Educazione
L’educazione è l’insieme dei
processi e degli strumenti attraverso cui una società trasmette da una
generazione all'altra il patrimonio di conoscenze, valori, tradizioni,
comportamenti che la caratterizzano. Il termine educazione deriva dal latino
educare, del quale vengono indicate due origini e due significati diversi:
édere, che significa "alimentarsi"; ex-dúcere, che significa
"trarre fuori". Il primo significato pone l'accento su un processo
biologico che consente la crescita dell'individuo, l'altro sulla possibilità
più generale di promuovere lo sviluppo di qualcuno, di "tirarlo
fuori" da una situazione di immaturità che può essere tanto biologica
quanto intellettiva. I due significati mettono in evidenza una dimensione
fondamentale dell'educazione, cioè quella relazionale: cioè un insieme di
processi che caratterizzano un rapporto interpersonale in cui c'è chi "si
alimenta" e chi "alimenta", chi "trae fuori" e chi
"viene tratto fuori" dallo stato di immaturità. L'educazione passa
attraverso i processi comunicativi che regolano il rapporto tra un membro più
competente e uno meno competente in quel contesto; consentendo la trasmissione
dal primo al secondo dei contenuti culturali, ma anche dei comportamenti e
delle modalità di ragionamento tipiche della comunità sociale cui entrambi
appartengono. Sono processi comunicativi che consentono l'apprendimento, che è
l'esito naturale di una relazione sociale a carattere educativo. Tutto questo
significa che qualsiasi relazione tra soggetti con gradi diversi di competenza
può essere educativa, e quindi che i processi e i sistemi educativi permeano a
più livelli l'intera struttura sociale. Significa inoltre che contenuti,
comportamenti, modalità di ragionamento trasmessi tramite i processi educativi
sono socialmente e storicamente determinati, cioè dipendono dall'identità
ideologica e dalle scelte politiche che caratterizzano in quel momento storico
la società in cui tali processi si realizzano. In riferimento a questa
concezione dell'educazione, in cui è primario il riferimento al sistema
culturale di una società e alla sua sopravvivenza per trasmissione tra
generazioni, sono state date descrizioni diverse delle modalità attraverso cui
la rete di relazioni educative si realizza e delle loro ricadute in termini di struttura
sociale.
Educazione come processo esplicito o implicito
In ogni società esistono delle agenzie formalmente deputate all'azione
educativa. Tra di esse, quelle attualmente riconosciute come principali sono la
scuola e la famiglia. Pertanto sia i genitori quanto gli insegnanti sanno di
avere il dovere di promuovere lo sviluppo dei figli e degli studenti,
riconoscono come obiettivo del loro ruolo educativo quello di indirizzare tale
sviluppo verso la formazione di soggetti adulti integrati e attivi nel contesto
sociale di riferimento, e scelgono in maniera consapevole i metodi con cui
realizzare tale obiettivo. L'individuazione degli obiettivi e dei metodi
educativi è precisa e sistematica soprattutto nel caso della scuola, che in
questo senso è uno degli oggetti di riflessione della pedagogia e la sede
principale di riferimento per l'elaborazione di curricoli. Un’azione educativa
implicita è la trasmissione del sistema culturale non un effetto esplicitamente
e consapevolmente riconosciuto dai soggetti che partecipano all'interazione. Ad
esempio, tutte le relazioni che il bambino intrattiene con adulti, coetanei più
competenti o mezzi di comunicazione più o meno di massa – la televisione, il
libro ecc. – potrebbero essere educative nella misura e nel momento in cui
producono, come per contagio, la trasmissione e quindi l'apprendimento di
credenze, valori, comportamenti o modalità di ragionamento tipiche della
comunità sociale cui il bambino appartiene. Questo significa però che, se
l'educazione può realizzarsi attraverso gli scambi informali che caratterizzano
qualsiasi rapporto, anche la famiglia e
la scuola possono essere sede di educazione implicita oltre che esplicita:
infatti, al di là degli obiettivi educativi che insegnanti e genitori si pongono
consapevolmente e dei modi che scelgono per raggiungerli, il complesso e
concreto svolgersi della loro relazione con studenti e figli potrebbe veicolare
scelte ed effetti educativi non dichiaratamente prescelti e che restano perciò
impliciti.
Educazione come sede di
conservazione o progresso socioculturale Attraverso
l'educazione una società mira alla sua sopravvivenza, si assicura la
perpetuazione del suo sistema culturale trasmettendolo alle nuove generazioni.
In questo senso l'intervento educativo dovrebbe fornire alle nuove generazioni
sia il patrimonio socioculturale fin lì costruito dalle generazioni passate,
sia gli strumenti per interpretarlo in modo nuovo, per superarlo senza
disperderlo e anzi arricchendolo. In questo senso l'educazione svolgerebbe un
importante ruolo di mediazione tra il passato e il futuro, senza il quale non
esisterebbe la possibilità per una società e, più in generale, per l'umanità,
di costruire la propria storia: infatti, estremizzando, l'assenza di interventi
educativi – più o meno organizzati in un sistema scolastico – condannerebbe
ogni "storia" (o "cultura") a svanire con la scomparsa
della generazione che ne è stata protagonista e ogni nuova generazione a
ricominciare da capo. Chi abbraccia questo punto di vista considera
l'educazione come la sede in cui si costruisce e insieme si realizza la
libertà: chi educa fornisce a chi viene educato gli strumenti per esprimere
liberamente la propria individualità, ed è proprio questa possibilità di
esprimersi liberamente che permette a ogni membro di interpretare la società in
modo personale, originale, divergente rispetto al passato e quindi di
consentirne il progresso. Non solo: è attraverso l'educazione che i gruppi
sociali più svantaggiati troverebbero gli strumenti per affrancarsi dal loro
stato di inferiorità socioculturale, e quindi per accedere ai luoghi del potere
e del sapere.
