Natura, Scienza e Religio nel De Rerum Natura di Lucrezio di Irene Anna Rubino (braciu@yahoo.it), Francesca Gnan (fran.gnan@tiscali.it), Maria Sciancalepore (mariamiriam@katamail.com), Monica Sotira (monica.soti@yahoo.it)

DE RERUM NATURA - Dichiarazioni di poetica

De rerum natura, libro I, 136-145

 

La povertà del lessico della lingua latina e la novità dell’argomento rendono estremamente difficile mettere in versi la dottrina di Epicuro, che, oltretutto, aveva espresso proprio nella sua opera una certa diffidenza nei confronti della poesia, vista come portatrice di menzogna. Lucrezio risolve il primo problema preferendo il calco al prestito (ad es. utilizza termini come primordia o principia, etc., piuttosto che ricorrere al calco del greco àtomos), mentre per il secondo problema ricorrerà ad un’immagine estremamente efficace, che verrà, però, sviluppata nel brano successivo.

In questo primo passo l’autore si limita a sottolineare le difficoltà della sua impresa, nella quale sarà, però, confortato dall’amicizia di Memmio, che lo sosterrà nelle fatiche notturne e compenserà (o, almeno, così spera) i suoi sforzi liberandosi dall’ignoranza e dalla paura, grazie alle parole del poeta.

 

Nec me animi fallit Graiorum obscura reperta                                      

difficile inlustrare Latinis versibus esse,
multa novis verbis praesertim cum sit agendum
propter egestatem linguae et rerum novitatem;
sed tua me virtus tamen et sperata voluptas                                           140
suavis amicitiae quemvis efferre laborem
suadet et inducit noctes vigilare serenas
quaerentem dictis quibus et quo carmine demum
clara tuae possim praepandere lumina menti,
res quibus occultas penitus convisere possis.                                         145


E non mi sfugge nell’animo quanto sia difficile illustrare

In versi latini le profonde scoperte dei Greci,

soprattutto perché, a causa della povertà della lingua e della

novità dei temi,  bisogna trattare con parole nuove molti argomenti;

ma la tua virtù, tuttavia, e lo sperato piacere                                            140

dell’affettuosa amicizia mi spingono a sopportare

qualsiasi fatica e mi inducono a vegliare durante le notti serene

cercando con quali parole e con quali versi infine

io possa far brillare innanzi alla tua mente chiare luci,

con le quali tu possa esplorare fino in fondo le verità nascoste.              145

 

Obscura reperta: allude, in particolare, alla dottrina di Epicuro, pur senza escludere la conoscenza delle altre dottrine filosofiche, sebbene confutate o fatte proprie al suo maestro. Reperta, participio neutro sostantivato di reperio, ha come attributo obscura, che, in questo caso, non ha nulla a che fare con le tenebre dell’ignoranza, che la luce della filosofia epicurea deve dissipare, ma si riferisce, piuttosto, alla complessità ed alla profondità di taluni concetti, che bisogna far emergere, portare alla luce: si noti, a questo proposito, l’antitesi obscura/inlustrare.

Graiorum: cfr. con I, 66, in cui Lucrezio parla di Epicuro, definendolo Graius homo.

Difficile…esse: con questa espressione il poeta ci parla non solo delle difficoltà legate alla povertà della lingua latina, ma anche alla difficoltà di trasferire ardui concetti filosofici, più adatti alla forma del trattato o del dialogo, in poesia.

Novis verbis: il riferimento è alla soluzione linguistica adottata da Lucrezio, cui si faceva riferimento precedentemente, ossia l’utilizzo del calco, vale a dire parole preesistenti nella lingua latina, che assumono una nuova valenza, a cui si uniscono dei neologismi lucreziani.

Propter egestatem linguae: il motivo della povertà lessicale di una lingua che, nel I sec. a.C., era ancora, essenzialmente, una lingua di soldati e contadini, inadatta, quindi, ad esprimere concetti astratti (soprattutto se legati all’ambito filosofico), ritorna più volte nel poema, soprattutto in I, 832 e III, 260, in cui si parla di patrii sermonis egestas.

Rerum novitatem: è l’altra causa delle difficoltà incontrate dal poeta.

Sed…serenas: i versi sono dedicati all’importanza dell’amicizia di Memmio, a cui si rivolge direttamente dal v. 140, unico conforto nelle difficoltà che la stesura dell’opera comporta. Rispetto alla pesantezza dei versi iniziali, caratterizzati dalla constatazione delle oggettive difficoltà che Lucrezio dovrà affrontare nella stesura dell’opera, nella seconda parte (vv. 140 e sgg) sembra prevalere la speranza, lo slancio vitale ed ottimista dell’autore che, in fondo, è sicuro di riuscire a superare le difficoltà, portando a termine con successo la sua operazione educativa.

