Capitolo 1. L'autobiografia nella formazione e nella ricerca (Elisa Branca)

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CAPITOLO 1. L’autobiografia nella formazione e nelle ricerca

Dagli anni  Novanta, in ambito pedagogico, si promuove e si coltiva l’ approccio autobiografico ai fini formativi e di ricerca. Dall’ antica Grecia ad oggi il racconto di sé e della propria vita è stato motivo di autoconoscenza, autocoscienza, autoriflessione. La cultura filosofica e psicologica del Novecento si interroga sulla crisi  e sulla questione del soggetto alla ricerca di senso e di identità, fornendo alcune risposte che vengono successivamente recepite in ambito pedagogico. In Italia l’istruzione scolastica raccoglie con un certo ritardo i frutti del pensiero pedagogico volto a valorizzare la soggettività dei discenti, ciascuno con il suo modo cognitivo e affettivo, che richiede un’ attenzione educativa  personalizzata. L’ autobiografia è proposta come “area di esperienza” in cui l’ alunno si racconta nei vari momenti della sua vita, si descrive, esercitando, oltre al parlato, le prime forme di scritto. Il valore formativo del “fare autobiografia” a scuola viene finalmente riconosciuto. Tuttavia  si assiste ad una “formazione autobiografica” consapevole e approfondita con insegnante e alunni  laddove si fa riferimento a teorie e pratiche all’ interno di uno specifico filone pedagogico. L ’ approccio autobiografico in educazione si fonda sulla possibilità di autoformarsi, attraverso un lavoro interiore legato alla narrazione delle proprie esperienze remote, recenti, attuali. Le  principali finalità del metodo autobiografico sono:

finalità euristica: ricostruire con la memoria la propria vita e attribuirvi senso e significati

finalità autoformativa: dare forma alla propria memoria e chiarire i propri progetti di vita

finalità trasformativa: scoprire vite non vissute e riaprire possibilità di scelta

finalità motivazionale: recuperare il desiderio di imparare e di cambiare

finalità metacognitiva: conoscere il proprio modo di pensare e di apprendere

Gli strumenti di ricognizione biografica possono essere suddivisi in tre categorie:

 strumenti di lavoro individuale: diario personale, produzione di un testo tematico, ricerca di testimonianze materiali, “strumenti carta-penna”(questionari ecc.…)

Strumenti di lavoro faccia-faccia: intervista aperta, metodi proiettivi, critico clinici

 Strumenti di lavoro collettivo: discussione su temi biografici, auto-rappresentazione al gruppo, uso collettivo di materiali proiettivi

Nella proposizione di qualsiasi attività autobiografica è necessario creare un clima favorevole al  lavoro interiore, che si può realizzare solo in una disposizione all’ ascolto di sé e degli altri.

I vari strumenti ricognitivi possono sortire alcuni effetti benefici:

Effetto di eterostima: attraverso l’ ascolto attento, autentico e interessato dell’ altro il soggetto si sente riconosciuto, accolto, gratificato

Effetto di autostima: attraverso la narrazione di sé il soggetto si vede come allo specchio e si riconosce, acquisendo maggiore fiducia in se stesso e nella dignità della propria storia

Effetto di esostima: attraverso il prodotto realizzato il soggetto si riconosce in esso, acquisendo fiducia nelle proprie capacità espressive  

I contesti applicativi del metodo autobiografico possono essere diversi:

Aziendali

Socio-educativi

Territoriali e locali

Scolastici universitari

I destinatari della formazione autobiografica sono sia  gli operatori educativi sia gli utenti finali dell’ azione educativa.

L’ approccio autobiografico in pedagogia rientra all’ interno dei percorsi metodologici di tipo qualitativo, la cui strategia scientifica è insita nella natura empirica, concreta, fattuale dell’ agire educativo. L’  oggetto della ricerca autobiografica è la  conoscenza di sé, che può avvenire in solitudine o attraverso strumenti ricognitivi duali o di gruppo. Il colloquio si rileva uno strumento molto efficace in progetti educativi e di ricerca rivolti alla raccolte di storie di vita in ambito professionale, comunitario. I l ricercatore che voglia condurre un buon colloquio, dovrebbe tenere presente sia il comportamento verbale che non. A livello non verbale è opportuno tenere un atteggiamento che manifesti ascolto attento attivo, interessato, empatico. A livello verbale è importante porre domande chiare , semplici, brevi aperte che non implichino come risposta si/no. Il ricercatore dovrebbe evitare di scivolare sul piano interpretativo e valutativo, dal momento che in tal senso il diritto di parola spetta solo agli autori delle storie di vita. Egli dovrebbe quindi restare il più possibile fedele agli originali e mettere  in luce quanto emerso dall’ analisi, al fine di stimolare ulteriori narrazioni.

 

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Edurete.org Roberto Trinchero