Pedagogia
Il termine
deriva dal greco παιδαγογια,
da παιδος (paidos) «il bambino» e αγω
«guidare, condurre, accompagnare». Nell'antichità, il pedagogo era uno
schiavo che accompagnava il bambino a scuola, portandogli il materiale,
facendogli pure ripetere le lezioni e seguendolo nell'esecuzione dei compiti.
Tra le possibili definizioni della pedagogia, dell’educazione e della
scuola se ne possono assumere alcune recenti:
-
La pedagogia
è la scienza che studia i processi
educativi nella duplice accezione di trasmissione e trasformazione culturale, e
la qualità delle relazioni interpersonali che le rende possibili.
-
La pedagogia si occupa, in particolare, degli aspetti
di fondo, ovvero degli indirizzi educativi, dei valori, degli obiettivi
perseguiti.
-
La pedagogia è "la lettura della realtà sotto il
profilo dell'educazione" per la realizzazione di un possibile mondo
migliore. Il destinatario della pedagogia è innanzitutto il bambino, ma oggi si
avverte anche la necessità che la scienza dell'educazione si occupi sia degli
adulti (andragogia) sia degli anziani (geragogia).
-
La pedagogia è la scienza generale della formazione e
dell'educazione dell'uomo. E’ una scienza costituita da un organico sistema di
saperi. Essa è una scienza generale poiché affronta ogni aspetto relativo ai
suoi due oggetti centrali: la formazione e l’educazione.
-
La pedagogia è la disciplina teorica e pratica dello
sviluppo “con forma” del soggetto personale nella sua coordinazione essenziale,
non automatica e non riduttiva, non passiva, meccanica o “adattiva”, con i
soggetti e gli organismi collettivi”.
-
La pedagogia tende essenzialmente a trasmutare la
“determinazione passiva” nella “determinazione attiva”, a commutare ciò che è
puramente “dato” in ciò che è consapevolmente voluto e scelto.
Chi
sono i pedagogisti
Lo
specialista di processi educativi (ricerca e applicazione) si definisce pedagogista.
Il
pedagogista è un professionista dotato di una formazione generalmente multidisciplinare,
che comprende la pedagogia stessa, la psicologia, l’antropologia, la sociologia.
Il pedagogista opera nei settori dell'educazione dei minori e degli
adulti, nella prevenzione e nella formazione, opera grazie agli strumenti
propri della pedagogia sperimentale, quali test, osservazione sistemica,
colloqui, questionari, indagine statistica e clinico educativa, inoltre nei
settori della sanità, della formazione, della scuola, nel sociale,
assistenziale ed aziendale.
Nel corso
della storia della pedagogia, i grandi nomi da ricordare sono: Socrate, Quintiliano,
Lullo, Comenio, Locke, Rousseau e altri. Tra i maggiori pedagogisti dell'800
sono Pestalozzi, Herbart, Aporti. Molti i pedagogisti del '900, fra i quali
possiamo citare, in ordine sparso, Montessori, le sorelle Agazzi, Steiner, Kerschensteiner,
Dewey, Decroly, Claparède, Korczak, Makarenko, Ferrière, Hahn, Neill, Freinet, Bruner,
Freire; personaggi non specificamente pedagogisti, ma che si sono comunque
occupati di pedagogia sono stati: Baden-Powell, Gentile, Gramsci, don Milani, Piaget,
Skinner. Nel dibattito pedagogico italiano contemporaneo le voci più autorevoli
sono quelle di Mario Lodi, Franco Cambi, Alberto Granese, Elisa Frauenfelder,
Vincenzo Sarracino, Mario Gennari, Giuseppe Spadafora, Simonetta Ulivieri,
Mauro Laeng, Piero Bertolini, Cesare Scurati.
Alcuni dei
suddetti pedagogisti e le loro teorie saranno approfonditi per descrivere i
tratti fondamentali del percorso pedagogico scolastico dal settecento al
novecento.
Pedagogisti del ‘700
1. Rousseau
Il tentativo di rivoluzione metodologica dell’insegnamento e dell’educazione
prese le mosse da Rousseau (1712 - 1778).
Seguendo il principio della bontà
originaria dell’uomo, Rousseau introdusse nella pedagogia il sentimento,
gli affetti, la Natura. L’educazione naturale significa "sviluppo spontaneo". L’educatore non si deve imporre, né
deve imporre leggi e regole, deve solo permettere che il corso della natura
dell’educando si possa compiere secondo il naturale cammino. Anche l’ambiente
educativo sarà nuovo, lontano e isolato dalla vita sociale, posto in campagna.
Il bimbo crescerà come una pianta, l’educatore baderà solo affinché nulla possa
deviare il corso normale.
L’educazione naturale di Rousseau contrapposta a quella positiva che ammette
l’intervento dell’educatore, promuove l’attività spontanea dell’alunno, ma
molte sono le critiche da fare.
