Energia dalle biomasse e dai rifiuti.
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Con il termine
di biomassa viene
indicata la
parte biodegradabile dei prodotti,
rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente
sostanze vegetali
ed animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse,
nonché la parte
biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani.
Sono quindi biomasse [I1]
[E1]
[F1]
[ES1]:
- tutti i prodotti
delle coltivazioni
agricole e della forestazione;
- i residui delle
lavorazioni agricole e
gli scarti dell’industria alimentare;
- le alghe;
- tutti i prodotti
organici derivanti
dall’attività biologica animale;
- i rifiuti solidi
urbani.
Le
biomasse possono
suddividersi in
quattro categorie:
- residui
forestali dell’industria del
legno (che derivano dalle lavorazioni delle segherie, dalla
trasformazione del prodotto
legno, dagli interventi di manutenzione del bosco);
- sottoprodotti
agricoli (paglie, stocchi,
sarmenti di vite, ramaglie di potatura, ecc.);
- residui
agroalimentari (sanse, vinacce,
noccioli, lolla di riso, ecc.);
- colture
energetiche (che servono per la
produzione di biomasse per lo sfruttamento energetico o per la
realizzazione di
biocombustibili: girasole, colza, miscanto, canna da zucchero, sorgo da
fibra
zuccherina, pioppo, acacia, eucalipto, ecc.).
Per
tracciare un bilancio sintetico del settore delle bioenergie
è
opportuno tuttavia suddividere il mondo delle biomasse almeno in tre
filiere
principali:
- biomasse
solide,
costituite principalmente da prodotti o residui forestali ed agricoli,
destinati a combustione per la generazione di energia termica ed
elettrica;
- biocombustibili
liquidi,
che includono oli vegetali destinati a combustione e biocarburanti per
autotrazione;
- biogas generato
principalmente dalla digestione di residui agricoli e zootecnici e
destinato alla produzione di energia.
Le biomasse,
prodotte e utilizzate in
maniera ciclica, costituiscono una risorsa energetica rinnovabile e
rispettosa
dell’ambiente. Esse sono neutre per quanto attiene
l’effetto serra, poiché l’anidride
carbonica prodotta durante la loro combustione viene riassorbita dalle
piante
con la fotosintesi.
Il basso contenuto di zolfo e di altri
inquinanti fa sì che, quando utilizzate in sostituzione di
carbone e di olio
combustibile, le biomasse contribuiscano ad alleviare il fenomeno delle
piogge
acide.
In sintesi, i processi di conversione in energia delle
biomasse possono essere
ricondotti a due grandi categorie:
- processi
termochimica;
- processi
biochimici.
I processi di
conversione termochimica
sono basati sulle reazioni chimiche esotermiche di combustione delle
biomasse
(legna e suoi derivati, sottoprodotti colturali di tipo
ligno-cellulosico e taluni
scarti di lavorazione quali lolla, pula, gusci, noccioli).
I processi di conversione biochimica
permettono di ricavare energia per reazione chimica dovuta al
contributo di
enzimi, funghi e micro-organismi. Risultano idonei alla conversione
biochimica
le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli
di
barbabietola, ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici e alcune
tipologie di
reflui urbani e industriali.
L’impiego più tradizionale delle
biomasse è quello che ha come obiettivo la produzione di
calore. Il mercato del
calore per il riscaldamento degli edifici vede già ora le
biomasse
ligno-cellulosiche in posizione di grande competitività nei
confronti dei
combustibili fossili, a causa dell’alta incidenza delle
imposte sui prodotti
petroliferi e sul gas naturale per questo uso finale
dell’energia.
Per il riscaldamento di singoli edifici
con biomassa, la tecnologia offre almeno due distinte soluzioni
impiantistiche:
le caldaie a legna in pezzi grossi e le caldaie a legno sminuzzato
(cippato).
Le prime, a caricamento manuale e con
potenza fino a un centinaio di kW termici, sono adatte per uso
familiare mentre
le caldaie a cippato hanno sistemi di caricamento del combustibile e di
controllo della combustione completamente automatici. Le potenze vanno
dal
centinaio di kWt fino a qualche MWt. Questi impianti sono
particolarmente
adatti al riscaldamento di edifici di una certa dimensione (alberghi,
scuole,
ospedali, condomini).
Se gli utenti da riscaldare sono
numerosi e situati a breve distanza tra loro può risultare
conveniente realizzare
un impianto di teleriscaldamento [I2]
[E2]
[F2]
[ES2]
a
biomassa.
Dalle biomasse si può produrre energia
elettrica con impianti che utilizzano varie tecnologie. La
più diffusa, per
taglie di qualche MWe fino ad alcune decine di MWe, si basa sulla
combustione in
caldaie a griglia o a letto fluido. Il vapore prodotto in caldaia
alimenta una
turbina che trascina un alternatore.
