Le mutilazioni genitali femminili di Ragazzone Elisabetta (elizabeth.crystal@libero.it), Varacalli Valentina ()

Proposte per superare il problema della mutilazione genitale femminile.

PROPOSTE PER SUPERARE IL PROBLEMA DELLA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE (Varacalli Valentina)

a.  Il parere di Medici senza frontiere sui riti alternativi alle FGM

L'organizzazione umanitaria "Medici senza Frontiere" [I] [I] [I] [F] [S] [E] che opera in tutto il mondo in situazioni di emergenza, in un articolo dal titolo Msf contro la FGM, pubblicato nell'ottobre del 1999 dalla rivista "Operations", ci mette a conoscenza di un particolare rito alternativo all'infibulazione. L'autore ribadisce che Msf è contro qualsiasi forma di FGM e specifica inoltre che l'organizzazione rifiuta di contribuire al miglioramento delle condizioni igieniche in cui vengono eseguite tali pratiche. "Medici senza Frontiere" rigetta la pratica per i disastrosi effetti sulla salute e perché si tratta  di una violazione dei diritti umani. Nei paesi in cui vengono praticate le mutilazioni, i medici dell'organizzazione spesso si devono confrontare con le complicanze immediate (salvano ad esempio le bambine portate in ospedale in preda ad emorragia, setticemia o tetano) e con le complicanze insorte a distanza di tempo (assistono le partorienti infibulate durante un parto complicato e spesso impossibile per vie naturali). Purtroppo quello che affrontano è solo la punta dell'iceberg: sicuramente molte bambine e donne muoiono prima di raggiungere le strutture dove Msf opera.

L'articolo ricorda che Msf ha portato nell'assemblea generale tenutasi in Belgio una mozione in cui viene raccomandato di usare, oltre alle strategie di educazione e informazione sulle conseguenze mediche della pratica, anche progetti che si propongono di abolire le FGM tramite altri rituali (riti alternativi) che conservino lo stesso valore tradizionale e sociale ma che non presentino i rischi della mutilazione. L'articolo afferma: "Attualmente un progetto di questo tipo è messo in atto in Kenya a Dadaab, un campo profughi di rifugiati somali. Il rito di iniziazione consiste nel prelevare un piccolo lembo di pelle da una gamba invece di praticare la consueta mutilazione dei genitali. Dovremmo esaminare tutti quegli aspetti che contribuiscono al mantenimento della pratica (es. gli incentivi economici) o dovremmo trovare altri strumenti di dissuasione".

L'autore conclude con un invito: "Chiunque abbia delle idee migliori di quelle di Msf per agire in modo efficacie e concreto contro le FGM ci coinvolga in modo da poter agire uniti contro lo stesso obiettivo". Fornisce anche il nominativo da contattare: Sophie Maes, responsabile del gruppo di lavoro contro le FGM.

b.  Nascita e morte della proposta di un rito simbolico non dannoso

Nel Centro di Riferimento Regionale per la Prevenzione e la Cura delle Complicanze delle Mutilazioni dei Genitali Femminili [I] da anni si cura ogni varietà delle modificazioni dei genitali femminili praticate da alcune etnie per motivi tradizionali e non terapeutici: dalle più devastanti e dolorose a quelle più lievi  senza gravi conseguenze. Tra tutti i tipi descritti dall'OMS, la FGM che richiede il maggior impegno professionale e psicologico, è l'infibulazione. L'obiettivo finale è la promozione della salute psicofisica delle donne che si rivolgono al Centro per essere curate. Oltre che curare si cerca di educare e prevenire.

Per poter svolgere questi compiti, gli operatori hanno il dovere etico e deontologico di essere a conoscenza delle dinamiche culturali e tradizionali che hanno portato tante donne a mutilare i genitali delle proprie figlie, generazione dopo generazione. Non si può ignorare che per queste bambine, passare attraverso tale terribile esperienza -temuta e desiderata insieme- significa poter fare parte, a pieno diritto, del proprio gruppo femminile ed essere degne di diventare un giorno spose e madri. Per loro la FGM è un rito di iniziazione talmente potente da imprimere nella memoria e nel corpo non solo la sofferenza ma anche identità ed orgoglio: con la FGM il soggetto diventa donna in quanto la sola biologia non è sufficiente. Durante questa attività di lavoro e di ricerca, si sono spesso evidenziati conflitti innescati dallo stravolgimento dei valori in cui crede una donna immigrata da un paese a tradizione escissoria: a volte riesce ad adattarsi e a condividere quelli nuovi per essere accettata nella nuova realtà anche a costo di rotture con la propria tradizione e quindi con la propria comunità; altre volte questo non succede e allora si isola e vive difendendo con forza le proprie tradizioni, anche quando non sono accettate dal mondo "civile".