Il pensiero pedagogico di Rousseau si fonda sul presupposto sbagliato
della bontà originaria dell’uomo, per cui il fanciullo, lasciato a se stesso,
sviluppa solo a buon fine le proprie inclinazioni. Ma è un presupposto errato, in
quanto basato su un concetto di libertà che non corrisponde alla realtà dell’uomo.
Infatti egli non è né libero, né buono, quando è in balia dei propri istinti
naturali, (la Riforma aveva accentuato il pessimismo antropologico) perciò,
seguendo l’istinto, che non gli permettono di formarsi un carattere, di
acquisire il senso del "dovere". L’attenzione di Rousseau è tutta
rivolta all’uomo presente, corrotto e disumano paragonato all’uomo selvaggio o
primitivo, mentre nell’Emilio l’uomo di natura è chi ha potuto sviluppare la sua
persona nell’autonomia della propria natura, libera da ogni imposizione esterna.
Emilio è immaginato dall’autore come un fanciullo sano e vigoroso, di
intelligenza comune, di condizione agiata; ed il suo educatore è un uomo
saggio, colto, di spirito aperto e giovanile, che si occupa solo
dell’educazione del suo ragazzo. Emilio viene educato in una villa di campagna
dove sono dei servi, dei conoscenti e degli amici, tutti cospiranti col maestro
alla sua educazione, immune da ogni influsso familiare e sociale.
L’aiuto dell’educatore tende solo a sviluppare la spontanea forza
naturale di Emilio senza predeterminazione alcuna; e poiché lo sviluppo avviene
in rapporto all’età, l’opera dovrà differenziarsi successivamente.
Rousseau divide il suo romanzo pedagogico in cinque libri: infanzia (1-2
anni), fanciullezza (3-12), preadolenscenza (13-15), adolescenza (16-20) e,
quindi, giovinezza.
Con Rousseau si enfatizza la necessità della conoscenza da parte
dell'educatore delle leggi che caratterizzano l'evoluzione psicologica
dell'umano e vengono gettate i primi fondamenti della disciplina che prenderà
il nome di psicologia evolutiva.
A tal proposito nel 1912 a Ginevra venne fondata dal Claparède e da
Piaget un istituto per la ricerca di psicologia evolutiva intestato a suo nome.
Le teorie pedagogiche di Rousseau favorirono metodi educativi più
permissivi e più attenti all'aspetto psicologico dell'educando, esercitando un
profondo influsso su riformatori come lo svizzero Pestalozzi.
Inoltre la ricerca pedagogica degli ultimi trent’anni continua ad
individuare in Rousseau un punto di riferimento importante per i problemi
dell’individualizzazione dell’insegnamento-apprendimento.
2 Pestalozzi
Johann Heinrich Pestalozzi (1746 - 1827) è stato uno dei pochi
pedagogisti attenti alla rivoluzione di Rousseau e in grado di interpretare la
cultura romantica.
Il pedagogista svizzero era affascinato dal pensiero di Rousseau, ma non
si limitò a lodarlo, si spinse infatti molto più in là.
Per Pestalozzi l’istruzione è vera ed educativa solo quando proviene
dall’attività stessa dei fanciulli. L’educazione è processo autonomo , ma il
suo punto di partenza non è l’"uomo astratto", ma l’individuo nella
pienezza dei suoi rapporti familiari e sociali. Il centro dell’educazione naturale è la famiglia cui la scuola deve conformarsi.
Pestalozzi ha avvertito l’importanza del lavoro e cioè che il lavoro fa
parte dell’essenza umana, e anche l’importanza della formazione dei giovani in
comunità e non in solitudine, perchè la vita della scuola si svolga in armonia
con quella della famiglia e della società.
Pestalozzi sottolinea l’importanza della madre come prima naturale educatrice del bambino. La donna, quindi,
conserva un diritto all’istruzione pari all’uomo, anzi, come madre e sposa,
diventa il centro della famiglia. L’uomo non può essere veramente tale se non
nella concretezza della sua vita, del suo lavoro, delle sue relazioni sociali.
Così l’educazione professionale non può bastare a se stessa, ma deve integrarsi
in un’educazione veramente umana.
Per molto tempo ancora, quasi tutto il secolo XIX, la scuola rimase in
gran parte estranea al movimento attivista, legata alla tradizione, ispirata a
rigide formule, agli schemi didattici del positivismo.
Pedagogisti del ‘800
1 Herbart
Certamente la
prima metà dell'Ottocento ha visto notevoli esperienze pedagogiche illuminate
da fine sensibilità sulla psicologia infantile e sorrette da profonde
intuizioni metodologiche. Tuttavia solo con Herbart (1776-1841) la pedagogia
esce dallo spontaneismo e dalla improvvisazione e si avvia ad acquisire lo
statuto di scienza autonoma. Egli le conferisce una solida base filosofica pur
senza dimenticare i concreti problemi didattici.
Herbart
rifiuta l’identificazione della pedagogia con la filosofia e la centralità
della dimensione spirituale nel rapporto maestro-scolaro. La pedagogia è scienza
autonoma dell'educazione. Ma autonomia non significa isolamento: al contrario
la pedagogia è scienza interdisciplinare in quanto dipende sia dall'estetica
che dalla psicologia. Compito dell'educazione è la formazione di una
personalità sviluppata in tutti i suoi aspetti secondo i cinque valori fondamentali indicati dall'esperienza: libertà
interiore, perfezione, benevolenza, diritto, equità. Poiché l'estetica è la
scienza dei valori, la pedagogia risulta subordinata all'estetica come i mezzi
ai fini. In vista del raggiungimento di questo obiettivo risulta indispensabile
la formazione del carattere, di cui l'educatore è responsabile. Poiché il
bambino viene al mondo senza volontà, preda di impulsi incontrollabili, bisogna
che la sua formazione morale avvenga con sforzo e istruzione. Le condizioni per
l'istruzione educativa risultano pertanto il governo e la disciplina.
