COMPUTER SUPPORTED COLLABORATIVE LEARNING ( CSCL )
· ARGOMENTO: Apprendimento collaborativo basato sul computer.
· DURATA: 20 ore totali, di cui
Ø 17 per l’illustrazione dei contenuti e per le attività pratiche,
Ø tre per eventuali chiarimenti.
· DESTINATARI: studenti universitari, ma anche allievi delle classi quarta e quinta superiore.
· PREREQUISITI:
Ø conoscenza (in ambito psicologico) dei processi cognitivi relativi all’apprendimento, delle dinamiche di gruppo e dei fattori emozionali connessi,
Ø conoscenze di base in informatica e concernenti la Rete.
· OBIETTIVI:
Ø Comprendere che cos’è il CSCL;
Ø Capire quando, come e dove può essere applicato;
Ø Riuscire a definire il ruolo dei docenti, dei tutors e delle tecnologie nel CSCL;
Ø Conoscere quali possono essere le tecniche e le strategie per una buona riuscita e messa in atto del CSCL.
· ATTIVITÀ IN AULA: Per l’illustrazione dei contenuti è auspicabile la classica lezione frontale, la quale può però essere integrata con esempi pratici (proposti dal docente) e con attività volte a far sperimentare di persona la metodologia del CSCL. Tali attività potrebbero essere:
Ø Attività di approfondimento: attuabili invitando gli studenti a formulare teorie e proposte personali (attraverso l’utilizzo del CSCL), valorizzandone così le eccellenze.
Ø Attività per il superamento degli individualismi tra studenti:
possono essere messe in pratica proponendo ai ragazzi la condivisione delle proprie conoscenze e dei propri saperi, con uno scambio reciproco di considerazioni a riguardo.
Ø Area di progetto: usando il CSCL per progettare uno studio coordinato tra soggetti diversi (ad esempio, riguardo a più discipline).
· STRATEGIE DI VALUTAZIONE: per una valutazione generale degli apprendimenti e per il giudizio finale da attribuire a ciascun alunno, potrebbe essere opportuno considerare:
Ø Le presenze totali,
Ø L’impegno,
Ø L’attenzione data a ciascuna lezione,
Ø Il livello di partecipazione alle attività,
Ø I contributi dati per una buona riuscita del percorso,
Ø La capacità critica,
Ø Le risposte ai quesiti posti durante le lezioni e le attività,
Ø L’andamento della verifica finale.
La scelta della modalità di verifica è compito del docente, il quale potrebbe prendere in considerazione una delle seguenti:
Ø Semplice interrogazione orale,
Ø Prova scritta con domande aperte,
Ø Test a scelta multipla,
Ø Test vero/falso,
Ø Una tesina sull’argomento,
Ø Una ricerca empirica,
Ø Prova scritta o questionario on line,
Ø Progetto pratico svolto a gruppi.
1. Definizione
3. L’apprendimento collaborativo
3.1.Fattori che ne determinano l’efficacia
5. Collaborare e cooperare sono sinonimi?
7. Fattori che influenzano l’interazione
8. Il ruolo del tutor nel CSCL
10. Alcune tecniche di facilitazione
12. Gli effetti e le implicazioni della mediazione tecnologica
16. I principali problemi dei corsisti
Il Computer Supported Collaborative Learning (CSCL) [I1] [E1] [E2] [F1] è una strategia didattica che ha l’obiettivo di promuovere l’apprendimento collaborativo [E3], avvalendosi del supporto dell’informatica e della telematica [I2] [S1] [I3]. La ricerca nel campo del CSCL [E4], anche se orientata all’applicazione in ambito didattico, si avvale dell’esperienza teorica e tecnologica accumulata dal Computer Supported Collaborative Work (CSCW). Il CSCW è una metodologia di lavoro collaborativo [I4], già sperimentata con successo nelle aziende, basata sul principio che le reti di computer possano essere usate per agevolare, aumentare ed anche per definire le interazioni tra i membri di un gruppo di lavoro.[S2] [S3] [E5]
Il CSCL si propone di indagare come l’apprendimento assistito dalla tecnologia possa migliorare l’interazione tra pari, il lavoro di gruppo, e facilitare la condivisione e la distribuzione di conoscenza ed esperienza (Lipponen, 2002). Infatti in un’attività di collaborazione vera e propria i partecipanti lavorano in parallelo allo stesso compito, nello stesso arco di tempo, condividendo le proprie conoscenze e le eventuali difficoltà con gli altri membri del gruppo. Questa metodologia risulta efficacemente applicabile soprattutto in contesti formativi per adulti [F2] [S1], ma anche nell’ambito di numerose attività scolastiche. [I4] [I6] [I7] [E6] [S4] [S5] [F3] [E7] [E8] [S6] [E9] [I8] [E10] [S7] [E11] [F4] [F5] [E12]
L’apprendimento collaborativo trae le sue origini, agli inizi del ‘900, nella tradizione attivistica e nei modelli pedagogici derivanti dagli studi della psicologia sociale e culturale dell’apprendimento. Dalla fine degli anni ‘80 si viene instaurando un avvicinamento crescente tra questo concetto e le ICT (Information and Comunication Tecnology) che, grazie alla diffusione delle reti (e di Internet in particolare) e grazie anche alla concomitante affermazione di modelli teorici più generali di costruzione della conoscenza (costruttivismo sociale), consentono lo sviluppo di nuovi settori di ricerca tecnologica (CSCL). Molte scuole psicologiche concordano nel considerare il sistema sociale come una rete di relazioni, la quale costituisce lo spazio elaborativo delle cognizioni. Oggi questo spazio non può più essere inteso in termini materiali: lo sganciamento dell’interazione dalla compresenza fisica degli interlocutori è ormai sancito dalla strutturazione di contesti interattivi caratterizzati da spazi virtuali telematici. Infatti è possibile affermare che per la costruzione e la realizzazione delle funzioni cognitive nell’interazione, oltre alla compresenza fisica è attuabile anche una compresenza telematica. [S1] [E1]
Alcune delle teorie più significative sul valore psicopedagogico dell’apprendimento collaborativo, nate prima dello sviluppo delle reti telematiche, oggi sono facilmente applicabili anche per la realizzazione di processi di apprendimento collaborativo in rete [S2] [F1]. Tali teorie sono i contributi di Vygotskij, Jean Piaget, Bruner, John Dewey, le teorie costruttiviste, le teorie cognitive. [I1] [I2] [e2] [E3] [E4]
3. L’apprendimento collaborativo
In un’attività collaborativa la comunicazione deve essere continuativa e coordinata tra i diversi partecipanti e funzionale alle loro specifiche esigenze.
