Nel 1974 Donald T. Campbell interviene all’assemblea dell’Associazione Americana di Psicologia, propugnando una prospettiva che unifichi conoscenza qualitativa e quantitativa secondo i fondamenti dell’epistemologia dell'epoca, la quale risente soprattutto dell’opera di Kuhn La struttura delle rivoluzioni scientifiche, pubblicata per la prima volta nel 1964. Sulla base della teoria dei paradigmi di Kuhn, Campbell afferma che la conoscenza qualitativa precede la conoscenza quantitativa, e che la seconda dipende in larga misura dalla prima. La conoscenza qualitativa orienta la ricerca quantitativa e ne controlla i risultati alla luce del buon senso. Nello stessa assemblea Lee Cronbach propone di capovolgere le priorità fino ad allora seguite negli studi sperimentali: anziché puntare alla generalizzazione, propone di prestare attenzione ai casi singoli, alle eccezioni, alle condizioni incontrollate, alle caratteristiche personali e agli altri eventi che si producono durante lo studio. Egli ritiene che non sia possibile scoprire leggi generali universalmente valide e teorie durevoli, per cui la massima ambizione dello scienziato dovrebbe essere quella di studiare una situazione in un dato momento e in un dato luogo, secondo metodi basati sullo storicismo e sulla fenomenologia, rinunciando quindi ad una spiegazione nomologica in favore di una spiegazione Idiografica. La difficoltà non sta nell’ irriducibilità degli eventi umani a leggi ma nella complessità intrinseca dei fenomeni, nella loro varietà e nell’evanescenza delle condizioni. Complessità indica un sistema o una situazione nella quale agisce ed interagisce una elevata (ma non infinita) quantità di variabili. Le teorie della complessità segnano il radicale abbandono della neutralità dell’osservatore e dei fenomeni di causalità lineare. Secondo Cronbach l’approccio qualitativo consente una percezione molto più profonda delle realtà educative e permette un uso migliore, perché meglio diretto, degli strumenti quantitativi.
L’anno successivo Robert Stake critica il procedimento nomotetico nella valutazione di programmi educativi sulla base della scarsa comunicazione che esso prevede tra valutatore e pubblico e della rigidezza che impongono gli schemi sperimentali, che spesso portano i programmi ad adeguarsi ad essi e non viceversa. Secondo Stake la valutazione dovrebbe vertere sul programma così come si svolge nella pratica educativa, prevedere uno scambio di informazioni tra ricercatore e operatori (che quindi assumono un ruolo attivo e responsabile nella sperimentazione) e tener conto dei diversi sistemi di valori nel giudicare successi e fallimenti del programma stesso. Stake definirà le basi della strategia di ricerca denominata "studio di caso".