Con il termine "governo" Herbart intende il controllo esercitato
dall'educatore sull'allievo al fine del mantenimento dell'ordine: finché non
sia stata raggiunta l'età della ragione e dell'autocontrollo. Con la
"disciplina" l'atteggiamento di comando dell'educatore deve
trasformarsi in un ' azione di guida dell'istruzione intellettuale e di
sostegno del comportamento.
Herbart è
convinto che i valori morali non derivino né da un moto spontaneo dello spirito
né dall'esperienza: è necessaria "un'istruzione educativa" come
trasmissione ed elaborazione della cultura.
Se cinque
sono i valori che costituiscono i fini educativi generali, altrettanti sono i criteri metodologici fondamentali per
ogni tappa d'insegnamento: a) la preparazione
(richiamare quanto già appreso e indicare l'aggancio con le nuove nozioni); b) presentazione (avvio di un nuovo
apprendimento mediante la concatenazione tra più nozioni); associazione (sistemare le nuove nozioni all'interno del tessuto
cognitivo già acquisito); generalizzazione
(formazione di regole generali per astrazione dal materiale appreso); applicazione (esercizi di verifica e di
consolidamento del sapere). Ma questi criteri non potrebbero funzionare se non
ci fosse un legame con lo scopo educativo che favorisca la concatenazione tra i
contenuti via via appresi. Questo legame è costituito dalla multilateralità
dell'interesse, che consente di evitare la dispersione delle attività educative
orientandole verso la formazione morale della persona nella sua integralità.
Per
l'ampiezza dei suoi temi e la novità di molte soluzioni, la riflessione
psico-pedagogica di Herbart ebbe vasta influenza sia in Europa sia in America.
Specialmente l'impronta scientifica fece sì che essa riscuotesse ampi consensi
nell'età del Positivismo, senza peraltro mancare di lasciare una traccia
significativa anche in molti pensatori contemporanei.
Pedagogisti
del primo ‘900
1 La scuola attiva
Il termine scuola nuova o
attiva, comincia ad essere
usato dai primi anni del 1900 per indicare il superamento della scuola
tradizionale e negandone il valore educativo. La scuola tradizionale è una
scuola passiva, una scuola, cioè, che obbliga l'allievo a starsene
immobile nel suo banco a subire la lezione del maestro che impartisce dall'alto
i suoi insegnamenti. Tutto nella scuola è indice di questa passività: il banco
scolastico dove il corpo è rigidamente costretto; gli orari e i programmi; i
libri di testo; il modo di condurre la lezione da parte dell'insegnante; l'interrogazione
basata sulla ripetizione di quanto ha detto l'insegnante o quanto è scritto sul
libro, eccetera.
Nella scuola tradizionale domina la figura dell'insegnante, mentre la
scolaresca non deve far altro che ripetere quanto ascoltato: è una scuola dove
prevale l'eteroeducazione. La vecchia
scuola è statica e conservatrice, tendente a riproporre sempre i soliti
principi ritenuti validi in assoluto. Non ispira vitalità ma serve solo a
riproporre e conservare la tradizione. Inoltre, la scuola tradizionale è individualistica, perché si basa sul
metodo della competizione e dell'emulazione, limitando così lo spirito di
collaborazione e il lavoro in comune. Piuttosto che servire alla formazione di
un uomo sociale, serve soltanto a plasmare individui ubbidienti all'autorità,
acritici e passivi.
La scuola nuova invece vuole essere innanzitutto una scuola attiva, una
scuola dove l'ordine risulta, ma dal concorso della volontà degli alunni che
attivamente prendono parte alla formazione, impegnandosi in attività che li
interessano. La nuova scuola è puerocentrica,
cioè si pone dal punto di vista del fanciullo e non dell' adulto; è il
fanciullo che educa se stesso, mentre l'adulto gli porge l'aiuto necessario per
quella che deve essere una autoeducazione.
L'insegnante non è assente o poco partecipe, ma assume un ruolo centrale,
dovendo convogliare gli interessi, esaltare le doti individuali, promuovere
attività diversificate, collaborare con le autonome scelte di ricerca degli
allievi. E' una scuola che si basa molto sulle nozioni di psicologia applicate
all'età evolutiva cercando così di adeguare programmi e lezioni alle esigenze
di ogni fascia di età.
Il movimento delle "scuole nuove" comprende molte figure, anche
diverse per formazione e matrice culturale, che hanno cercato di realizzare
nelle loro attività professionale lo spirito dell'Attivismo, visto come
rivoluzione da attuare concretamente nell'istituzione scolastica.
Nel 1899 venne così fondato a Ginevra l'Ufficio
internazionale delle scuole nuove e nel 1912, sempre a Ginevra, l'Istituto
superiore J.J. Rousseau per le scienze dell'educazione; del 1921 è la Lega internazionale
per l'educazione nuova.
