Capitolo I-3 (Erica Magliano)
3. Il metodo sperimentale applicato allo studio dell’uomo: il modello di C. Bernard
Nelle diverse epoche storiche il pensiero scientifico è stato trasmesso da una civiltà all’altra.
In ciascun momento storico le società hanno dedicato le proprie risorse ad ambiti scientifici differenti: in età classica al campo geometrico e al discorso cosmologico, i greci in età cristiana all’astronomia, gli arabi alla matematica.
Un simile sviluppo delle scienze, spiega Montelaegre, dimostra come l’inclinazione dell’uomo alla sperimentazione non rappresenti una pratica che caratterizza i tempi moderni, bensì una tendenza che si è sempre manifestata nell’essere umano al fine di comprendere i meccanismi sottesi alla natura.
Tuttavia occorre ammettere che le modalità che hanno governato la conoscenza del passato non sono accomunabili, in termini di razionalità, a quelle sviluppate successivamente.
È quindi innegabile l’esistenza di una grande distanza tra i metodi del passato e quelli frutto di un attento metodo scientifico.
Un impulso determinante a tale processo fu rappresentato dal messaggio trasmesso da Galilei, il quale esaltava il ricorso all’esperienza e sosteneva l’importanza di un sapere pratico – operativo, capace di generare progresso conoscitivo, in contrasto al metodo deduttivo.
Nei secoli successivi lo spirito della ricerca positiva e la procedura del metodo sperimentale, formulati nel Seicento, vengono elaborati e studiati ulteriormente.
Infatti nell’Ottocento, inizialmente nelle scienze esatte e solo più tardi nelle scienze sociali, avviene il riconoscimento della validità applicativa al metodo sperimentale sempre in più ambiti della ricerca.
Su questa linea di pensiero si pone il prezioso intervento del medico francese Bernard, il quale teorizza l’estensione del metodo sperimentale alle scienze umane e, in quanto medico, sonda i fondamenti epistemologici della medicina nel suo momento di transizione da sapere congetturale a sapere scientifico.
Per Bernard il metodo consiste nell’osservazione dei fenomeni, nell’ipotesi relativa alla loro natura e alle loro cause, nell’esperimento. Il medico francese dedica molta attenzione all’osservazione, strumento attraverso cui l’individuo scopre i fatti, e mezzo dal quale derivano il ragionamento, il confronto tra eventi, l’interrogazione e la formulazione di risposte che ne permettono il controllo.
A suo avviso l’idea che sta alla base dell’azione del soggetto costituisce un’ipotesi che in un momento successivo deve essere verificata. Un simile ragionamento sperimentale rientra all’interno di una prospettiva scientifica deterministica poiché, infatti, il parametro impiegato consiste nella certezza del risultato.
Tutto ciò spiega lo scetticismo dello studioso nei confronti della probabilità e della statistica, il quale ritiene che tali tecniche, per loro natura, non rappresentano metodi affidabili.
Questo modello teorico ha influito anche in ambito pedagogico. Buyse, ad esempio, trova delle analogie tra medicina e pedagogia. Entrambe hanno un oggetto di studio molto complesso e, come la medicina, la pedagogia deve raggiungere il titolo di scienza nonostante la sua complessità.
Medicina e pedagogia, secondo l’autore, sono tripartite poiché si fondano su altre tre discipline. Il ricercatore inoltre, sia che appartenga all’uno o all’altro ambito, deve essere un teorico e un pratico.
Sebbene il pensiero di Bernard abbia avuto un grande merito occorre esplicitare come anche la mediazione psicologica e sociologica giocarono un ruolo fondamentale affinché il metodo sperimentale trovasse spazio all’interno della dimensione educativa.
A tal proposito secondo Montelaegre tutte le scienze sono accomunate dalla metodologia della ricerca, articolata in tre fasi: la definizione delle ipotesi, la verifica, la controprova per la generalizzazione dei risultati.
La pedagogia sperimentale inoltre ricava la metodologia dalla psicologia e dalla sociologia ma ha il compito di adeguarla alle caratteristiche del suo oggetto di studio.
La prima fase del metodo si costituisce di una definizione chiara del problema, della formulazione in termini pedagogici dell’ipotesi e, infine, di una verifica sperimentale. Gli inevitabili limiti tecnici connessi alla pedagogia sperimentale fanno sì che la misura pedagogica non possa essere caratterizzata dal rigore scientifico, perché quest’ultimo non è in grado di apprezzare la dimensione qualitativa.
Schneider, studioso interessato alle problematiche scientifiche in ambito educativo, fa una netta distinzione tra: l’esperimento pedagogico, il quale propone la soluzione di un compito didattico o educativo; l’esperimento scolastico, che presuppone un’intuizione educativa da parte del maestro; la scuola sperimentale, scuola in cui si introduce un progetto educativo innovativo.
Relativamente al confronto tra sperimentazione nelle scienze naturali e quella in ambito educativo Mencarelli evidenzia come quest’ultima debba rinunciare a quella precisione propria della prima: il
metodo sperimentale nell’ambito pedagogico infatti non può che partire dall’originalità e dall’imprevedibilità dell’uomo.
Tornando al già citato Buyse è possibile delineare una distinzione in pedagogia tra dimensione tecnica e quella filosofica; una simile separazione nasce dal fatto che, se da una parte il metodo sperimentale rappresenta un mezzo adatto allo studio degli aspetti tecnici legati all’educazione, dall’altra risulta inefficace ai fini della definizione delle mete formative.
In definitiva è possibile affermare che il valore della pedagogia sperimentale consista nella possibilità concreta di attivare atteggiamenti volti ad una valutazione obiettiva delle teorie pedagogiche tradizionali e moderne.