I paradigmi dell’apprendimento collaborativo rientrano nell’ambito di un progetto di “intelligenza collettiva”, o meglio di “intelligenza connettiva” (Pierre Levy, 1996), che spetta al formatore animare. “Se due persone distanti sanno due cosa complementari, per il tramite delle nuove tecnologie possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare” (Levy, 1996). Bouthon e Garth (1983) affermano che l’apprendimento collaborativo rappresenta un ottimo contesto per l’apprendimento in quanto fornisce ai discendenti frequenti opportunità di formulare pensieri, condividere idee con gli altri e di vedere le reazioni degli altri. In accordo con questo, Harasim (1989) sostiene che la conoscenza emerge attraverso il dialogo attivo, elaborando in forma scritta i propri pensieri e costruendosi idee e concetti attraverso le reazioni e le risposte degli altri a queste formulazioni. [I1]
Da queste e altre teorie è stato dedotto che gli elementi decisivi che ci permettono di definire il campo dell’apprendimento collaborativi sono sei e precisamente:
Ø Imparare è un processo individuale, non collettivo, influenzato però da fattori esterni, compresi il gruppo e le interazioni personali.
Ø Le interazioni personali di gruppo implicano l’uso del linguaggio (processo sociale), e perciò imparare è al tempo stesso un fenomeno sia sociale che individuale.
Ø L’apprendimento collaborativo implica l’intercambiabilità dei ruoli, secondo i bisogni e i tempi.
Ø L’apprendimento collaborativo esige sinergie e produce un guadagno rispetto all’apprendimento individuale.
Ø A volte la collaborazione porta a conseguenze negative come il conformismo, la perdita di iniziativa, conflitti e compromessi.
Ø L’apprendimento collaborativo non implica apprendimento in gruppo ma una disponibilità allo scambio di apprendimento in un contesto non competitivo.
Inoltre si è concluso che è improprio usare i termini “apprendimento collaborativo” quando:
Ø L’apprendimento si basa su un modello educativo trasmissivo o di costruzione di conoscenze in cui la principale attività di apprendimento è l’individuale acquisizione e rielaborazione di informazioni, prese da libri, letture video o materiale informatico.
Ø C’è solo la comunicazione in un gruppo di lavoro; la comunicazione è una condizione necessaria ma non sufficiente perché ci sia una vera collaborazione (infatti si può essere eccellenti comunicatori anche in un ambiente in cui non si è per nulla creata un’efficiente collaborazione).
3.1. Fattori che ne determinano l’efficacia
Secondo Kaye (1992) una collaborazione di successo prevede:
Ø Un qualche accordo sugli obiettivi e sui valori comuni;
Ø La messa in comune di competenze a vantaggio del gruppo;
Ø L’autonomia di chi apprende nello scegliere con chi lavorare;
Ø La flessibilità nell’organizzazione del gruppo.
Sempre secondo Kaye (1992), sono inoltre indispensabili per un’efficace collaborazione in rete: [I1]
Ø La reale interdipendenza tra i membri del gruppo nella realizzazione di un compito;
Ø L’impegno nel mutuo aiuto;
Ø La non necessità della presenza fisica;
Ø Gli ambienti formali e informali;
Ø La creazione e la manipolazione di spazi condivisi;
Ø La comunicazione continua ma non ininterrotta;
Ø Chiare linee di responsabilità;
Ø Il senso di appartenenza al gruppo e ai suoi obiettivi;
Ø Attenzione alle abilità sociali ed interpersonali nello sviluppo dei processi di gruppo;
Ø L’accettazione che la collaborazione finisca una volta raggiunto l’obiettivo.
Secondo Davie (1989) perché vi sia collaborazione è necessario che gli utilizzatori:
Ø siano motivati
Ø abbiano scopi e obiettivi chiari
Ø operino in una struttura adatta.
L’apprendimento collaborativo proprio perché è un apprendimento che avviene poiché alcune persone lavorano insieme, sia come risultato centrale di questo lavoro che come risultato incidentale, è più frequente in gruppi di lavoro che in gruppi di studio. Questo perché la nostra tradizione educativa è essenzialmente competitiva ed individualistica e perché i ruoli di docente e di discente sono impermeabili e legati a differenti livelli di autorità.