2 Montessori
La Montessori (1870-1952) perviene ai problemi educativi e scolastici
sulla base dei suoi studi di medicina: assistente alla clinica psichiatrica
dell'Università di Roma, i suoi primi interessi sono rivolti all'educazione e
al recupero dei bambini disadattati. In seguito nel 1905 è incaricata di
organizzare asili infantili di nuovo tipo nel quartiere S. Lorenzo di Roma, e
due anni dopo apre la Prima Casa dei bambini. Il successo, anche
internazionale, di questa iniziativa fa sì che nasca un vero e proprio
movimento montessoriano e che i suoi istituti si estendano tanto che nel 1924
viene fondata l'Opera nazionale Montessori e la Scuola magistrale Montessori
per la formazione, mediante appositi corsi, degli insegnanti e la diffusione
delle idee e del metodo della fondatrice.
La Montessori cercò di dare alla pedagogia una veste scientifica, perché
non si può educare nessuno se non lo si conosce. Per la Montessori i bambini
hanno diritto a essere studiati, nel senso di comprendere veramente quali sono
i meccanismi di apprendimento e socializzazione che li caratterizzano,
esplorandone i processi di maturazione della personalità fin dai primi anni di
vita. La vera educazione è autoeducazione:
la pedagogia, il metodo, l'insegnante, l'istituzione scolastica sono tutti
mezzi ausiliari per la realizzazione di un "io" interiore, strumenti
che devono aiutare il bambino a servirsi delle sue risorse per esprimersi e
svilupparsi. Sull'infanzia ricadono gli errori degli adulti: pertanto è
necessario avviare una svolta radicale creando un altro mondo, quello del
bambino, un ambiente che lo aiuti nel processo di una crescita libera e
armonica. L'educazione sensoriale poi, attuata con materiale didattico
predisposto scientificamente e sperimentalmente, avrebbe potuto aiutare i
bambini normali a diventare uomini migliori di quanto si sarebbe ottenuto con i
tradizionali metodi didattici. La prima condizione pedagogica per compiere
questa operazione a favore dell'infanzia è la predisposizione di un ambiente
idoneo, che la Montessori chiama la Casa
dei bambini. Infatti in essa gli spazi sono su misura delle esigenze
formative dei piccoli. Le classi sono poche e ospitate in locali non troppo
vasti, con suppellettili proporzionate alle dimensioni fisiche dei bambini.
L'aula è una "sala di lavoro", arredata con gusto per poterci vivere
in modo piacevole, con materiali (sedie, tavoli, scaffali, armadi ecc.) a
portata di mano dei bambini e facilmente utilizzabili da loro per permettere
agli scolari di muoversi e agire a loro agio, senza il continuo intervento
degli adulti. Soprattutto viene abolito il banco che tiene prigioniero l'alunno
costringendolo ad eseguire lavori ed esercizi imposti. Anche la pulizia dei
locali è affidata agli stessi bambini affinché vengano educati all'ordine e al
decoro. L'insegnante è colui che consiglia, aiuta, stimola, evitando anche i
tradizionali premi e castighi.
In questo nuovo ambiente, costruito a misura di bambino, assume una
funzione centrale il materiale didattico,
detto anche di "sviluppo", costituito da materiale scientifico e
strutturato, cioè appositamente costruito (da esperti: la maestra si limita a
usarlo ma non interviene né nella progettazione né nella produzione) per
sviluppare con gradualità e progressività le competenze specifiche negli ambiti
delle diverse attività sensoriali. Esso si deve applicare rigidamente e senza
varianti e comprende solidi da incastrare, blocchi, tavolette, figure e solidi
geometrici da ordinare secondo criteri diversi (colore, dimensioni, altezza,
peso, incastro), matasse colorate e campanellini da porre in scala secondo
l'intensità del colore o del suono, superfici ruvide o lisce da graduare e così
via. L'affinamento della sensibilità costituisce la condizione necessaria per
l'apprendimento della lettura e della scrittura: si comincia a conoscere le
lettere dell'alfabeto, riprodotte in dimensioni grandi, seguendone il contorno
e imparando così a distinguerle; in seguito si potranno comporre le parole
utilizzando alfabeti mobili oppure disegnando le lettere per imitazione. Anche
la lettura va di pari passo: lungamente preparata dopo aver allestito tutte le
precondizioni di potenziamento delle capacità sensoriali essa sembra esplodere
all'improvviso. Con la stessa lenta gradualità è introdotto il far di conto:
del resto tutte le serie di oggetti impiegati per gli esercizi sensoriali sono
realizzati seguendo il sistema metrico decimale. Il presupposto della
Montessori è che la struttura psichica del bambino sia diversa da quella
dell'adulto: ella parla, specie nelle ultime opere, di una "mente assorbente" in quanto "la mente del bambino
prende le cose dall'ambiente e le incarna in se stessa". La "mente
assorbente" assimila e sistema immagini mettendole al servizio del ragionamento,
poiché è proprio per quest'ultimo che il bambino assorbe le immagini.
Il fine generale dell'educazione, la regola centrale del metodo stanno
nella difesa della libertà del bambino, nello sviluppo delle sue esperienze,
evitando che l'adulto imponga i suoi interessi e i propri modi di apprendere e
di ragionare.
