di vivere protette e rispettate sia nella
famiglia d'origine che nella società in cui vivono. Avrebbero potuto avere il
loro rito senza pesanti segreti che avvelenano loro la vita ed in modo legale,
con il riconoscimento da parte delle figure importanti della comunità
(anziani/e, uomini, religiosi) e senza la sofferenza che la mutilazione
comporta. Il rito era diretto a ragazzine abbastanza grandi da esprimere la
propria volontà e scelta, magari dopo essere state ascoltate da specialisti di
psicologia pediatrica e dell'adolescenza; il momento fondamentale sarebbe stato
l'evento della festa che la famiglia prepara in questa occasione per rendere
"quel giorno" speciale e fuori dal quotidiano. Il Centro, quindi, ha appoggiato
e portato avanti la proposta come pratica medica preventiva con i contributi
scientifici di psicologi, antropologi, sessuologi, ginecologi e pediatri che da
anni studiano il profondo radicamento di queste pratiche e la loro lenta e
difficile eradicazione in tutto il mondo. Qualche centinaio di donne infibulate,
ormai sensibilizzate al problema, ha sottoscritto la proposta e i capi di molte
delle comunità provenienti dai paesi escissori l'hanno sostenuta e sottoscritta
a loro volta. E' importante inoltre sottolineare l'importanza del supporto
maschile in questa battaglia, infatti risulta chiaro il desiderio dei padri di
essere parte attiva nel difendere le proprie bambine sottraendole a questa
usanza: i pochissimi casi di donne somale non infibulate ( purtroppo solo 4 in 3
anni di ricerca) sono scampate all'operazione grazie alla decisa opposizione
paterna.
Dopo vari incontri e dibattiti sono stati riconosciuti a tale
proposta i requisiti legali, etici e deontologici; tuttavia, poiché il Consiglio
Regionale della Toscana l'ha bocciata prima ancora che il Comitato di Bioetica
Regionale esprimesse parere favorevole, si è dovuto rispettare tale decisione.
Il rito alternativo avrebbe potuto indubbiamente diminuire la percentuale di
donne a rischio di infibulazione, perché dietro ci sarebbe stato un intenso
lavoro di educazione e informazione con il coinvolgimento di tutte le figure che
contano all'interno della comunità e di tutte le etnie presenti in Italia,
Europa e nei paesi d'origine.
Per i paesi occidentali la presenza massiccia di donne con
FGM è un'emergenza che richiede l'adozione di specifiche disposizioni sul piano
delle politiche pubbliche. A livello sanitario, è emersa spesso l'incapacità
medica e culturale a fronteggiare le richieste delle immigrate mutilate, le
complicanze e le patologie legate al tipo di FGM, le cure e l'assistenza
necessarie. L'impegno continuo di tutti contro questa pratica arcaica e dannosa
richiede un grande lavoro, non solo nelle donne e negli uomini che provengono da
paesi a tradizione escissoria, ma anche nelle nostre coscienze. E' necessario
che medici, paramedici, pediatri, insegnanti, psicologi, sociologi e
antropologi, associazioni civili ed istituzioni collaborino e condividano
conoscenze ed esperienze per trovare soluzioni e strategie di lotta efficaci
contro un problema complesso e drammatico, dai significati spesso contrastanti e
per noi incomprensibili.
Si deve ammettere che, nonostante le molteplici campagne di
associazioni e di governi, sono ancora numerose le donne che subiscono la FGM,
che la difendono e che vogliono che essa sia praticata sulle proprie figlie e
nipoti. Ciò che rende ardua la lotta ed impedisce di coinvolgere il 100% delle
donne è l'introiezione positiva che nei millenni queste donne hanno sviluppato,
legando la modificazione dei genitali a valori come orgoglio, bellezza, forza,
castità, purezza, fedeltà. L'hanno legata alla loro stessa identità forse come
meccanismo di difesa per poter sopravvivere ad un orrore simile. E' necessario
chiederci come mai tale pratica sia sopravvissuta fino ai giorni nostri,
nonostante che vi siano molte donne coraggiose che combattono fianco a fianco;
dobbiamo sapere che in Occidente esistono ragazze, figlie di immigrati da paesi
in cui viene praticata l'infibulazione, che desiderano la mutilazione e che è
difficile spiegare la bellezza del corpo femminile integro a donne che, da
quando sono nate, hanno visto mamme, sorelle e nonne lisce come bambole e che
per loro quella è la vera bellezza.
c. Barny, cosa fare quando la tradizione è più forte che
mai?
La storia di Barny, una fanciulla di diciannove anni
proveniente da Mogadiscio e ora in Italia è un chiaro esempio di come la
pratica escissoria sia fortemente radicalizzata. Coperta come tutte le donne
musulmane, apprezza i gioielli somali, ama la musica somala e mangia quasi
esclusivamente piatti tradizionali; nata nel 1988, è la nona di undici figli,
otto femmine e tre maschi. Ha una mutilazione genitale di terzo tipo, quindi
un'infibulazione. Quando le si chiede cosa pensa delle FGM lei risponde: "E'
buono, è bello. E' la nostra tradizione. Io sono contenta di averla. Se non
l'avessi non mi potrei sposare; quando avrò dei figli, la farò fare anche a
loro, anche se rimango a vivere in Europa. In questo modo, le mie figlie
sapranno che loro sono dell'Africa, anzi della Somalia. Quel giorno sono andata
in ospedale e ci sono stata per tre giorni; mi hanno dato medicine e non ricordo
dolore, poi sono tornata a casa, le mie sorelle avevano cucinato, c'erano i
parenti e una grande festa". Barny ha tre sorelle più piccole di lei;
l'ultima ha subito l'intervento di mutilazione solamente nove anni fa. E' triste
pensare a realtà come quella descritta, specialmente se si tiene conto che
quella di Barny è una delle famiglie più ricche, più colte e prestigiose di
Mogadiscio, grande città africana dove si concentrano gli aiuti. Ancora meno
incoraggiante è la certezza che tante ragazze, che dovrebbero essere contrarie,
difendono la pratica e la farebbero anche alle figlie.
Cosa fare, quindi, quando la tradizione non vuole morire?
Sono state illustrate a Barny le conseguenze delle FGM, le complicanze fisiche e
i traumi psicologici, il fatto che non si tratta di una prescrizione religiosa e
che si pratica contro la legge dello Stato. Barny ha espresso ancora la sua
ferma convinzione: non abbandonerà mai le tradizioni del suo paese, perché già
lasciarlo le è costato fatica, e va fiera della sua infibulazione. Le sono state
poi illustrate le possibili alternative alle FGM che sono in uso in diverse
località del mondo ed in particolare la proposta del rito alternativo. Barny sorride e dopo qualche istante afferma: "E' una bella idea, peccato che
non è stata accettata; se in Italia ci fosse la farei ai miei figli, ma visto
che non c'è, dovrò fare una pratica come la mia".