Attraverso indagini scientifiche sul campo si è appreso che per molte di queste donne e per la loro famiglia risulta impossibile non rispettare questa tradizione che viene descritta come buona e "migliorativa dell'essere donna"; viceversa, per i nostri valori culturali, la pratica è una mutilazione e una violazione dell'integrità del corpo femminile operate su bambine non in grado di opporsi al condizionamento sociale e culturale del gruppo d'appartenenza. E' con queste donne che si è aperto un dialogo, cercando di convincerle pur rispettandole, che non occorre accettare l'inutile sofferenza procurata dalla pratica escissoria per essere stimate e per raggiungere un' identità femminile "certa". Alla fine, i racconti segreti delle pazienti mutilate giunte al Centro, le cose viste, le condizioni trovate, le parenti e le amiche infibulate che si sono confidate hanno fatto sì che tale compito potesse diventare, oltre che sanitario, anche propositivo di miglioramento delle problematiche culturali e fisiche connesse.  L'essere medico impone di fare diagnosi, di curare e di prevenire, così di fronte a casi di irriducibile volontà a farsi infibulare, si è cercato di dissuadere con l'informazione: alcuni casi sono stati risolti positivamente, altri meno.

Con un gran numero di donne somale è stata definita la proposta di un "rito simbolico alternativo" da proporre esclusivamente alle famiglie irriducibili quando appariva evidente che ogni strategia educativa e di informazione per prevenirla si era dimostrata inutile e di cui, con certezza, si sapeva che avrebbero mutilato le bambine nell'immediato. Tale pratica consiste in una puntura di ago sottile sulla mucosa esterna che ricopre il clitoride dopo breve e temporanea anestesia locale con specifica crema anestetica; l'obiettivo era di dare la possibilità alle bambine delle famiglie più tradizionali di evitare un danno maggiore, o meglio, di azzerarlo- non c'era perdita di tessuto o mutilazione e non c'era dolore- e di vivere protette e rispettate sia nella famiglia d'origine che nella società in cui vivono. Avrebbero potuto avere il loro rito senza pesanti segreti che avvelenano loro la vita ed in modo legale, con il riconoscimento da parte delle figure importanti della comunità (anziani/e, uomini, religiosi) e senza la sofferenza che la mutilazione comporta. Il rito era diretto a ragazzine abbastanza grandi da esprimere la propria volontà e scelta, magari dopo essere state ascoltate da specialisti di psicologia pediatrica e dell'adolescenza; il momento fondamentale sarebbe stato l'evento della festa che la famiglia prepara in questa occasione per rendere "quel giorno" speciale e fuori dal quotidiano. Il Centro, quindi, ha appoggiato e portato avanti la proposta come pratica medica preventiva con i contributi scientifici di psicologi, antropologi, sessuologi, ginecologi e pediatri che da anni studiano il profondo radicamento di queste pratiche e la loro lenta e difficile eradicazione in tutto il mondo. Qualche centinaio di donne infibulate, ormai sensibilizzate al problema, ha sottoscritto la proposta e i capi di molte delle comunità provenienti dai paesi escissori l'hanno sostenuta e sottoscritta a loro volta. E' importante inoltre sottolineare l'importanza del supporto maschile in questa battaglia, infatti risulta chiaro il desiderio dei padri di essere parte attiva nel difendere le proprie bambine sottraendole a questa usanza: i pochissimi casi di donne somale non infibulate ( purtroppo solo 4 in 3 anni di ricerca) sono scampate all'operazione grazie alla decisa opposizione paterna.

Dopo vari incontri e dibattiti sono stati riconosciuti a tale proposta i requisiti legali, etici e deontologici; tuttavia, poiché il Consiglio Regionale della Toscana l'ha bocciata prima ancora che il Comitato di Bioetica Regionale esprimesse parere favorevole, si è dovuto rispettare tale decisione. Il rito alternativo avrebbe potuto indubbiamente diminuire la percentuale di donne a rischio di infibulazione, perché dietro ci sarebbe stato un intenso lavoro di educazione e informazione con il coinvolgimento di tutte le figure che contano all'interno della comunità e di tutte le etnie presenti in Italia, Europa e nei paesi d'origine.

