L'agroecosistema e la lotta biologica di Daniela Garelli (dgarelli1972@libero.it)

I mezzi di lotta chimica: i fitofarmaci

Con il termine generico di fitofarmaci [I1] [I2] [E1] [F1] [SP1] (in passato denominati anche antiparassitari o pesticidi), si intendono tutti quei composti chimici, inorganici od organici, naturali o di sintesi, che consentono il controllo di vari organismi (funghi, batteri, insetti, erbe infestanti) che danneggiano le colture agricole.

L’utilizzo dei fitofarmaci è normato in Italia dal Decreto Legislativo 194 del 17 marzo 1995 che ne da la definizione, ne definisce gli usi, fissa le norme per la vendita, l’acquisto e l’utilizzo.

I prodotti fitosanitari vengono classificati in base al tipo di agente contro il quale vengono applicati. I principali raggruppamenti sono: diserbanti, anticrittogamici o fungicidi, insetticidi, acaricidi, repellenti.

La quasi totalità dei prodotti fitosanitari viene commercializzata sotto forma di formulati costituiti dalle seguenti tre parti:

  • Principio attivo. E’ la sostanza che esplica l’azione diretta nel confronto dell’agente.
  • Coadiuvanti. Sono sostanze aggiunte al principio attivo al fine di migliorarne l’azione e la persistenza (es. bagnanti, emulsionanti, adesivanti).
  • Sostanze inerti. Servono a diluire il principio attivo.

    I fitofarmaci agiscono sul loro bersaglio utilizzando diversi meccanismi di azione. Alcuni esempi: I diserbanti come il 2,4 D e l’MCPA, diserbanti selettivi delle infestanti a foglia larga dei cereali, creano interferenze sulla sintesi delle proteine unitamente ad alterazioni enzimatiche, respiratorie e traspiratorie. Altri diserbanti come le triazine agiscono inibendo la fotosintesi delle piante infestanti. Tra i fungicidi i ditiocarbammati, ma anche i composti organici come i prodotti rameici, creano un’interferenza nella respirazione del patogeno, inibendo le attività enzimatiche. Gli insetticidi (piretroidi, fosforganici, DDT) agiscono, per lo più, creando interferenze nel sistema nervoso degli insetti patogeni.

    Ogni prodotto fitosanitario ha un suo “periodo di vita”, che dipende fondamentalmente dalla stabilità chimica della sua molecola (dal momento del trattamento in campo, inizia la denaturazione del principio attivo, che viene effettuata sia dagli agenti climatici che dalle azioni di metabolizzazione dei vegetali). Dopo un certo periodo di tempo la presenza sui vegetali di questi residui arriva ad essere molto bassa, o comunque non più dannosa per l’uomo. Questo intervallo di tempo, chiamato tempo di carenza, viene stabilito per legge e deve essere indicato obbligatoriamente sulla confezione commerciale. Dopo tale periodo i residui tossici devono rimanere entro valori chiamati limiti di tolleranza.

    I prodotti fitosanitari sono stati suddivisi in classi di tossicità [I1] in base all’impatto che questi possono avere nei confronti sia dell’uomo sia dell’ambiente. Fino a pochi anni fa questa classificazione era basata principalmente sulla valutazione della tossicità acuta (quantità di prodotto che somministrato una sola volta determina la morte nel 50% dei casi) della sostanza nei confronti dell’uomo e suddivideva i prodotti in quattro classi tossicologiche (I II III IV). La normativa attuale prende in esame anche la tossicità cronica (tossicità di un formulato somministrato a dosi continue, determinando un accumulo nell’organismo), l’impatto ambientale, la persistenza, la quantità dei residui e l’azione sulla fauna utile. Di seguito si riportano i simboli e le classi attualmente in vigore. Per i prodotti "Molto Tossici" (T+), "Tossici" (T) e "Nocivi" (Xn) occorre, da parte dell’utilizzatore, ottenere un apposito “Patentino dei fitofarmaci” rilasciato dal Settore a ciò preposto dalla Regione di appartenenza. Il rilascio del patentino è vincolato alla frequentazione di un corso e al superamento dell’esame finale. La Legge obbliga inoltre i venditori di fitofarmaci alla tenuta del registro di carico e scarico, alla detenzione in locale separato e sotto chiave.

    Il successo che i prodotti chimici hanno avuto in agricoltura è da ricercarsi nella facilità di impiego, nella relativa economicità degli interventi e nella sicura riuscita degli stessi.