I principali argomenti a favore dell’apprendimento collaborativo nei processi educativi si riassumono nel fatto che:
Ø molte significative acquisizioni intellettuali hanno un’origine collaborativa
Ø gli atteggiamenti collaborativi “naturali” sono piuttosto diffusi.
Le strategie di collaborazione [F1] sono classificate da Diaper a Sanger (1993) in tre categorie:
Ø Parallele
Ø Sequenziali
Ø Di reciprocità
La strategia parallela è particolarmente indicata quando il compito complessivo, che il gruppo deve svolgere, è facilmente scomponibile in segmenti non troppo interdipendenti tra loro. In questo modo, ogni membro lavora sia in autonomia ed in maniera simultanea rispetto agli altri sia su una parte specifica del prodotto complessivo e si cura di aggiornare gli altri circa lo stato di avanzamento del proprio lavoro. L’integrazione dei diversi elaborati è assegnata generalmente, in una fase successiva, ad un unico membro del gruppo o sottogruppo che svolge le funzioni di “editor”. Affinché questo modo di cooperare funzioni al meglio è necessaria una buona pianificazione a priori delle attività, il rispetto delle scadenze di consegna dei semilavorati ed una certa abilità nel ricucire il lavoro svolto da parte dell’editor.
Nella strategia sequenziale ogni membro del gruppo, a turno, agisce sul semilavorato apportandovi il proprio contributo. Ciò che è stato prodotto prima diventa la base di lavoro per il successivo componente del gruppo. Il rischio che può derivare da un simile modo di interagire è il cosiddetto “effetto condizionamento”, per questo coloro che lavorano dopo sono influenzati dal lavoro dei colleghi che li hanno preceduti.
Nella strategia di reciprocità si lavora in un regime di forte interdipendenza su ognuna delle parti del prodotto complessivo, su cui si agisce a più mani. Di solito conviene fare riferimento ad una versione di base del prodotto, visibile a tutti, continuamente aggiornata, su cui ognuno può intervenire con proprie integrazioni.
Secondo Davie (1989) possono essere sviluppate due strategie di lavoro:
Ø I corsisti scrivono al computer contemporaneamente e si danno appuntamenti.
Ø I corsisti si passano “brutte copie” e ognuno dà il suo contributo, il documento viene rivisto fino alla stesura finale.
Quando si intraprende un’attività di gruppo è auspicabile riuscire a concordare un referente ufficiale che moderi le discussioni e indirizzi le attività in direzione del prodotto stabilito. Le attività non potrebbero poi proseguire senza il pieno accordo di tutti su un sistema di regole, suscettibile di futuri cambiamenti, che definiscano i contenuti, gli stili e la strutturazione. Qualunque strategia si decida di intraprendere, si suggerisce di pianificare una scansione temporale delle attività di produzione. Inoltre si consiglia di:
Ø scegliere il medium più adeguato per l’attività che si deve compiere,
Ø documentare il lavoro con commenti,
Ø fare riferimenti alle sorgenti informative utilizzate,
Ø specificare sempre lo stato di avanzamento,
Ø organizzare (se possibile) periodici incontri in presenza per risolvere questioni rilevanti che necessitano di negoziazione.
5. Collaborare e cooperare sono sinonimi?
Non è né semplice né immediato dare una definizione chiara e univoca dei termini “collaborare” e “cooperare”. Molti autori, in realtà, non operano affatto alcuna distinzione nell’utilizzo dei due termini. Tuttavia esistono studiosi che pongono il problema di una distinzione tra i due significati ed è opportuno sottolinearla.
Un’ampia definizione di “apprendimento collaborativo” viene data da Kaye [I1] che lo identifica con “l’acquisizione da parte degli individui di conoscenze, abilità ed atteggiamenti che sono il risultato di un’interazione di gruppo o, detto più chiaramente, un apprendimento individuale come risultato di un processo di gruppo”. Inoltre egli distingue l’apprendimento collaborativo da quello cooperativo: Kaye pensa che solo l’individuo può apprendere, l’apprendimento di gruppo è il riflesso della somma degli apprendimenti dei singoli membri e differenzia il “learning” (acquisizione di conoscenze, abilità e atteggiamenti individuali) da “group performance” (dimostrazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti da parte del gruppo). Ciò che distingue una comunità collaborativa dalla maggior parte delle altre è il desiderio di costruire nuovi significati e nuove conoscenze attraverso la collaborazione con gli altri. Vuol dire: condividere compiti, voler creare qualcosa di nuovo o di diverso, attraverso un processo collaborativo deliberato e strutturato in contrasto con il semplice scambio di informazioni o esecuzione di istruzioni. Si considera apprendimento collaborativo anche quello tra persone che lavorano insieme, senza tener conto del fatto che l’apprendimento sia lo scopo principale ed esplicito o secondario e casuale. In poche parole, si definisce come un apprendimento individuale prodotto da un processo di gruppo.
Una collaborazione di successo prevede:
Ø un qualche accordo su obiettivi e valori comuni,
Ø il mettere insieme competenze individuali a vantaggio del gruppo.
Nello svolgimento dei compiti e delle attività è sottesa:
Ø la condivisione delle autorità,
Ø l’accettazione delle responsabilità fra tutti i membri del gruppo.
