La donna e il matrimonio nell'antica Grecia
Erodoto, storico greco,scriveva:“Gli Egiziani hanno costumi e leggi contrarie a quelli di tutti gli altri popoli. Presso di loro le donne vanno al mercato e commerciano, mentre gli uomini restano a casa e tessono”. Per lo storico greco, quindi, sembrava inconcepibile l’idea che le donne potessero avere tutte queste libertà di movimento. In questa frase si ritrova la concezione greca della donna, per cui essa doveva restare chiusa in casa. La donna greca,infatti, viveva all’interno della casa nella parte a lei riservata e che portava il nome di “gineceo”. [F]; [F].
Le donne nella casa lavoravano e accudivano i figli, senza uscire quasi mai: stavano sempre tra di loro. Il matrimonio poggiava su un accordo formale tra sposo e sposa in cui era presente la consegna della dote
allo sposo. In questo accordo, stipulato tra suocero e
genero, la donna non esprimeva il proprio consenso. Poi,il trasferimento della donna costituiva il compimento del matrimonio, nel quale si realizzava l’unione: la sposa cambiava casa, ma anche padrone,passando dal padre allo sposo.[I]; [F];.[S].
La sorte delle donne era segnata fin dalla loro
tenera età. L’età considerata adatta per le nozze si
aggirava tra i 14 e i 16 anni, ma a volte le spose erano anche più giovani. Il loro sviluppo, sia fisico che mentale, avveniva infatti molto presto, ma sfiorivano ancora in giovane età. Comunque il loro consorte, che il padre sceglieva, era sempre molto più anziano. L'uomo
greco infatti si sposava all'età di circa trent'ann. Proprio in queste ultime due figure l'uomo greco cercava
soddisfazione ai propri bisogni affettivi frequentando delle concubine. La moglie,infatti,non era altro se non uno "strumento" per
la procreazione, imposto allo sposo dal padre [I];[S].
Anche se il contratto non poneva la sposa propriamente
come “figlia dello sposo”, l’usanza ateniese faceva sì che lei fosse un’eterna minore a cui lo sposo/ tutore doveva garantire tutti gli atti politici.Quando una donna era implicata in un processo era il marito che la rappresentava in tribunale. Il contratto poneva la sposa come “pupilla dello sposo", per cui lo sposo assumeva la tutela della sposa, ma il padre di lei continuava a mantenerla come figlia. Per questo, se il contratto si rompeva, essa ritornava automaticamente sotto l’autorità del padre e poteva ereditare.
Riguardo alla dote, essa era della donna: lo sposo, stipulando il contratto, si riconosceva debitore della dote e forniva una garanzia ipotecaria sui suoi beni fondiari. Come aveva la
tutela della moglie, aveva anche quella della dote:l’aveva in gestione e ne utilizzava i redditi, finché durava il matrimonio. Il marito era un semplice usufruttuario,poiché i veri destinatari della dote erano i figli, che ne entravano in possesso alla morte della madre.
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