    L’evoluzione dei prodotti fitosanitari ha seguito nel corso degli anni il progredire delle tecniche agricole e negli ultimi anni i progressi della ricerca. In un primo momento, intorno al 1800 si era sentita l’esigenza di distruggere ogni forma di malattia, attraverso l’impiego di sostanze ad azione totale. I prodotti erano molto semplici ed in genere di natura inorganica. Appartengono a questa prima categoria definita di prima generazione, i sali di rame e di zolfo, gli arseniati e i sali mercurici. Successivamente, negli anni tra le due guerre e anche dopo, gli enormi progressi compiuti dall’industria chimica hanno portato all’individuazione del principio di selettività. Degli anni quaranta è la scoperta degli erbicidi 2,4D e MCPA, in grado di intervenire soltanto sulle specie erbacee infestanti e non sulle colture cerealicole. Negli anni cinquanta furono individuate altri principi come i carbammati, i fosforganici, le triazine. Tutti questi prodotti, che hanno sviluppato il concetto di selettività, pur mantenendo uno spettro di azione piuttosto ampio, sono detti di seconda generazione. Negli anni sessanta sono emerse prepotentemente le prime avvisaglie dei danni provocati dall’inquinamento da antiparassitari. Sono stati così prodotti alcuni fitofarmaci, chiamati di terza generazione, che, seppure molto diversi tra loro, hanno in comune la caratteristica di essere molto selettivi ad azione mirata ed ad impatto ambientale irrilevante. Tra questi i nuovi prodotti a base di batteri, i nuovi prodotti biotecnologici a base di ferormoni e regolatori di crescita.

    CONSEGUENZE NEGATIVE DELL’USO DEI FITOFARMACI

    Azione sugli organismi e tossicità ambientale

    Danni a carico dell’operatore agricolo. Causati da intossicazione acuta o cronica. L’intossicazione acuta si può verificare contingentemente alla preparazione o alla distribuzione del prodotto in modo improprio. L’intossicazione cronica si può manifestare con alterazioni a livello fisiologico e può essere responsabile di effetti cancerogeni o teratogeni (alterazione del normale processo di formazione dell’embrione e del feto con conseguenti malformazioni).

    Danni a carico del consumatore. In seguito all’ingestione di prodotti vegetali contaminati dai fitofarmaci. La contaminazione può essere diretta (ingestione prodotti trattati in campo e per la conservazione) a causa della mancato rispetto dei tempi di carenza, o indiretta a causa dell’assorbimento da parte delle colture di acqua da falde inquinate con prodotti fitosanitari. I possibili rischi del consumatore possono sorgere, a lungo termine anche in seguito al consumo di alimenti di origine animale contaminati quali carni, latte e derivati. L’uomo, essendo al livello più alto della catena alimentare, può assumete con gli alimenti le sostanze che via via si sono concentrate negli organismi posti ai diversi livelli della catena. Particolarmente famoso a questo proposito è il DDT [E1] [I2] (diclorodifeniltricloroetano), un insetticida attualmente vietato in Italia e in gran parte dei Paesi del mondo. Il DDT fu scelto come prodotto per combattere la zanzara anofele, responsabile della diffusione della malaria, perché si credeva che, sebbene altamente tossico per gli insetti, fosse innocuo per l'uomo. Agli inizi fu usato con successo per combattere la diffusione della malaria e del tifo, sia su popolazione civile che militare. Il chimico svizzero Paul Hermann Müller fu premiato nel 1948 con il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina "per la scoperta della grande efficacia del DDT come veleno da contatto contro molti artropodi". Ma in seguito si scoprì che il DDT è un prodotto ad alta persistenza nell’ambiente (si è ritrovato il prodotto nel ghiaccio dei poli!) e soggetto ad accumularsi nei tessuti grassi. Studi effettuati dagli anni ’50 in poi rilevarono la presenza sempre più diffusa di DDT nei tessuti grassi dell’uomo, che incorporava il fitofarmaco con gli alimenti, soprattutto latte e suoi derivati. In Italia l’uso venne vietato nel 1978. Attualmente però il DDT viene ancora prodotto per essere esportato in alcun Paesi del Terzo Mondo, dove non ne è stato vietato l’uso. Fonti ONU ne segnalano l’uso in Sud America, Asia e Africa per combattere gli insetti del cotone e per disinfestare le aree oppresse dalla malaria.

    Fitotossicità. Si parla di fitotossicità quando il danno si riscontra sulla specie vegetale trattata, che manifesta una sofferenza biologica. La fitotossicità è dovuta nella maggioranza dei casi ad errore umano, a causa di utilizzo di dosi eccessive, di trattamenti effettuati in fasi fenologiche non opportune, di cattivo funzionamento delle attrezzature.

