Capitolo 2. L'intervista standardizzata (Cristina Ferro)

 

L’intervista standardizzata è una strategia d’indagine utilizzata prevalentemente dalle ricerche di tipo quantitativo che possiamo sinteticamente dire che possiedono:

  • una visione atomistica dei soggetti sotto esame (testimoni di una relazione tra fattori che non dipende dal soggetto stesso);
  • hanno un’alta strutturazione sia dei dati raccolti sia del processo di ricerca;
  • il ricercatore è considerato separato dal soggetto intervistato;
  • l’estensione è considerata come l’intento della rilevazione;
  • le tecniche di analisi sono di tipo logico-matematico (i risultati possono essere esplicitati all’interno, ad esempio di una matrice di dati);
  • i risultati che si ottengono sono generalizzabili;
  • l’obiettivo consiste nel raccogliere dati che siano tra loro comparabili in virtù del fatto che gli stimoli sono sottoposti tutti nello stesso modo (come vedremo, sarà questo uno dei motivi per cui per molto tempo si è preferito un intervistatore poco comunicativo e intraprendente che non potesse generare modifiche negli stimoli e influenze sulle risposte);
  • il rischio maggiore di quest’approccio è di trascurare “l’effetto contorno”.

Il comportamentismo, corrente di pensiero che si diffonde negli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta, indusse molti sociologi a far uso di metodi, strumenti e tecniche di rilevazione sempre più strutturati, standardizzati e direttivi (un approccio opposto caratterizzato dall’osservazione partecipante, l’analisi dei documenti, le interviste in profondità ecc…si aveva nella Scuola di Chicago).

Gli strumenti utilizzati dai comportamentisti e più in generale dall’approccio quantitativo, sono, in un certo senso, più affidabili perché sono meno esposti a interpretazioni soggettive. Pensiamo ad esempio al sondaggio o al questionario (soprattutto se autocompilato) che permettono di rilevare un gran numero d’informazioni in un lasso di tempo davvero breve e con costi minimi.

In quest’ottica contano tre elementi:

  • l’intervistatore;
  • intervistato;
  • un elenco di stimoli il più possibile standardizzati.

Sembra che l’intervistato abbia scarsa importanza, egli non dovrebbe fare altro che reagire ad uno stimolo cui è sottoposto, quasi come se fosse una “macchina caratterizzata dalla sincerità” e che l’intervistatore debba semplicemente raccogliere i dati interessati senza rischiare di influenzare minimamente il soggetto intervistato, come se fosse una “banca-dati”, senza cambiare mai tono di voce se l’intervista è orale, senza cambiare le parole con cui pone la stessa domanda a più soggetti in tempi diversi, senza fornire spiegazioni e chiarimenti.

Ci si ritrova, così, immersi in una situazione devitalizzata e poco stimolante che può portare i soggetti addirittura a rifiutarsi di sottopori all’intervista oppure si possono avere delle distorsioni prodotte più o meno volontariamente all’interno delle risposte (gli stessi soggetti affermano che il/la ricercatore/ricercatrice sembrano essere più interessati a mantenere il ruolo assunto e a fare il loro compito piuttosto che interessarsi ad essi).

Ecco allora che nel mondo standard è necessario inserire una certa flessibilità e abbattere l’eccessivo rigore precedentemente descritto, tipico della tradizione comportamentista.

Tanto le domande quanto le risposte sono soggette all’influenza del contesto che può e deve essere tenuto presente se si vuole avere un quadro chiaro dei risultati, esso può essere suddiviso in:

  • contesto generale;
  • contesto temporale;
  • contesto spaziale;
  • contesto cognitivo;
  • contesto relazionale.

Nella tradizione l’intervistatore doveva essere privo di conoscenze adeguate ed era un mero “strumento” della ricerca, si preferiva far svolgere tale mansione alle casalinghe o ai diplomati perché era ritenuta, ingiustamente, la parte meno importante della ricerca e quindi definita un compito semplice.

Ora lo stesso compito deve essere svolto da operatori qualificati e consapevoli del loro lavoro, dotati, prima di tutto, di buon senso, che può essere espresso già attraverso l’abito che decidono di indossare nei diversi contesti d’indagine. L’intervistatore potrà, a questo punto, comunicare con l’intervistato in modo leggermente più libero, ponendo domande supplementari, richiedendo chiarimenti nelle risposte ambigue e utilizzando tecniche di sollecitazione che non trasmettano significati.

Ecco descritto brevemente il ruolo del ricercatore all’interno della ricerca standardizzata: “egli è un uomo e condivide con gli intervistati la sua natura umana, per tanto è “naturale” che tra essi non vi possa essere l’informalità tipica del rapporto tra uomo e macchina”.

 

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Edurete.org Roberto Trinchero