L’apprendimento cooperativo è inteso invece come un processo di istruzione che coinvolge gli studenti nel lavoro di gruppo per raggiungere un fine comune. Esso si connota pertanto come un insieme di processi e di strategie che aiutano i componenti del gruppo a lavorare assieme al fine di raggiungere uno specifico obiettivo o prodotto, precedentemente definiti. Il lavoro cooperativo ha caratteristiche maggiormente direttive e, generalmente, viene controllato nel suo svolgimento da un docente o supervisore. Per tale motivo può essere definito come centrato sul docente, mentre la modalità dell’apprendimento collaborativo è focalizzato sulla libera e costruttiva interazione fra i partecipanti [I2]. In ultimo, l’apprendimento in gruppo si qualifica come cooperativo se sono presenti i seguenti elementi (Johnson, Johnson ,1989): [I3]
Ø Interdipendenza positiva,
Ø Responsabilità individuale,
Ø Interazione faccia a faccia,
Ø Uso appropriato delle abilità nella collaborazione,
Ø Valutazione del lavoro,
Per Trentin (1998) gli elementi propri di una cooperazione sono:
Ø La codecisione: richiede di saper gestire la sincronizzazione delle azioni
Ø Il coordinamento: si esprime nell’integrazione dei contributi espressi.
Ø La collaborazione: trova la sua criticità nella progressiva convergenza delle opinioni, delle scelte e dei valori dei partecipanti.
Nel modello di formazione del CSCL l’apprendimento è stimolato dalla collaborazione tra i partecipanti. L’interazione rappresenta uno degli elementi chiave di un buon insegnamento perché attraverso essa si può verificare uno scambio (intellettualmente stimolante) di idee e di significative interrelazioni, tra docente/corsisti e tra corsisti stessi. [I1] [S1]
Moore (1989) aveva distinto tre tipi di interazione:
Ø Corsista/contenuto,
Ø Corsista/docente,
Ø Corsista/corsista.
Qualche tempo dopo di lui, altri studiosi proposero un quarto tipo di interazione: quello tra corsista e interfaccia del medium.
Il nostro interesse è rivolto soprattutto alle interazioni che si instaurano tra gli attori del processo formativo e in particolare alle dinamiche comunicative che si costruiscono tra corsisti e tutor e tra i corsisti stessi, in quanto attori protagonisti che agiscono in prima linea.
Dall’analisi di uno studio pilota si è identificato un gruppo di fattori che caratterizzano la struttura dell’interazione. Non ha senso considerarli singolarmente ma nel contesto di insieme dell’interazione, in quanto i cambiamenti in una categoria del contesto influenzano il resto della struttura. Tali fattori sono:
Ø Learner control: consiste di tre principali parti, che sono l’indipendenza, il potere e il supporto. L’indipendenza è definita come il grado in cui il corsista è libero di fare delle scelte. Il potere si riferisce alle abilità e alle competenze che si riescono a mettere in campo durante un’esperienza di apprendimento. Infine, il supporto si riferisce alle risorse disponibili che gli permetteranno di partecipare con successo al corso a distanza.
Ø Social presence: è il grado secondo cui un medium permette all’utilizzatore di sentirsi socialmente presente in una situazione mediata.
Ø Structure: si riferisce all’intera struttura del corso. In un corso on-line, l’ambito di conoscenza è strutturato in macro-aree che corrispondono a specifiche aree di apprendimento (stage). Ogni fase di solito corrisponde ad una o più attività educative (moduli).
Ø Dialogue: è il dialogo costruttivo, utile alla comunità, che spinge a porre domande (quando ve ne sia il bisogno) e a dare risposte soddisfacenti.
Ø Feedback: è la risposta che fornisce informazioni al corsista circa la correttezza dei suoi lavori e contributi. In una situazione in presenza i gesti non verbali, che si scambiano costantemente, forniscono un adeguato feedback sia all’insegnante che al corsista. In un corso a distanza, tali gesti per lo più non sono visibili (anche se in realtà dipende dalla tecnologia) eppure sono essenziali per una buona riuscita di un corso, perché la ricezione spinge a continuare ad essere attivi.
7. Fattori che influenzano l’interazione
Comeaux (1995) scoprì come in corsi interattivi attraverso la televisione, la consapevolezza della tecnologia (es. microfoni e telecamere) impediva l’interazione. Invece Ross (1996) scoprì che i corsisti meno abituati a comunicare attraverso il computer, erano quelli più attenti agli aspetti tecnologici che ai contenuti della comunicazione. È frequente, nei corsi di formazione a distanza, il verificarsi di questo rischio: infatti il senso di inadeguatezza verso il medium può spingere il corsista a concentrare tutte le sue energie e tempo per risolvere problemi tecnici o per sperimentare nuovi programmi o particolari funzioni da poco scoperte. Per questo, se i corsisti dovranno lavorare con un certo strumento tecnologico, si potrebbe fornire loro il software con le istruzioni per l’uso ed alcuni semplici esercizi che saranno controllati da docenti o tutor prima che il corso inizi. In tal modo, quando si inizierà il corso, si darà per scontato che (dal punto di vista tecnologico) tutti partiranno dallo stesso livello e ci si potrà concentrare maggiormente sui contenuti.
Secondo Levin, Kim e Riel perché una comunità di rete abbia successo occorre seguire almeno quattro di questi cinque criteri:
Ø A causa di ostacoli spaziali e temporali, i membri non dovrebbero avere la possibilità di incontrarsi in presenza ma solo la possibilità di lavorare on-line e condividere un compito.
Ø Il compito su cui il gruppo lavora, dovrebbe essere chiaramente definito.
Ø L’accesso alla tecnologia dovrebbe essere facile per i membri ed essi dovrebbero possedere le capacità per usarla.
Ø Dovrebbe esistere un senso di responsabilità verso il compito assegnato e nei confronti del processo di lavoro di gruppo.