Tua me: l’accostamento dei due termini non indica solo lo stretto legame affettivo che il poeta spera di costruire con il suo dedicatario, ma anche lo stretto legame che intercorre tra la capacità di apprendere di Memmio e la voglia di insegnare di Lucrezio.

Voluptas suavis amicitiae: espressione particolarmente pregnante, sottolineata dalla posizione di rilievo di voluptas, a fine verso, nella stessa posizione che occupava in I, 1, e di suavis, collocato all’inizio del verso successivo dall’enjambement, aggettivo che qui si riferisce all’amicizia di Memmio, ma verrà usato, nell’incipit del II libro, per indicare la condizione propria del saggio epicureo, colui che ha raggiunto la condizione di atarassìa, da cui tutti gli altri individui sono ancora lontani.

Me…suadet: il verbo, sottolineato dall’ enjambement, è costruito con l’accusativo (me) l’infinito (efferre, da cui dipende quemvis labore; labor è un altro termine chiave per quanto riguarda le dichiarazioni di poetica).

Noctes serenas: il motivo del vigilare noctes serenas è tipicamente alessandrino; l’attributo, in particolare, denota il piacere con cui l’autore si dedica alla sua attività di scrittore.

Dictis: allude alla difficoltà di trovare parole latine con le quali rendere la ricca e complessa terminologia filosofica greca, mentre carmine allude alla disposizione delle parole nel verso per procurare, attraverso la dolce armonia dei suoni e del ritmo, il piacere estetico, cui si farà riferimento nel frammento successivo.

Clara…lumina: metafora molto frequente per indicare la scienza, che illumina le menti ottenebrate da false credenze, liberandole dalla prigionia e dalle tenebre, in quello che potremmo definire un “intento illuminista” [Ita1] [Fr1] [En1].

 

 

De rerum natura, libro IV, 1-25

 

Rispetto al passo precedentemente osservato, in cui l’autore si limitava ad evidenziarle difficoltà insite nel suo progetto di trasporre ardui concetti filosofici in poesia e, per giunta, in una lingua povera di termini adatti ad esprimere tali concetti, nel passo seguente subentra l’orgogliosa consapevolezza di aver scritto un’opera assolutamente innovativa, grazie alla quale il poeta meriterà l’incoronazione poetica da parte delle Muse.

Il frammento si può dividere in due sequenze:

-        vv. 1-9: orgogliosa dichiarazione di Lucrezio, che parla della novità, senza dimenticare le difficoltà, della sua opera, utilizzando due immagini care a Callimaco, simbolo della poetica ellenistica: il sentiero mai battuto prima dal piede di nessuno e la sorgente pura, incontaminata, a cui nessuno si è mai accostato. Anche l’immagine dei novos flores, con cui le Muse [Ita2] [En2] intrecciano una corona da porre sul capo del poeta, nel topico rituale dell’incoronazione poetica, è una metafora molto frequente per indicare la poesia; in questo caso, si tratta di una poesia nuova, sia per i contenuti, sia per la forma.

-        vv. 10-25: la seconda sequenza è interamente dedicata alla difesa delle scelte stilistiche compiute dall’autore, che predilige la forma poetica per esporre la dottrina epicurea, benché lo stesso Epicuro si fosse espresso più volte contro la poesia, in quanto portatrice di menzogna. Lucrezio deve quindi dimostrare che la scelta del poema epico-didascalico, in luogo del trattato o del dialogo filosofico, è dettata dall’esigenza di rendere più gradevoli ed accessibili concetti altrimenti ardui e, sulle prime, sgradevoli, soprattutto per il tipo di pubblico a cui si rivolge. Benché la cultura greca si sia ormai affermata a Roma, vincendo quasi del tutto le resistenze dei più accaniti difensori della tradizione, il pubblico a cui Lucrezio si rivolge è ancora piuttosto digiuno di filosofia, e particolarmente della filosofia epicurea, la cui dottrina appare inconciliabile con i valori del mos maiorum [Ita3] [Sp]. Ecco perché il poeta sceglie, in questa seconda sequenza, di sviluppare la sua argomentazione attraverso un’ampia similitudine, in cui i suoi destinatari sono paragonati a bambini, cui il poeta-medico deve somministrare un’amara medicina; per rendere meno sgradevole il medicinale, e quindi fare in modo che il bambino lo beva volentieri, traendo giovamento dalla cura, il medico cosparge il bordo del bicchiere in cui è contenuta la medicina di miele (il dulce mel Musarum o museo lepos, ovvero la poesia). Attraverso questa efficace similitudine Lucrezio dimostra quindi come la scelta della poesia, ovvero il godimento estetico, sia per lui un mezzo, e non il fine; non c’è, quindi, alcun “tradimento” nei confronti di Epicuro, dal momento che la poesia diventa strumento di divulgazione della verità.