Tali cicli a vapore sono caratterizzati
da rendimenti piuttosto limitati: ad esempio, impianti con ciclo a
vapore e
letto fluido da 10 MWe progettati con criteri moderni hanno rendimenti
elettrici dell’ordine del 25÷30%.
Il calore non convertito in energia
elettrica viene disperso nell’ambiente oppure può
essere recuperato negli impianti di
cogenerazione [I3]
[E3]
[F3]
[ES3] che
producono calore, impiegato per
processi industriali e per il riscaldamento residenziale, ed energia
elettrica.
Tecnologie più innovative adottano cicli combinati, che utilizzano
una turbina a gas e un
ciclo a vapore alimentato dai gas di scarico del turbogas. Per
alimentare
questo tipo d’impianto con biomasse, le stesse vengono
gassificate e depurate:
i gas così prodotti alimentano la camera di combustione
della turbina a gas. Il
rendimento elettrico può raggiungere il 40%.
La biomassa può essere convertita in
energia elettrica anche in centrali tradizionali alimentate con
combustibile
fossile, costituendo una frazione di questo con biomassa
(“co-combustione”).
Per piccoli impianti, di potenza
inferiore al MWe, il rendimento del ciclo a vapore diminuisce
drasticamente
fino a diventare antieconomico. In questi casi possono essere
utilizzati turbogeneratori
a fluido organico, in cui la turbina è azionata da vapore
organico ad alta
massa molecolare. Per potenze ancora minori, installabili presso utenze
isolate, sono in fase di sperimentazione prototipi da alcuni kWe basati
su
motori Stirling o su gassificatori associati a motori a combustione
interna.
I combustibili
liquidi possono essere
ottenuti da diverse biomasse vegetali.
- dai semi delle
colture oleaginose (girasole, colza) si ricava olio che, sottoposto a
esterificazione, viene convertito in biodiesel, un carburante
biodegradabile avente caratteristiche molto simili a quelle del gasolio;
- dalla
fermentazione di biomasse zuccherine (come barbabietola e sorgo, ma
anche mais e frumento) si ricava bioetanolo che, opportunamente
trasformato, può essere miscelato alle benzine migliorandone
le caratteristiche ottaniche e ambientali.
Il
bioetanolo può essere ottenuto anche
dalle biomasse ligno-cellulosiche (legno, paglia) per idrolisi
enzimatica o
acida.
Mediante un processo di conversione,
detto pirolisi [I4]
[E4]
[F4]
[ES4], dalle biomasse
ligno-cellulosiche si può
ottenere un liquido denominato biolio. Il biolio di pirolisi
potrà essere in
prospettiva utilizzabile per l’autotrazione o in turbine a
gas per la
produzione di energia elettrica.
I reflui animali prodotti dagli
allevamenti zootecnici costituiscono una biomassa di notevole interesse
a fini
energetici, poiché essa può essere trasformata
dando luogo alla produzione di
biogas (metano). Il processo consiste in una fermentazione in ambiente
privo
d’aria, detto digestione anaerobica. Con
tale processo si ottengono due
funzioni: il trattamento di reflui organici, notevolmente inquinanti, e
la loro
conversione in energia.
Il biogas prodotto può essere infatti
utilizzato in loco per produrre energia termica ed elettrica mediante
sistemi
di cogenerazione o per alimentare un impianto a ciclo combinato.
Nell’ambito della promozione delle fonti
energetiche rinnovabili la valorizzazione energetica dei rifiuti
solidi urbani (RSU)
[I5]
[E5]
[F5]
[ES5]
costituisce
un’operazione
realisticamente praticabile e quantitativamente significativa e
ciò comporta
innanzitutto una riduzione progressiva dell’utilizzo della
discarica. Gli RSU
indifferenziati, cioè i rifiuti
a valle dei recuperi di frazioni merceologiche attuati con la raccolta
differenziata, presentano caratteristiche chimico-fisiche
particolarmente
idonee per essere utilizzati come combustibili in moderni impianti di termovalorizzazione (WTE) [I6]
[E6]
[F6]
[ES6], ad elevata
efficienza energetica, sempre
più simili a centrali termoelettriche alimentate a
combustibili poveri.
I parametri qualitativi e quantitativi
dei rifiuti sono fortemente cambiati nel tempo in funzione delle mutate
condizioni socio-economiche. Si è passati da una produzione
annua di circa
250÷270 kg/abitante del 1975-80 agli attuali
480÷500 kg.
Di pari passo si è riscontrato un
aumento del potere calorifico, soprattutto per la diffusione di
imballaggi in
plastica e materiale cellulosico. Il p.c.i. nel 1980 era di circa 1550
kcal/kg;
agli inizi degli anni ’90 era già pari a 2000
kcal/kg; nel 2000 raggiungeva
2800 kcal/kg (11,7 MJ/kg).
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