3 Vygotskij
La cultura pedagogica russa ha avuto anche un forte impulso dalle
ricerche di psicologia fin dalla fine dell'Ottocento con Pavlov (1849-1936)
considerava i comportamenti come riflessi, cioè come risposte innate del
sistema nervoso a determinati stimoli. Secondo questa prospettiva, che assimila
il comportamento umano a quello animale, l'apprendimento non sarebbe altro che
un sistema di riflessi condizionati tra gli stimoli a scopo di adattamento. Pavlov
si oppone la scuola
"storico-sociale" che intende recuperare la dimensione
specificamente umana dell'apprendimento e quindi della formazione. Il suo
fondatore fu Vygotskij (1896-1934), autore di numerosi lavori scientifici e del
famoso "Pensiero e linguaggio", che per l'impostazione eterodossa
rispetto alla cultura ufficiale sovietica, fu conosciuto in Occidente solo
negli anni Cinquanta per opera dei suoi allievi. L'impostazione metodologica di
Vygotskij è del tutto originale, emergendo dal confronto critico con le
principali scuole a lui contemporanee. Per Vygotskij l'aspetto caratteristico
dello sviluppo è costituito dalla socialità: il bambino cresce nell'interazione
con gli altri, così come il linguaggio è immediatamente uno strumento di comunicazione
con il mondo esterno. Al centro del suo studio vi è l'ambiente sociale come fattore di promozione dello sviluppo, per
cui tutte le relazioni intersoggettive con gli adulti possiedono una forte
valenza educativa in quanto sono comunque percorsi culturali senza i quali
l'uomo non può acquisire le sue qualità e funzioni specifiche. Particolare
attenzione viene dedicata al gioco.
Già oggetto di rivalutazione da parte delle scuole attivistiche, egli, pur non
ritenendolo l'attività prevalente del bambino, lo considera tuttavia una delle
principali "aree di sviluppo
potenziale" per il conseguimento di mete cognitive altrimenti
impossibili. Infatti sono le tendenze irrealizzabili del bambino a promuovere
il gioco nel quale contemporaneamente il pensiero e il linguaggio si staccano
dalla realtà delle cose per promuovere e suscitare comprensioni e usi di significati
e di sensi nuovi. Nel gioco il bambino fa ciò che desidera di più, in quanto il
gioco è legato al piacere: operando in una situazione reale ma con un
significato staccato, da un lato segue "la linea della minore
resistenza"; ma dall'altro impara ad agire secondo la linea opposta
perché, nello stesso tempo, nel gioco si sottomette alle regole e rinuncia a
ciò che vuole. I definitiva il contributo più significativo di Vygotskij alla
riflessione pedagogica sta nel dare unità e sistematicità al processo educativo
producendolo e cogliendolo nella società, nella storia, nella cultura, ma anche
nella coscienza della persona secondo un 'organicità che comprende tutti gli
aspetti (dimensione affettiva e sociale, pensiero e linguaggio, arte, gioco,
lavoro, scienza) della vita.
4
Dewey
Il movimento delle "scuole nuove" trovò un fertile terreno di
coltura negli Stati Uniti. Dewey (1859-1952) fu il vero e proprio fondatore
dell'"attivismo pedagogico".Al centro della riflessione di Dewey c'è
il concetto di esperienza che deriva da una visione in cui uomo, natura e
società risultano strettamente legati ,nel quadro di una visione generale che
fa dell'adattamento all'ambiente il criterio fondamentale per l'analisi della
realtà umana. L'uomo è essenzialmente azione, mediante la quale egli si adatta
alle richieste dell'ambiente mettendo a punto una serie di strumenti che devono
risultare funzionali alle necessità adattive.
"Il mio credo pedagogico" si articola in cinque punti
essenziali: a) "ogni educazione deriva dalla partecipazione dell'individuo
alla coscienza sociale della specie. Mediante questa educazione l'individuo
giunge gradualmente a condividere le risorse intellettuali e morali che
l'umanità è riuscita ad accumulare"; b) "la scuola è prima di tutto
un'istituzione sociale. Essendo l'educazione un processo sociale, la scuola è
semplicemente quella forma di vita di comunità in cui sono concentrati tutti i
mezzi che serviranno"; c) "la vita sociale del fanciullo è il
fondamento della concentrazione e della correlazione di tutta la sua educazione
o sviluppo"; d) "la questione del metodo è riducibile alla questione
dell'ordine dello sviluppo delle facoltà e degli interessi del fanciullo";
e) "l'educazione è il metodo fondamentale del progresso e dell'azione
sociale".
Il processo educativo per Dewey è sintesi tra la partecipazione
dell'individuo e della società: i due fattori sono reciprocamente e teleologicamente
funzionali. Tutto ciò è possibile a condizione che si operi e si viva
all'interno di un ambiente di carattere democratico, senza gerarchie e senza
distinzioni tra dominanti e dominati, tra lavoro manuale e intellettuale. Ma la
società è anche comunità e la scuola ha il compito di promuovere, la democrazia
nella vita comune.
Dewey introduce nella scuola il lavoro
sotto forma di laboratori in cui svolgere quelle attività quotidiane (tessere,
cucire, fare il pane, lavorare il legno o altri materiali ecc.)consentendo
all'alunno di vivere e di rendere la scuola "attiva", il lavoro scolastico
consente un'educazione democratica
destinata a tutti.
Dewey propone la centralità dell'attività del fanciullo che, guidato
dall'insegnante, apprende attraverso il fare,
un programma che tiene presenti gli interessi, i bisogni e lo sviluppo fisico e
psicologico dell'alunno. Il sapere per Dewey non è fisso e definito, ma è
piuttosto un sistema elastico che si arricchisce e modifica progressivamente
grazie all'esperienza. Con una simile impostazione la scuola, non può che
essere scuola attiva. I principi del
metodo sono cinque: 1) partire dagli interessi infantili e da una reale
attività d'esperienza; 2) porre l'alunno in una oggettiva situazione
problematica, perché venga stimolato il pensiero; 3) fornirgli il materiale
informativo per consentirgli le opportune ricerche e indagini; 4) stimolare
nell'alunno lo sviluppo organico delle ipotesi che è in grado di formulare
spontaneamente; 5) metterlo in grado di verificare le sue idee per mezzo
dell'applicazione.