Ø Dovrebbe esserci una buona leadership, coordinazione e valutazione delle attività completate.
Circa il primo criterio, si potrebbe obiettare che le possibilità di incontrarsi in presenza non deve essere vista come un elemento critico, in quanto in molti casi può rafforzare i rapporti e facilitare il lavoro risolvendo in breve tempo questioni per cui (attraverso il solo scambio in rete) ci sarebbero volute moltissime e-mail. Infatti, anche in corsi di formazione on-line puri sono previsti (di solito) almeno un incontro in presenza all’inizio e ed uno alla fine. Il primo permette ai membri di conoscersi, di socializzare tra loro e di definire alcuni elementi del corso attraverso forme di negoziazione. L’incontro finale aiuta a fare un bilancio complessivo del corso, ascoltando la voce dei corsisti. Inoltre, può essere utile organizzare anche un incontro a metà corso (qualora se ne intraveda la necessità) o sfruttare strumenti come questionari e report periodici, per monitorare l’andamento del corso e per correggere eventuali errori di percorso.
Per concludere, secondo Trentin (1996) la frequenza dell’interazione fra i partecipanti varia al variare della strategia collaborativa adottata. Infatti, si è notato che la frequenza dell’interazione aumenta con la strategia della reciprocità, mentre è più scarsa attuando quella parallela. In quest’ultima, i membri hanno una maggiore autonomia e l’interazione si ha soprattutto quando si tratta di integrare i semilavori di ciascuno. Nella strategia sequenziale, l’interazione aumenta perché cresce il bisogno di chiarimenti sul lavoro fatto dai precedenti colleghi, mentre si raggiunge un più alto livello di interazione là dove si esige un notevole grado di sincronismo e di dibattito tra i partecipanti cioè nelle strategie di reciprocità.
8. Il ruolo del tutor nel CSCL
I problemi organizzativi e relazionali emergenti nella classe virtuale trovano una loro risoluzione in una buona negoziazione e motivazione interna nel gruppo ma soprattutto nell’intervento propositivo del tutor. Infatti, grazie alle sue competenze professionali, il tutor favorisce l’instaurarsi di una atmosfera interattiva che permette l’esprimersi di giochi di ruolo fra loro complementari e convergenti. Rispetto alla figura tradizionale, al tutor è richiesta una maggiore attenzione e disponibilità a collaborare sia con il gruppo classe virtuale che con ogni singolo suo componente. Il tutor di rete si pone come promotore delle interazioni fra i discenti incentivando e stimolando l’autogestione ma anche di aiuto reciproco nella ricerca e nello studio, tra i diversi attori del gruppo classe virtuale. Il suo compito è sia quello di guida nel processo di apprendimento che di sostegno nei percorsi di lavoro collaborativo. Le tecniche di tutoraggio in rete sono diverse, per molti aspetti, da quelle usate dal tutor in presenza. Tuttavia, se vi sono competenze proprie di un tutor di rete (come settare le conferenze, aggiungere membri, lo spostare o cancellare messaggi, cambiare lo status delle conferenze da sola lettura a lettura/scrittura, e altre) bisogna ricordare che le abilità a carattere sociale richieste non sono specifiche della comunicazione via computer. Esse sono legate alla capacità di amalgamare il gruppo e di creare una vera sinergia tra le forze e le competenze dei membri. Per intervenire in maniera pertinente, utile e non invasiva, in un corso di formazione on-line (ed in particolare in un lavoro di gruppo) il tutor deve essere consapevole dei limiti e difficoltà che i corsisti possono incontrare. Esistono dei fenomeni ineliminabili che con una certa costanza si presentano nei corsi on-line, come “li problema dei silenzi”(caratterizzato dal fatto che nessuno ha il coraggio di scrivere in area), le difficoltà iniziali in fase collaborativi, il problema degli abbandoni (che possono dipendere dalla scarsa chiarezza iniziale o dalla non soddisfazione in itinere delle aspettative iniziali). [I1] [I2] [F1] [F2] [F3]
Molte ricerche hanno esaminato la relazione tra la percezione degli studenti e le specifiche strategie o le caratteristiche della struttura dei programmi [F1]. St. Pierre e Olsen (1991) indagarono sui fattori che contribuiscono maggiormente alla soddisfazione degli studenti in un corso on-line ed i risultati furono:
Ø La possibilità di applicare la conoscenza
Ø Il pronto risultato degli elaborati
Ø Il dialogo con l’istruttore
Ø La rilevanza del contenuto dei corsi
Ø Una buona guida allo studio.
Individuare un corretto rapporto tutor-discenti non è sempre facile, anche perché questa è una variabile che va ad incidere sui costi del progetto e può diventare un vincolo. Ignorare questo aspetto vuol dire naufragare l’iniziativa di formazione. A tal proposito, presentiamo i consigli che i tutor dei corsi Polaris propongono ai partecipanti prima di iniziare il corso, che senza nessuna pretesa di esaustività e generalizzazione, vogliono comunque essere una sorta di guida per chi si occupa di tutoring on-line:
Ø Mettersi dal punto di vista dell’utente e provare a capire le difficoltà che può o potrà incontrare
Ø Gestire la comunicazione ed intervenire qualora si riscontrino comportamenti sbagliati o addirittura nocivi per gli altri corsisti
Ø Cercare di garantire un minimo di netiquette, una sorta di galateo per la rete
Ø Se il servizio telematico lo permette usufruire dell’history, ovvero di una cronologia che lascia traccia del momento in cui i messaggi inviati sono stati letti. Da questo dato si possono trarre delle inferenze interessanti: vedere con che costanza sono letti i messaggi dei tutor, quanto si tiene conto di ciò che è espresso dagli altri, se vi sono dei corsisti particolarmente carismatici (i cui messaggi sono letti da molti), se c’è ancora chi campiona la lettura dei messaggi o legge in modo disordinato e irragionevole.