 

Avia Pieridum peragro loca nullius ante
trita solo. iuvat integros accedere fontis
atque haurire, iuvatque novos decerpere flores
insignemque meo capiti petere inde coronam,
unde prius nulli velarint tempora musae;                                           5
primum quod magnis doceo de rebus et artis
religionum animum nodis exsolvere pergo,
deinde quod obscura de re tam lucida pango
carmina musaeo contingens cuncta lepore.
Id quoque enim non ab nulla ratione videtur.                                     10
Nam vel uti pueris absinthia taetra medentes
cum dare conantur, prius oras pocula circum
contingunt mellis dulci flavoque liquore,
ut puerorum aetas inprovida ludificetur
labrorum tenus, interea perpotet amarum                                           15
absinthi laticem deceptaque non capiatur,
sed potius tali facto recreata valescat,
sic ego nunc, quoniam haec ratio plerumque videtur
tristior esse quibus non est tractata, retroque
volgus abhorret ab hac, volui tibi suaviloquenti                                 20
carmine Pierio rationem exponere nostram
et quasi musaeo dulci contingere melle;
si tibi forte animum tali ratione tenere
versibus in nostris possem, dum percipis omnem
naturam rerum ac persentis utilitatem.
                                                25

 

Percorro i luoghi impervi delle Pieridi, non calpestati prima dal piede

di nessuno. Mi piace accostarmi e bere da sorgenti non gustate

da nessuno, e mi piace cogliere i fiori nuovi

e chiedere per il mio capo una gloriosa corona,

di là donde a nessuno prima le Muse velarono le tempie:                                           5

primo perché parlo di argomenti elevati e mi accingo a sciogliere

l’animo dagli stretti nodi delle credenze religiose,

poi perché su un argomento così oscuro compongo versi tanto chiari,

cospargendo il tutto della grazia delle Muse.

Anche questo davvero non appare privo di ragione.                                                 10

Infatti, come quando i medici tentano di dare ai fanciulli

l’amaro assenzio, prima cospargono col dolce e biondo liquido del miele

gli orli del bicchiere tutto intorno,

perché l’ingenua età dei bambini sia ingannata

fino alle labbra e  intanto beva fino in fondo l’amaro succo di assenzio                   15

e, benché ingannata, non ne riceva danno,

ma, piuttosto, guarita in tal modo, divenga vigorosa,

così io, ora, poiché questa dottrina sembra per lo più essere

troppo astrusa per quelli ai quali essa non è familiare

e il volgo l’aborre e si ritrae da essa, ho voluto esporti                                              20

la nostra dottrina col melodioso canto pierio

e quasi cospargendola col dolce miele delle Muse,

per tentare se, per caso, io potessi con tale mezzo tenere avvinto

ai nostri versi il tuo animo, finché tu comprenda

appieno la natura e ti renda ben conto dell’utilità.                                                      25

 

Avia…loca: sottolinea le difficoltà incontrate dall’autore nella scelta di un’opera mai vista prima.

Iuvat…iuvat: (sott: me) l’anafora sottolinea il piacere che, accanto alle difficoltà prima menzionate, il poeta prova nell’affrontare questo tipo di impresa; il piacere si concretizza nelle immagini delle integros…fontis (=fontes) e dei novos flores. Gli aggettivi integros e novos, insieme al genitivo nullius del v.1, ribadiscono la novità e l’eccezionalità dell’opera, che costituiscono gran parte del suo valore.

Insignem…coronam: l’iperbato sottolinea l’importanza e la solennità dell’incoronazione poetica, mediante la quale Lucrezio potrà fregiarsi del titolo di “poeta”, consegnando il suo nome all’immortalità; l’aggettivo ha infatti valore attivo, da intendersi come “che rende illustri”.

Nulli: in poliptoto rispetto al nullius del v. 1, ribadisce ancora una volta l’idea del primato di Lucrezio nella scelta della poesia per un’opera di argomento filosofico.