Il maestro orienta il fanciullo nell'esperienza indicando i contenuti che
promuovono esperienze ulteriori, permettendogli di essere protagonista dei
rapporti sociali e le leggi di natura, con i quali è portato a interagire,
diventando così capace di autogovernarsi. I programmi vanno concepiti in modo
da facilitare lo sviluppo autonomo del
pensiero e della coscienza e da offrire all'alunno quelle conoscenze,
informazioni, abilità indispensabili per interpretare e muoversi nella società
contemporanea in cui vive e agisce.
Pedagogisti del secondo ‘900
1 Decroly
All'interno del movimento
attivista, si possono trovare degli studiosi che si sono avvicinati alla
pedagogia provenendo da studi per lo più di medicina.
Decroly (1871-1932), medico e
neuropsichiatra, dopo la Scuola di insegnamento speciale per bambini anormali,
fonda nel 1907 la Scuola dell'Ermitage, dove conduce un esperimento pedagogico
all'insegna del motto "per la vita attraverso la vita".
Secondo Decroly la scuola deve avere come fine l'adattamento sociale, naturale,
intellettuale e culturale del maggior numero di persone. Mentre i programmi
tradizionali forniscono una cultura generale, il nuovo metodo è fondato sull'osservazione
diretta, sullo studio dei bisogni primari e dell'ambiente del fanciullo,
rispettando, sia l'esigenza
soggettivo-psicologica, sia quella oggettivo-sociale.
Il bambino sarà pertanto preparato alla vita attraverso attività che gli
consentano di soddisfare i suoi fondamentali interessi vitali, cioè a)
nutrirsi, b) lottare (ripararsi, coprirsi, proteggersi) contro le intemperie,
c) difendersi dai nemici e dai pericoli, d) lavorare e agire con gli altri o da
solo, ricrearsi e migliorarsi. A questi bisogni corrispondono altrettanti
interessi. Decroly rifiuta l'insegnamento tradizionale per distinte materie di
studio proponendo un insegnamento che
faccia leva sugli interessi e sui bisogni. La scuola sarà organizzata come
ambiente in cui l'alunno possa avvicinarsi gradualmente alle attività materiali
e sociali proprie della vita reale, mentre le attività scolastiche saranno
organizzate tutte attorno a "centri di interesse" adattati e graduati
secondo l'età. L'insegnamento per "centri di interesse" si
svolge attraverso attività ed esercizi articolati nell'osservazione, nell’esplorazione
dell'ambiente, nell'associazione nello spazio e nel tempo dei fenomeni e degli
oggetti, nell'espressione attraverso il linguaggio, la composizione scritta, il
disegno, il lavoro manuale. Vengono istituite schede di osservazione nelle
quali sono registrati i dati (i livelli di progresso e di maturazione, di
apprendimento e di applicazione, le difficoltà, i tratti del carattere e le
caratteristiche dell'ambiente di provenienza) riguardanti l'attività del
ragazzo in modo da facilitare l'individualizzazione dell'insegnamento e
dell'apprendimento.
Oltre alla teoria dei
"centri di interesse" si occupa del globalismo, secondo la
quale il bambino possiede una capacità percettivo-cognitiva del tutto specifica,
che coglie l'insieme indistinto delle cose e dei fenomeni. Il metodo globale,
che procede quindi dal tutto alle parti, anche se è stato particolarmente
impiegato per l'apprendimento della lettura e della scrittura, deve
caratterizzare qualsiasi insegnamento perché corrisponde al modo più semplice e
naturale di conoscere. Da questo momento iniziale potrà partire il percorso che
porta con gradualità a conoscenze e attività differenziate e sistematiche.
2 Claparède
Il nome di Claparède (1873
- 1940) è legato soprattutto alla
fondazione dell'Istituto J.J Rousseau di scienze dell'educazione che ha sede a
Ginevra. Anche lui medico e neuropsichiatra, si interessa di psicologia,
formulando una delle principali teorie in questo settore. Il suo passaggio alla
pedagogia deriva dalla convinzione che lo studio dello sviluppo mentale sia una
condizione indispensabile per il miglioramento della scuola e dell'educazione. Claparède
studia l'interazione ambiente-mente, poiché i processi di quest'ultima
(percettivi, affettivi, volitivi, intellettuali) possono essere spiegati come
necessità di controllo dell’ambiente esterno. In questo contesto il bisogno
si manifesta come segnale spontaneo quando il rapporto individuo-ambiente è
compromesso e stimola all'attività per ristabilire l'equilibrio interrotto.