    Danni a carico della biocenosi. Si possono verificare danni sulla fauna selvatica, sugli entomofagi, sugli insetti impollinatori, sulla pedofauna e sui microrganismi del terreno. Possono aversi effetti diretti sugli organismi colpiti, che assumono direttamente il fitofarmaco (alcuni insetticidi e fungicidi possono essere letali per diversi organismi della pedofauna) ed effetti indiretti derivanti da fenomeni di accumulo: il fitofarmaco assunto con gli alimenti si accumula progressivamente lungo la catena alimentare. Gli insetticidi organofosfati (Parathion, Malathion) sono estremamente tossici, per la biomassa che ne viene a contatto, per gli insetti impollinatori e anche per l’uomo che effettua le dispersioni nell’ambiente.

    Inquinamento

    Solo una minima parte del prodotto fitosanitario raggiunge l’organismo agente di danno, una buona percentuale rimane nelle piante trattate, in parte finisce nel terreno con il dilavamento degli organi vegetali e con i residui di coltura, in parte migra nell’ambiente circostante per ruscellamento. Molti fitofarmaci, come i diserbanti vengono poi applicati direttamente al suolo stesso. Dal terreno i fitofarmaci possono essere mobilizzati con i fluidi idrici ed arrivare ai corpi d’acqua superficiali e profondi fuoriuscendo dall’agroecosistema stesso. I diserbanti, come il 2,4 D o l’atrazina, ed i fungicidi hanno un effetto deleterio sull’ambiente, soprattutto se la loro dislocazione raggiunge le falde sotterranee ed i corsi d’acqua. La loro tossicità ambientale è dovuta al fatto che possono entrare nelle catene trofiche. E’ dimostrato ad esempio che il 2,4 D è cancerogeno e gli altri possono avere azione teratogena. Tra gli insetticidi i piretroidi, sono difficilmente demoliti dall’ambiente, non sono molto selettivi e possono quindi diventare fattore di squilibrio ambientale. L’inquinamento delle acque da parte dei fitofarmaci è salito la ribalta in seguito all’impiego di diserbanti come l’atrazina, che si sono resi responsabili dell’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei, sorgente preziosa di acqua potabile. L’atrazina, giunse in Italia nei primi anni sessanta a supporto del vertiginoso aumento delle rese agricole conseguito in quegli anni (Rivoluzione verde). In particolare l'atrazina costituiva il principio attivo diserbante per eccellenza sul mais e sul sorgo. L’atrazina è da diversi anni bandita in Italia e in altri Paesi europei per la sua spiccata tendenza ad essere trasportata dalle acque, complici anche le elevate dosi d'impiego, andando così a costituire un inquinante delle falde acquifere in grado di persistere per anni.

    Resistenza dei parassiti e riduzione degli antagonisti naturali

    Oltre all’inquinamento diretto, all’azione diretta sugli organismi ed all’accumulo nelle catene trofiche, l’uso indiscriminato dei fitofarmaci ha causato, in alcuni casi, il fenomeno della resistenza ed il proliferare di alcune specie fitofaghe soprattutto di acari. Paradossalmente, la resilienza e l’adattabilità della natura sono la causa del fallimento degli insetticidi a largo spetto (la generazione del DDT). Troppo spesso i parassiti acquisiscono l’immunità e diventano perfino più abbondanti dopo che il prodotto chimico è stato dissipato o perde tossicità, perché i loro nemici naturali sono stati distrutti dal trattamento. Inoltre una specie di parassiti che viene distrutta a volte é rimpiazzata da altre specie più resistenti, meno conosciute e più difficili da trattare. L’impiego di insetticidi ad ampio spettro ha causato la diminuzione la riduzione o la scomparsa dei nemici naturali. Le moderne pratiche agricole hanno favorito le grandi distese coltivate e la monocoltura, hanno comportato l’eliminazione delle zone di rifugio (siepi, alberate) che favorivano la presenza dei nemici naturali e creato zone di grande abbondanza di cibo. Un esempio: il cotone è stata una delle colture più pesantemente trattate con insetticidi. Negli anni 50 massicce irrorazioni aree di idrocarburi clorati in Perù (rese possibili da sovvenzioni estere da parte degli Stati Uniti) fecero sì che il rapporto raddoppiasse per sei anni circa. Seguì un completo tracollo delle coltivazioni perché i parassiti divennero resistenti ad altre specie che vi si insediarono. La stessa cosa negli anni ‘70 nel Texas sempre sul cotone. In entrambi i casi i raccolti furono ripristinati adottando i metodi della lotta integrata.

       4/14   

  • Approfondimenti/commenti:

      Nessuna voce inserita

    Inserisci approfondimento/commento

    Indice percorso Edita
    Edurete.org Roberto Trinchero