Primum…deinde: sono due i motivi che rendono il poeta degno dell’incoronazione delle Muse: il primo riguarda l’importanza dell’insegnamento della filosofia epicurea, unico strumento contro l’oscurantismo della religio; il secondo ha invece a che fare con la capacità di Lucrezio di semplificare concetti ardui, rendendoli gradevoli, e quindi più fruibili, attraverso l’uso della poesia.

Artis…nodis: Efficace iperbato, che racchiude al suo interno, quasi “serrandola”, la causa della prigionia degli esseri umani: religionum animum, le false credenze religiose che impediscono all’uomo di conoscere la verità, e, quindi, di essere libero. Lo stesso termine religio deriva da religo= legare; ma Lucrezio non intende certo parlare di un legame costruttivo con la divinità, bensì, come si è detto, di una vera e propria trappola.

Quod…carmina: la causale sviluppa la seconda motivazione per cui il poeta ritiene di meritare la gloriosa corona delle Muse; l’importanza della sua opera di “intermediario” tra la dottrina di Epicuro ed il mondo latino è evidenziata, in particolare, dall’antitesi obscura (riferito a re, ovvero la dottrina epicurea, in un’espressione che riprende gli obscura reperta di I, 136) / lucida.

Musaeo…lepore: sull’importanza della parola-chiave lepos, si veda quanto detto in precedenza.

Id…videtur: il verso rappresenta una sorta di “cerniera” tra la prima e la seconda sequenza, in cui Lucrezio sembra voglia giustificare la sua scelta della poesia (id), nonostante l’opinione di Epicuro in merito.

Conantur: il verbo sottolinea lo sforzo che il poeta-medico deve compiere per somministrare la medicina-filosofia al bambino, che rappresenta, in questo caso, tutti coloro che non hanno ancora conosciuto la dottrina epicurea e che, probabilmente, faranno fatica a digerirla, nonostante la gradevole forma poetica-miele di cui il poeta si serve.

Dulci flavoque liquore: ribadisce il concetto per cui il dolce liquido del miele è solo un mezzo per rendere più gradevole la medicina, senza che questa venga privata della sua efficacia; lo stesso discorso vale, naturalmente, per l’uso della poesia finalizzata alla trasmissione dell’epicureismo..

Sic: introduce il secondo termine della similitudine: l’io del poeta (ego), che interviene, rompendo l’oggettività propria dell’epica, per rivendicare il diritto di scegliere il metodo che ritiene più efficace per diffondere la dottrina (ratio) presso un popolo ancora “immaturo” (di qui l’analogia con il bambino) e sostanzialmente impreparato a ricevere tale insegnamento.

Tristior: comparativo assoluto, riferito a ratio, con valore predicativo. Tale aggettivo identifica la prima delle due categorie di persone a cui Lucrezio sembra rivolgersi, ovvero quella dei cosiddetti “tradizionalisti”, per i quali la filosofia epicurea, così distante dal mos maiorum, rappresentava una vera e propria minaccia alla tradizione ed allo spirito romano.

Volgus: fortemente in rilievo, grazie all’enjambement ed alla posizione ad inizio verso, indica la seconda categoria di persone a cui l’opera è indirizzata: il volgo, il “popolino” ignorante che non conosce assolutamente la dottrina di Epicuro, e si accontenta di seguire false credenze dettate dalla religio. L’atteggiamento di Lucrezio denota un malcelato disprezzo nei confronti di questi individui, anche se lo scopo didascalico del poema lo allontana nettamente da quegli autori che, come Catullo, facevano della disapprovazione del popolo una dimostrazione del valore della propria opera.

Volui…nostram: il verbo, alla I persona singolare, sembra entrare in contraddizione con l’uso del possessivo di I persona plurale nostram (riferito a rationem), per cui si può interpretare come un plurale maiestatis, oppure come un riferimento al fatto che, mentre la decisione di scrivere l’opera e di dedicarla a Memmio è unicamente di Lucrezio, la dottrina che viene trasmessa per mezzo dell’opera è tanto di Epicuro, che l’ha formulata, quanto del poeta latino che l’ha divulgata.

Si…possem: Con questa affermazione, Lucrezio sembra quasi voler svelare a Memmio i “trucchi del mestiere” utilizzati per convincere anche uno scettico come lui della validità della dottrina epicurea; a questo proposito è significativo notare la mutata accezione del termine ratio, rispetto al significato di dottrina attribuitogli ai vv. 18 e 21).

   6/12   

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