Ø Evitare rumori inutili, perché creerebbero solo caos e rischierebbero di disorientare il corsista poco abituato a districarsi nella moltitudine di messaggi che crescono con costanza con il procedere del corso.
Ø Limitare gli allegati e permettere l’uso solo quando si inviano elaborati o documenti particolarmente lunghi, perché la procedura di visualizzazione degli allegati è più lunga e richiede alcune operazioni in più rispetto alla normale lettura di messaggi e alla lunga può diventare fastidiosa per il ricevente.
Ø Regolare la lunghezza dei messaggi. Questa regola dovrebbe valere (come in fondo le altre) sia per il tutor che per i corsisti. Scrivere ed invitare a scrivere in modo sintetico (ma completo) aiuta chi deve leggere una moltitudine di messaggi e non appesantisce il lavoro altrui.
10. Alcune tecniche di facilitazione
Ecco alcune tecniche di facilitazione che il tutor potrebbe usare per gestire le dinamiche interattive:
Ø Stabilire il clima. La maggior parte dei corsi a distanza “misti” iniziano con un incontro collettivo in presenza di tutti i partecipanti. Tale incontro permette agli studenti di conoscersi e, all’autore, di distribuire i materiali del corso e rispondere alle domande degli studenti. Lo scopo è di creare fin dall’inizio un buon clima, per questo occorre prestare molta attenzione alla fase iniziale a rafforzare i primi tentativi di ciascun utente. Inoltre, Davie (1989) suggerisce di consigliare ai corsisti di non preoccuparsi della grammatica, dello spelling e del formato dei messaggi. Però è bene tener presente il contesto particolare in cui l’attore opera. Infatti questa disponibilità ad un linguaggio “sgrammaticato” può essere ammessa on-line, secondo gli utenti con cui ci si rapporta, ma è assolutamente bandita off-line.
Ø Controllare la discussione di gruppo. Durante il corso le funzioni di un facilitatore sono simili a quelle di un qualsiasi moderatore di discussione. Per questo l’autore deve cercare sempre di mantenere la discussione legata al tema proposto, sia con domande opportune sia ridando vita alla discussione (se ci si allontana dall’argomento). Inoltre l’autore deve mediare le differenze tra i partecipanti e suggerire i modi in cui la discussione potrebbe essere più approfondita. Ancora, nella CMC (Comunicazione Mediata dal Computer) bisogna stare attenti all’umorismo
Abbiamo più volte sottolineato come un corso on-line che, privilegi l’interazione, offra molti vantaggi: l’aumento della collaborazione e della cooperazione e lo sviluppo di capacità progettuali, oltre che i benefici imprevisti. I primi due vantaggi sono legati tra loro poiché la previsione in un corso di attività interattive presuppone necessariamente delle capacità progettuali tra chi partecipa. Generalmente si incontrano minori difficoltà quando il gruppo è già affiatato, mentre se nessuno dei membri si conosce fin dall’inizio i tempi di lavoro con molta probabilità si dilateranno. Infine, una situazione particolarmente difficile da gestire è quella in cui i corsisti devono scegliere come suddividersi più lavori. Questo è il tipico caso in cui, se non si riesce trovare un punto di accordo, è il tutor a stabilire l’attribuzione dei compiti (a patto che abbia riconosciuto le diverse competenze di ciascuno e quindi il ruolo che potenzialmente potrebbero ricoprire meglio).
Ø Intervenire rapidamente e in maniera efficace. Nella formazione on-line la tempistica in questione è intesa in numero di ore, lasciar correre qualche giorno potrebbe essere troppo rischioso per l’andamento del corso. Comunque il tutor deve intervenire quando ci sono proposte nel gruppo che allontanano dall’obiettivo principale. Ma se un corsista manda in area un messaggio che esprime un dubbio o pone una domanda ed un altro corsista interviene rispondendo in modo pertinente, allora il tutor può evitare di rispondere (poiché è segno che il meccanismo di collaborazione si è messo in moto). Invece, se nessuno risponde è importante che il tutor risponda piuttosto tempestivamente. Infine, nei casi in cui il tutor ha dei dubbi circa le risposte da dare ed ha bisogno (ad esempio) di consultarsi con un esperto o un tecnico, sarebbe meglio che non rispondesse subito ma in ogni caso è meglio rispondere sempre. Rispondere è un modo per far capire che si sta tenendo in considerazione la richiesta fatta e per non far sentire il corsista isolato. Un modo per intervenire in maniera efficace e adeguata è quello di usare messaggi con domande, sintesi e scalette.
Ci sono tre classi di tecnologie che, combinate, possono fornire ambienti software per supportare attività di gruppo (groupware) adatti per l’apprendimento collaborativo (Eijelenburg et al, 1992):
Ø Sistemi di comunicazione: si dividono in sincroni (testo, audio, video, audio grafica e comunicazione video) e asincroni (posta elettronica, computer conferencing, messaggi sonori e fax) [S1]
Ø Sistemi per la condivisione di risorse: anche questi ultimi si dividono in sincroni (condivisione dello schermo e della lavagna elettronica, strumenti per la rappresentazione di progetti) [F1] e asincroni (accesso a sistemi di file e banche dati).
