L'intolleranza razziale antiebraica di Giovanni Lauretta (giovanni.lauretta@fastwebnet.it), Fulvia Dellavalle (fulvia_dellavalle@yahoo.it), Daniela De Luca (dana.dl@libero.it), Maria De Luca (deindeit@yahoo.it)

Etnocentrismo e relativismo culturale

Come abbiamo più volte detto il patrimonio culturale è diverso da quello genetico: non è innato, ma si acquisisce vivendo in una società. Ogni società costruisce la propria cultura, diversa da quelle delle altre società, operando una selezione tra le infinite possibilità esistenti, in modo arbitrario. L’atteggiamento di chi considera sbagliate le abitudini altrui, poiché solo le proprie gli sembrano normali e giuste, si definisce: etnocentrismo [E1] [E2] [FR1] [FR2] .

Esso consiste nel porre il popolo (ethnos) di appartenenza al centro dell’attenzione, presentandolo come termine di paragone a cui tutti gli altri devono far riferimento per verificare la giustezza delle proprie scelte. Piccoli elementi di contrasto sono i più visibili: il cibo è uno dei settori privilegiati per l’atteggiamento etnocentrico. (Ex) Gli Eschimesi sono chiamati così da un appellativo dispregiativo, dato loro da un’altra popolazione, che significa “mangiatori di carne cruda”. Essi infatti definiscono se stessi Inuit, cioè uomini.

L’etnocentrismo è caratteristico di ogni gruppo umano, ma può giungere ai limiti del razzismo. Per evitare questo è stato introdotto il concetto di relativismo culturale [E1] [E2] [FR1] [FR2] . : nozione che si fonda sull’idea che ogni cultura debba essere compresa assumendo come parametri solo quelli di quella cultura e non quelli della propria.

Se non si cade nella trappola dell'etnocentrismo occorre però non cadere nel eccesso inverso: il relativismo culturale radicale che può dare arigine al razzismo differenzialista [I1] [I2] [I3] [EN1] .

La retorica nazionalista, in ogni parte del mondo, si serve abbondantemente dell'uso dei termini "identità etnica", "etnogenesi", "pulizia etnica", "conflitto interetnico", "etnicità". È accaduto così anche nei Balcani: dall'inizio della dissoluzione della ex Jugoslavia fino alla Serbia di Milosevic [FR1] [FR2] , la cui politica è intessuta di questi riferimenti. Secondo l'Accademia delle scienze di Belgrado, nel Kosovo un tempo si sono poste, una volta per tutte, le basi della "identità etnica" del popolo serbo.

Ma l'uso della parola "etnia" e dei suoi derivati è altrettanto diffuso nei nostri paesi, nel linguaggio comune, in quello scientifico e dei media. L'ethnos serve a identificare cose molto diverse (dalla cucina e dalla musica ai paesi esotici, dalle minoranze agli immigrati), oppure fa le veci di una parola che ormai non è più "politically correct".

«Un tempo si diceva razza, oggi si dice etnia», scrive Annamaria Rivera [I1] [FR1] [FR2] , antropologa. «Dalla fine della seconda guerra mondiale, non sta bene parlare di razza, anche perché gli scienziati hanno dimostrato che non è una realtà, ma una metafora naturalistica che serve a inferiorizzare, discriminare, sterminare. Chi coltiva la credenza nelle razze pensa che l'umanità sia divisa in gruppi differenti per essenza e definitivamente: è questo il cuore del razzismo. Oggi, tuttavia, perfino certi razzisti, sapendo che "razza" suona male, la sostituiscono con "etnia"» .

Ma il punto non è questo, come ci spiega la stessa Rivera: «Non si vuole fare un uso terroristico della critica al linguaggio. Il problema è capire cosa si nasconde dietro questi concetti, sottoporli a una critica e storicizzarli. Essi vengono per lo più usati come se fossero neutri e innocenti, e come se identificassero delle "cose", delle realtà empiriche indiscutibili, mentre sono astrazioni concettuali, categorizzazioni sociali, credenze collettive che, certo, hanno la capacità di agire sul sociale e possono essere manipolate e usate come potenti armi ideologiche». Si tratta quindi di chiarire il significato di concetti che si prestano a fraintendimenti e a facili strumentalizzazioni, e non solo nel caso dei nazionalismi dichiarati.

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