Lao Tse e la radio (Corrado Violo)

L'intervista è uno strumento di rilevazione di informazioni estremamente efficace e permette  di effettuare indagini in profondità in molti ambiti di ricerca.

Alla base della conduzione di una “buona intervista” devono esserci secondo il giornalista Sinibaldi, due elementi importanti: la capacità di ascoltare l’altro, empaticamente, e l'abilità nella conversazione, due arti  considerate “povere” senza le quali però l'efficacia della tecnica risulta non completamente sfruttata nelle sue potenzialità e in parte monca.

L’intervista radiofonica, tra le diverse tecniche, viene effettuata in diretta e proprio in virtù di questa procedura viene esaltata ancor di più la dimensione relazionale, emozionale ovvero il contesto dell’intervista, elementi centrali che si ritrovano in tutte le varie tipologie di intervista (radiofonica, televisiva, trascrizione/interpretazione in articoli letterari o saggi ecc.).

 

Da un punto di vista del metodo, l’intervista richiede innanzitutto tempo ovvero il tempo necessario ad instaurare una relazione significativa e “si tratta di una relazione a tre in cui chi sta in mezzo, (l'intervistatore) dovrebbe essenzialmente avere la funzione di mediatore tra chi ha qualcosa da dire e il tempo necessario per dirlo (l’intervistato) e chi ha voglia, capacità e tempo di ascoltare (l’ascoltatore radiofonico)”.
Spesso però ciò che viene trascritto o che va in onda percorre uno schema stabilito in cui “si chiedono e si dicono le cose che si devono dire” e si perdono purtroppo i contesti, i percorsi, le emozioni che si dipanano nel corso dell'intervista e che costituiscono la ricchezza maggiore cui è possibile attingere con questa tecnica: il risultato, osserva Sinibaldi, è che “siamo circondati da interviste inutili”.

La dimensione relazionale dell’intervista si basa sull’ascolto empatico, sulla soggettività sia di chi intervista (contano infatti le capacità comunicative e l’esperienza),  e sia che di chi è intervistato, che con la propria specificità caratterizza e contestualizza marcatamente la propria narrazione.
Ma questo aspetto soggettivo non deve essere considerato un limite ma una opportunità di approfondimento di un tassello di conoscenza unico e in quanto tale degno di rispettosa attenzione.  

E’ un processo che ha necessità di tempo, per avvicinarsi il più possibile, progressivamente e per tentativi e approssimazioni, a quella “verità” parziale che descrive un evento, un fatto ecc.
E a differenza dell’intervista pubblicata, potremmo dire in “differita”, su cui è possibile effettuare un editing selettivo del testo o dell’audio/video, nell’intervista radiofonica in diretta è possibile apprezzare tutto il percorso che a quella narrazione ha condotto, compresi gli errori, le domande sbagliate, i silenzi. Questa caratteristica è tipica della comunicazione orale, dell’ approssimarsi continuo del linguaggio alla sua dimensione semantica e terminologica corretta: “solo in questo modo si riesce ad avere l’idea”, sostiene Sinibaldi, “della costruzione del pensiero sia di chi formula le domande sia di chi ad esse risponde. Troppo spesso però questa dimensione viene persa, costretta nei tempi e nei limiti degli spazi radiotelevisivi.

L’autore risponde poi al presunto limite della radio legato alla mancanza delle “immagini”:   anziché un difetto lo ritiene una risorsa: la possibilità di “evocare immagini” al posto di mostrarle e di suscitare curiosità ed emozioni che si generano e si rafforzano poco a poco  come nei racconti delle Mille e una notte dove ci si innamorava solo sentendo descrivere una persona”.

Come considerare allora l’intervista? A quale modelli possiamo riferirla?

L’autore ne propone due.

Posso considerare una dimensione maieutica/estorsiva intendendo cioè il “tirar  fuori qualcosa da chi sa o ha fatto esperienza di qualcosa”; il modello è Socrate ma anche i Dialoghi di Leopardi.

Se si parte invece dalla considerazione che “Chi domanda merita risposta”, considero invece l’intervista come un dono e pongo l’attenzione non solo sul contenuto ma anche anche sul processo, sulla valenza dell’atto stesso di “far domande”,  che genera quel dono, come suggerisce Brecht raccontando di Lao-Tze e dell’origine del libro dei Ching: “sia lode al saggio il cui nome risplende sulla copertina dei libri ma sia lode anche a chi seppe strappargliela la saggezza!”.

Forse quest’ultimo dovrebbe essere il modello e l’approccio di un buon intervistatore in grado sì di “strappar via qualcosa” ma un “qualcosa di molto prezioso”, lasciato in dono a chi è disposto a riceverlo.

 

6/12
Edurete.org Roberto Trinchero