Ø Sistemi di supporto a processi di gruppo: sistemi per la gestione di progetti, calendari condivisi, sistemi per la produzione, strumenti di votazione, strumenti per la generazione di idee e per discussioni a ruota libera.
Prima, questi strumenti [I1] [I2] [I3] per lo più erano usati in modo indipendente. Naturalmente i classici sistemi audio, audio grafici e di videoconferenza erano usati molto prima dell’avvento dei personal computer multimediali. Tuttavia, la maggiore differenza qualitativa nel potenziale educativo del CSCL e del CSCW deriva dall’aver integrato queste tre classi di tecnologie in un ambiente unico basato sul computer, o in centri di risorse educative [S2] [I4]. Infatti, il lavoro svolto alla Hewlet-Packard ha affrontato questo aspetto da una differente prospettiva: attraverso l’aggiunta di un collegamento audio e video ad una lavagna elettronica su una rete telematica locale. Tale lavoro ha mostrato il valore del video nel mantenere la comunicazione (spesso inconscia) durante la realizzazione di un compito del gruppo e per le comunicazioni informali, non di lavoro (Gale, 1991).
Come ha dimostrato Vallée (1992) è elevato il numero possibile delle configurazioni di goupware multimediale ottenute combinando queste varie tecnologie: la sfida per i progettisti di sistemi risiede nel mettere insieme specifiche combinazioni in sistemi integrati che forniscono un supporto adeguato ai processi sociali, educativi a di gruppo implicati in attività di CSCL. [E1] [E2] [E3] [S3] [S4] [S5] [F2] [E4]
12. Gli effetti e le implicazioni della mediazione tecnologica
Le dinamiche dell’interazione educativa e interpersonale mutano, più o meno profondamente, quando sono mediate da canali di comunicazione tecnologici. Questo è il caso delle teleconferenze audio e audio grafiche, dove ci si potrebbe aspettare che la mancanza di un canale visivo sia compensato da scambi verbali più frequenti che in una classe faccia a faccia. In una pedagogia centrata sull’interazione nel gruppo, il docente è un facilitatore e un regolatore della discussione. Ciò mette in questione i metodi di insegnamento tradizionali (dove i docenti dominano e gli studenti sono passivi) e li rimpiazza con una pedagogia attiva (Laure, 1993). Ma dalle valutazioni delle videoconferenze, emerge che il tutor e gli studenti non possono aspettarsi di replicare i modelli e gli stili di una classe faccia a faccia, pur avendo qualche contatto visivo. Secondo Schriller e Mitchel (1992) “…la tecnologia della videoconferenza digitale compressa richiede una metodologia di insegnamento diversa da tutte quelle prima usate dai docenti. Necessita di differenti modi di interazione, differenti modi di muoversi, diversi modi di presentare l’informazione e differenti modi di giudicare il significato dei messaggi in entrambe le direzioni”.
Nelle situazioni tipiche di audio e video conferenza, il docente o il tutor deve gestire un gruppo che è fisicamente presente e uno o più gruppi remoti: ciò cambia completamente i modelli che si incontrano in situazioni di classe e solleva il problema di quale sia il gruppo a cui il docente dovrebbe rivolgersi prioritariamente, come la ulteriore complessità dei canali di comunicazione (spesso molti limitati) tra i membri del gruppo nei diversi luoghi. Questi fattori, di nuovo, pongono la necessità di cambiare gli stili di insegnamento e di interazione.
Nel caso della comunicazione di gruppo asincrona, basata solo su testo, c’è una divergenza ancora maggiore dagli approcci convenzionali in classe. I nuovi sistemi di desktop multimediali, per le conferenze telematiche, e quei sistemi in via di sviluppo che combinano in un solo ambiente sia la comunicazione in tempo reale che quella in differita, richiederanno un adattamento ancora superiore negli stili di insegnamento e di apprendimento e svilupperanno ulteriormente la potenzialità di pedagogie innovative e concettualmente avanzate. Si potrebbe sostenere che un sistema di supporto alle attività di gruppo ben progettato potrebbe fornire un ambiente più ricco di una situazione faccia a faccia per quanto riguarda la conversazione, l’interazione e la discussione. Ciò per la possibilità di svolgere attività in parallelo, per la possibilità di immagazzinare, organizzare e recuperare informazione e per la possibilità di integrare le interazioni in tempo reale e differito. Le ricche potenzialità di tali ambienti per la comunicazione costituiscono una sfida sia per chi sviluppa software di supporto alle attività di gruppo, sia per gli educatori. [F1] [I1]
Per una sua efficace realizzazione [S1] e messa in atto [I1] [S2], il CSCL deve trovare le condizioni adatte [E1] [E2] [S3]:
Ø Innanzitutto esso richiede un adeguato supporto tecnologico, con il quale i discenti devono stabilire una buona confidenza di utilizzo.
Ø In secondo luogo, la gestione dei gruppi che operano in un ambiente collaborativo è assai facilitata da un numero di studenti non troppo elevato.
Ø Ancora, il CSCL risulta particolarmente efficace laddove gli studenti sono stimolati da una forte motivazione intrinseca, relativa agli ambiti nei quali essi possiedono conoscenze pregresse e interesse ad approfondirle.
Ø Condizione direttamente collegata a quella precedente è il possesso (da parte degli studenti) di un adeguato background di conoscenze in merito agli argomenti trattati, senza il quale la discussione può dimostrarsi difficoltosa e stentata.