Per i paesi occidentali la presenza massiccia di donne con FGM è un'emergenza che richiede l'adozione di specifiche disposizioni sul piano delle politiche pubbliche. A livello sanitario, è emersa spesso l'incapacità medica e culturale a fronteggiare le richieste delle immigrate mutilate, le complicanze e le patologie legate al tipo di FGM, le cure e l'assistenza necessarie. L'impegno continuo di tutti contro questa pratica arcaica e dannosa richiede un grande lavoro, non solo nelle donne e negli uomini che provengono da paesi a tradizione escissoria, ma anche nelle nostre coscienze. E' necessario che medici, paramedici, pediatri, insegnanti, psicologi, sociologi e antropologi, associazioni civili ed istituzioni collaborino e condividano conoscenze ed esperienze per trovare soluzioni e strategie di lotta efficaci contro un problema complesso e drammatico, dai significati spesso contrastanti e per noi incomprensibili.

Si deve ammettere che, nonostante le molteplici campagne di associazioni e di governi, sono ancora numerose le donne che subiscono la FGM, che la difendono e che vogliono che essa sia praticata sulle proprie figlie e nipoti. Ciò che rende ardua la lotta ed impedisce di coinvolgere il 100% delle donne è l'introiezione positiva che nei millenni queste donne hanno sviluppato, legando la modificazione dei genitali a valori come orgoglio, bellezza, forza, castità, purezza, fedeltà. L'hanno legata alla loro stessa identità forse come meccanismo di difesa per poter sopravvivere ad un orrore simile. E' necessario chiederci come mai tale pratica sia sopravvissuta fino ai giorni nostri, nonostante che vi siano molte donne coraggiose che combattono fianco a fianco; dobbiamo sapere che in Occidente esistono ragazze, figlie di immigrati da paesi in cui viene praticata l'infibulazione, che desiderano la mutilazione e che è difficile spiegare la bellezza del corpo femminile integro a donne che, da quando sono nate, hanno visto mamme, sorelle e nonne lisce come bambole e che per loro quella è la vera bellezza.

c. Barny, cosa fare quando la tradizione è più forte che mai?

La storia di Barny, una fanciulla di diciannove anni proveniente da Mogadiscio  e ora in Italia è un chiaro esempio di come la pratica escissoria sia fortemente radicalizzata. Coperta come tutte le donne musulmane, apprezza i gioielli somali, ama la musica somala e mangia quasi esclusivamente piatti tradizionali; nata nel 1988, è la nona di undici figli, otto femmine e tre maschi. Ha una mutilazione genitale di terzo tipo, quindi un'infibulazione. Quando le si chiede cosa pensa delle FGM lei risponde: "E' buono, è bello. E' la nostra tradizione. Io sono contenta di averla. Se non l'avessi non mi potrei sposare; quando avrò dei figli, la farò fare anche a loro, anche se rimango a vivere in Europa. In questo modo, le mie figlie sapranno che loro sono dell'Africa, anzi della Somalia. Quel giorno sono andata in ospedale e ci sono stata per tre giorni; mi hanno dato medicine e non ricordo dolore, poi sono tornata a casa, le mie sorelle avevano cucinato, c'erano i parenti e una grande festa". Barny ha tre sorelle più piccole di lei; l'ultima ha subito l'intervento di mutilazione solamente nove anni fa. E' triste pensare a realtà come quella descritta, specialmente se si tiene conto che quella di Barny è una delle famiglie più ricche, più colte e prestigiose di Mogadiscio, grande città africana dove si concentrano gli aiuti. Ancora meno incoraggiante è la certezza che tante ragazze, che dovrebbero essere contrarie, difendono la pratica e la farebbero anche alle figlie.

Cosa fare, quindi, quando la tradizione non vuole morire? Sono state illustrate a Barny le conseguenze delle FGM, le complicanze fisiche e i traumi psicologici, il fatto che non si tratta di una prescrizione religiosa e che si pratica contro la legge dello Stato. Barny ha espresso ancora la sua ferma convinzione: non abbandonerà mai le tradizioni del suo paese, perché già lasciarlo le è costato fatica, e va fiera della sua infibulazione. Le sono state poi illustrate le possibili alternative alle FGM che sono in uso in diverse località del mondo ed in particolare  la proposta del rito alternativo. Barny sorride e dopo qualche istante afferma: "E' una bella idea, peccato che non è stata accettata; se in Italia ci fosse la farei ai miei figli, ma visto che non c'è, dovrò fare una pratica come la mia".

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Edurete.org Roberto Trinchero