Capitolo 8 (Maristella Todeschino)

Il nodo dell'educazione interculturale


Il compito del docente nella scuola di oggi è difficile, gravoso e soggetto a continue sollecitazioni. È determinante in un ottica formativa che la tolleranza venga interpretata come atteggiamento dinamico e propositivo nei confronti dell'altro e del diverso, affinchè questi non venga percepito come minaccia dal punto di vista dell'identità culturale o successivamente come concorrente dal punto di vista economico-lavorativo.

I primi elementi che emergono in merito alle prospettive interculturali sono l'ascolto e lo scambio: due azioni che presuppongono un confronto ed un arricchimento reciproco volti al superamento dell'etnocentrismo tipicamente occidentale.

Tutto ciò parte sempre e comunque da una base culturale soggettiva che con spirito critico tenda a cancellare pregiudizi ed emarginazione della diversità.

La pedagogia interculturale ha il difficile ruolo di sviluppare e promuovere lo spirito critico all'interno della società occidentale, ed italiana in particolare, con lo scopo di arginare le sacche di resistenza xenfobe o le istanze localistiche che ancora le permeano e far comprendere appieno che l'altro è da conoscere perchè non è soltanto forza lavoro richiesta/offerta sul mercato, ma anche perchè ha la dignità di soggetto di cultura. In questo senso egli deve essere rispettato così come vanno rispettati i modi e le credenze che pratica, e discussi quelli che invece ci appaiono non accettabili.

Una prospettiva educativa di tale portata non è semplice da recepire ed attuare ma è consequenziale che una politica di integrazione dinamica deve accompagnarsi a interventi in campo formativo, necessari per costruire quelle diffuse basi culturali, senza le quali diviene impossibile ogni convivenza civile tra autoctoni e immigrati.

Gundara, nella sua trattazione sul multiculturalismo, stabilisce che i problemi critici dell'educazione interculturale, e la promozione di un senso di appartenenza anziché di esclusione o di marginalità, devono essere affrontati come parte di un programma d'interesse nazionale per il progresso della formazione.

Se l'educazione interculturale non è integrata fondamentalmente nel tradizionale sistema formativo, il principale apporto delle politiche sociali può essere controproducente ed avere conseguenze razziste.

L'educazione interculturale, quindi, deve essere prima una educazione all'intercultura, che sia capace di promuovere le istanze di una vera e propria accettazione attiva e di una valorizzazione delle differenze attraverso la costruzione di una forma mentis transitiva, aperta all'alterità e alla comprensione dell'altra persona con cui ci relazioniamo e che ci offre tanto la sua storia personale e culturale passata quanto il suo presente. Solo in questo modo si possono instaurare dei dialoghi costruttivi che siano fonte di possibilità per lo sviluppo di sistemi di conoscenza globale.

La scuola senza dubbio ha un compito assai difficile da fronteggiare nella formazione delle nuove generazioni, e mai come adesso la pedagogia interculturale appare in tutta la sua dimensione di pedagogia di “pedagogia della resistenza”1. Secondo questa definizione è determinante l'atteggiamento coerente, coriaceo e determinato nel promuovere i valori supremi della fratellanza, del dialogo serrato tra culture e della valorizzazione delle identità.

Non dimentichiamoci che la scuola ha il non facile compito di affrontare quotidianamente molte problematiche “in situazione” perchè è concretamente nell'aula scolastica che si materializza il confronto-scontro tra le diverse culture.

A questo proposito la Giusti rammenta che “la scuola abitua all'esercizio dell'attribuzione reciproca di significati, un percorso in salita che deve transitare attraverso diversi passaggi metodologici:

  • attivando la curiosità e la volontà di conoscere;

  • riservando tolleranza alle reciproche diversità;

  • abituando a stare bene gli uni con gli altri;

  • proponendo l'utilizzo dell'autobiografia come metodo formativo;

  • ricercando per quanto possibile momenti dialogici.2

Quello della scuola è chiaramente un compito per nulla semplice, anzi irto di molte difficoltà dovute in gran parte ai forti pregiudizi razziali e culturali ancora presenti in certi strati della società, all'interno della quale la differenza fa paura ed è tuttora fonte di ansie in relazione alla paventata perdita di identità.

Il dialogo rappresenta senza dubbio lo strumento principale attraverso cui avvicinarsi alla differenza, poiché esso favorisce il confronto libero, aperto e costruttivo, e nutre la reciprocità nel percorso di maturazione ed arricchimento culturale. La scuola in questo senso deve essere palestra di scambio e confronto dialogico, anche partendo dalle attività sociali, integrando quindi i giovani con tutte le iniziative possibili alla vita sociale, unendoli al di là delle differenze e dei pregiudizi classisti ed etnici.

Il confronto è il fondamento stesso dei processi interculturali, senza il quale ci sarebbe solo in perpetuarsi dell'etnocentrismo, dei localismi e dei nazionalismi che si alimenterebbero da una forte vena di odio razziale e xenofobia, determinando in questo modo la cultura del rifiuto.

L'obiettivo della vera democrazia oggi è quello di favorire una partecipazione attiva alla vita civile e sociale che sia manifestazione di impegno e libertà di pensiero, per la costruzione di un dialogo tra persone appartenenti a culture diverse nella prospettiva di un progresso personale e collettivo.


1F. Pinto Minerva, Abstract convegno Siped. Progetto Generazioni. I giovani, il mondo e l'educazione, cit., p. 2.

2M. Giusti, Pedagogia interculturale. Teorie, metodologia, laboratori, Laterza, Roma-Bari, p. 81.

8/10
Edurete.org Roberto Trinchero