Ø Altro aspetto da considerare è la natura degli obiettivi didattici da raggiungere: il CSCL poco si addice a contenuti molti rigidi, fortemente strutturati e “preformati” e trova senz’altro una migliore giustificazione in contesto in cui l’attenzione è posta su aspetti meta-cognitivi e argomenti “elastici” intorno ai quali costruire insieme nuovi significati ed interpretazioni.
Ø Inoltre, per una buona riuscita, ai docenti e ai tutor coinvolti è richiesta la capacità di gestire e moderare le interazioni fra i partecipanti all’attività oltre ad una consistente disponibilità di tempo.
Ø Infine, in un’analisi di fattibilità, occorre valutare i costi (generalmente elevati) per l’acquisizione delle risorse (umane, tecnologiche, ecc.) necessarie.
L’apprendimento collaborativo supportato dal computer offre allo studente numerosi innegabili vantaggi:
Ø La condivisione dell’esperienza di apprendimento;
Ø L’acquisizione di molte informazioni in più rispetto a quelle a cui si sarebbe in grado di arrivare individualmente;
Ø L’ampliamento dei “propri orizzonti”;
Ø La presa di coscienza dell’esistenza di numerosi punti di vista e di diverse interpretazioni su uno stesso argomento;
Ø Lo sviluppo di abilità meta-cognitive e la riflessione sul proprio processo di apprendimento;
Ø Il senso di appartenenza al gruppo e i feedback provenienti dagli altri, i quali rafforzano le motivazioni individuali e il senso di socialità [E1] (evitando così il senso di isolamento);
Ø Il superamento degli ostacoli spaziali e temporali grazie all’uso del computer e della Rete. [E2] [E3] [F1]
D’altro canto, questo genere di attività ha anche degli svantaggi:
Ø La richiesta di un pesante impegno in termini di tempo e di energie da parte degli studenti e docenti che viene accettato di buon grado solo nel caso in cui i partecipanti siano realmente motivati e in grado di apprezzare e valorizzare i vantaggi offerti dal metodo;
Ø Il necessario rispetto di alcune condizioni che ne permettono una sua efficace realizzazione e messa in atto;
Ø I principali problemi dei corsisti;
Ø Il rischio di un overload comunicativo che può confondere il discente e generare frustrazione, causato dal fermento di attività che generalmente si sviluppa in un simile contesto;
Ø Eventuali incomprensioni e situazioni di conflittualità, causate da una comunicazione ostacolata dalla mancanza di iniziativa di alcuni partecipanti o dalla prevaricazione da parte di altri.
Alcune di queste difficoltà possono essere facilmente gestite dall’intervento del docente o dei tutors, che hanno il compito di “facilitare” e “guidare” l’attività. Essi devono tenere sotto controllo il processo di apprendimento autogestito, evitando che prenda una strada diversa da quella stabilita da chi ha organizzato l’attività formativa. [I1] [S1]
16. I principali problemi dei corsisti
Davie (1989) elenca in maniera dettagliata i problemi principali dei corsisti:
Ø Accessibilità: la limitata disponibilità di computer e modem. Infatti uno dei maggiori problemi di solito non è la disponibilità delle macchine, ma la connessione dei loro modem ai computer e alla linea telefonica e riuscire ad ottenere un collegamento con l’ente erogatore del corso. Per questo, occorre offrire consulenza ai corsisti per risolvere tali problemi e trovare uno spazio dove essi possano consultarsi vicendevolmente.
Ø I problemi del monitor. Quasi tutti i computer mostrano un massimo di 25 righe per volta. Questo limite rende difficile la lettura di testi lunghi. Un consiglio è quello di scaricare i file dei documenti troppo lunghi e stamparli. Per questo, è molto importante abituarsi a non scrivere testi che occupino più di una o due videate. Ciò è confermato anche dal fatto che è ormai noto che la lettura sul monitor è piuttosto stancante e difficoltosa.
Ø Difficoltà a tenere il passo. Al computer, si può trovare difficoltà ad orientarsi nella complessità della struttura e a ricordarsi come muoversi attraverso i vari livelli. Alcuni corsisti, per tali motivi, possono restare indietro.
Ø Metafore problematiche. Spesso per risolvere il problema appena citato è utile costruire una struttura fatta di aree e sotto-aree, in cui vengono discusse separatamente le varie tematiche del corso o quelle che via via emergono in itinere. Occorre prestare molta attenzione alla creazione e gestione di queste aree perché l’uso di nomi troppo fastidiosi ed astratti e l’eccessiva prolificità delle stesse rischiano di aumentare la confusione del corsista.
Ø Transazioni falsate. Spesso più argomenti sono poco legati tra loro e il lettore non abituato trova notevoli difficoltà a seguire un argomento particolare.
Ø Decisioni procedurali. Poiché gli studenti si connettono in tempi diversi, hanno difficoltà a prendere una decisione comune (anche utilizzando la posta elettronica).
Ø Problemi socio-emotivi. Spesso le discussioni e i dibattiti possono essere molto intensi e bisogna stare attenti a controllare le emozioni.
Ø Paura della pubblicazione. Ci sono due tipi di partecipanti ad un corso: il primo è il lettore passivo delle note degli altri, il secondo è l’estensore di scritti da far leggere agli altri. I corsisti pensano che gli altri possano giudicare il loro scritto e il tipo di reazione che esso ha suscitato, per questo possono avere paura a pubblicare i loro elaborati. Ma senza un immediato feedback, presente in un’interazione in presenza, lo studente trova difficoltà a continuare.