L'intolleranza razziale antiebraica di Giovanni Lauretta (giovanni.lauretta@fastwebnet.it), Fulvia Dellavalle (fulvia_dellavalle@yahoo.it), Daniela De Luca (dana.dl@libero.it), Maria De Luca (deindeit@yahoo.it)

Il concetto di etnia

Il concetto di etnia [EN1] [EN2] [FR1] [FR2] [FR3] [ES1] [ES2] e di etnicità è di difficilissima definizione. In etnologia ed antropologia culturale per etnia si intede un raggruppamento umano determinato in base a criteri di classificazione che possono essere di tipo molto diverso (linguistici, culturali, tratti fisici, ecc). Gli antropologi tengono comunque a precisare che il concetto di etnia è assunto unicamente come strumento di indagine e non come determinazione della realtà. Le etnie, lungi dall’essere realtà naturali, sono piuttosto creazioni collettive e le rappresentazioni etniche e gli etnonimi hanno un valore performativo, ovvero ricoprono la funzione di delimitare e di suggerire uno spazio relazionale e sociale privilegiato. L’etnia è dunque una forma simbolica, una categoria di relazioni composte da rappresentazioni reciproche e da realtà morali. Non va comunque dimenticato che "le tradizioni e dunque anche le identità di gruppo ed etniche sono continuamente manipolate da chi ha potere, da chi lo subisce, da chi lo vuole ottenere. Quindi i gruppi etnici, così come l’etnicità, sono costruzioni tanto esterne quanto interne". Oggi, inoltre, il concetto di etnia è spesso utilizzato come "aggettivo qualificativo" di identità.

"Etnia" è quasi sempre associata a "identità". E' attraverso l'affermazione dell'etnicità che si tenta infatti di definire, di dare forma a un'identità forte (di un popolo, di una regione, di un conflitto). Ma è ormai da tempo - scriveva Lévi Strauss già negli anni Settanta - che scienze come la matematica, la linguistica, la biologia, la filosofia, oltre a etnologia e antropologia, spingono verso una "critica dell'identità", anziché verso una sua riaffermazione, intendendo l'identità come "una sorta di fuoco virtuale" o di "limite" a cui ci si può riferire nella teoria e a cui, tuttavia, non corrisponde nulla nella realtà.

In senso analogo, a partire dagli anni Sessanta l'antropologia ha avviato un processo di revisione critica anche del concetto di etnia (insieme a quello di cultura), fino alla sua completa decostruzione. Si è arrivati cioè a negarne la realtà empirica, oggettiva: non esiste l'"etnicità" come non esistono le razze, perché non esiste un fondamento naturale, biologico, inequivocabile che le identifichi una volta per tutte. Tuttavia, poiché l'identità è comunque un'esigenza irrinunciabile per la nostra specie (data l'intrinseca instabilità che la caratterizza), i gruppi umani, sotto l'egida dei loro capi (siano essi uomini politici, scienziati o apprendisti stregoni) continuano a far riferimento all'etnicità in mille modi diversi. E anche se le etnie risultano delle "realtà immaginate" piuttosto che "reali", scrive l'antropologo Ugo Fabietti, l'identità etnica è percepita da coloro che vi si riconoscono come un dato assolutamente "concreto", tanto da essere impiegato per promuovere le guerre.

«Dove i gruppi etnici entrano in conflitto o in concorrenza - scrive ancora Fabietti - l'etnia e l'etnicità emergono nel loro aspetto operativo e significante. Poco importa che siano un'invenzione (esterna o interna), e che i criteri chiamati a legittimare la loro esistenza siano fondati sull'oblio della memoria storica e culturale, o su una idea di falsa autenticità». Sarebbe quindi un errore pensare che dietro l'etnia vi sia qualcosa di naturale, di eterno, di sacro, di originario, anziché un processo di continua riformulazione dell'identità individuale o di gruppo.

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