Sulla base della legge del bisogno
("ogni bisogno tende a provocare reazioni atte a soddisfarlo") e
dell'interesse ("ogni comportamento e dettato da un interesse")
si arriva alla conclusione che l'educazione deve quindi basarsi su questi fattori
spontanei del fanciullo per metterlo in condizione di fornire delle
risposte adeguate alle esigenze naturali e sociali dell'attività. L'educazione
è funzionale nella misura in cui il fanciullo non è ostacolato nel suo cammino
rapporto ai bisogni e agli interessi profondi. Questo presuppone uno sforzo
poiché l'allievo, motivato da un interesse, è portato a superare gli ostacoli per
il raggiungimento della meta prefissata. L'insegnante, dotato di preparazione
psicologica, deve conoscere e analizzare i bisogni del fanciullo, suscitare i
suoi interessi e rimuovere la sua repulsione per lo sforzo presentando il
lavoro da eseguire in forma ludica e gioiosa. I bisogni e gli interessi sono però
individuali, per cui la scuola deve essere "una scuola su misura"
in quanto deve rispettare e valorizzare le diversità di ciascuno e deve
selezionare i talenti. L'organizzazione scolastica deve optare per soluzioni
come le classi parallele (formate da
alunni di capacità omogenee) o mobili
(dove gli alunni si spostano per ciascuna materia nella classe corrispondente
al proprio livello), le sezioni parallele
(che offrono possibilità formative diverse), il sistema delle opzioni (porre accanto ad un programma minimo comune
un'ampia offerta di possibilità di studio tra cui l'alunno possa scegliere). La
didattica più che insegnare contenuti specifici, deve stimolare attività in
modo da educare alla vita, trasformando gli scopi futuri in interessi presenti
per il fanciullo.
3 Ferrière
Legato all'Istituto J.J. Rousseau
di Ginevra è anche A. Ferrière (1879 - 1961), noto soprattutto come artefice
principale, divulgatore e organizzatore della cultura comune della "scuola
attiva" in Europa. In questa veste già nel 1899 aveva fondato il Centro
internazionale delle Scuole nuove, mentre nel 1925 crea, con Bovet e Claparède,
il Centro internazionale dell'Educazione. La concezione del Ferrière
muove dal riconoscimento dello “slancio
vitale” e creativo di cui è portatore il fanciullo, la forza che muove l'evoluzione di tutti gli esseri viventi verso un
fine spirituale e che si esprime nell'attività creatrice. Critica la psicologia
che pretende di comprendere l'individualità concreta dell'allievo, che è invece
un complesso di forze continuamente in trasformazione. Non è comunque
necessario escludere la psicologia dagli interessi pedagogici, ma limitarne la
portata alle indicazioni metodologiche che può offrire. Polemizzando contro la
scuola tradizionale, Ferrière sostiene che lo scopo dell'educazione è prima di
tutto guidare l'allievo a far convergere la volontà e l'intelligenza verso una
aspirazione ad elevarsi, favorendo il lento processo di adattamento al mondo auspicando
un adattamento in un ideale superiore. La Scuola attiva insegna a servirsi di
quella leva che in ogni tempo ha innalzato il mondo al di sopra di se stesso: il
lavoro. Il lavoro in comune, in cooperazione, e la sorveglianza del buon
andamento di un piccolo organismo comunitario sono senza dubbio il mezzo
migliore per favorire lo sviluppo del senso sociale. La Scuola attiva deve essere
educazione alla libertà e nella libertà:
permettendo all'allievo la piena realizzazione di tale libertà attraverso un
ambiente in cui egli possa vivere ed essere operoso, procurandosi il sapere con
una ricerca personale, da solo o in collaborazione. La scuola deve
essere attiva dando importanza al lavoro, inteso come attività di progettazione
e realizzazione anche intellettuale. Piuttosto che la lezione tradizionale,
basata sulla passività dell'alunno e il protagonismo dell'insegnante, la scuola
attiva prevede che la lezione si
strutturi in tre tempi:
1) raccolta dei documenti: sono
gli alunni che compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse
utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre
organizzazioni della società;
2) classificazione: le notizie
raccolte vengono raccolte in schede e raggruppate per argomenti consentendo la
facile consultazione agli altri;
3) elaborazione: i materiali
raccolti vengono confrontati, analizzati e discussi in gruppo. L'insegnante organizza
le ricerche in base ad argomenti che tengano conto degli interessi specifici
delle singole età.
4 Piaget
Lo studioso che ha maggiormente
contribuito a modificare l'immagine del fanciullo e dell'educazione nel nostro
secolo è però Jean Piaget (1896-1980). Egli occupa un posto centrale
nell'ambito della psicologia e pedagogia contemporanee soprattutto per lo
studio dell'età evolutiva. Legato a Claparède e Bovet, ha lavorato presso
l'Istituto J.J.Rousseau di Ginevra, città dove ha fondato il Centro Internazionale
di Epistemologia Genetica. Ha insegnato alla Sorbona di Parigi ed è stato molto
presente e attivo in organismi internazionali come l'UNESCO e il Bureau de l'E'ducation.
La teoria piagetiana viene
definita "genetica" perché segue gli sviluppi dell'intelligenza
e dei sistemi di conoscenza attraverso le fasi proprie di ciascuna età
spiegando il passaggio dall'una all'altra. Soprattutto studia lo sviluppo delle
funzioni e delle strutture cognitive legato all'intelligenza, come capacità che
permette al soggetto di adattare il suo comportamento alle modificazioni
dell'ambiente. La formazione dell'intelligenza ha carattere costruttivo,
attraverso lo scambio dinamico che il soggetto intrattiene con
l'ambiente che implica equilibrazione per modificazioni successive in virtù
delle quali ogni struttura mentale entra a far parte della struttura precedente
con funzioni di ristrutturazione dell'insieme. Sotto la spinta di nuovi stimoli
si formano progressivamente nuove risposte:
a) assimilazione: acquisizione di stimoli esterni;
b) accomodamento: modificazione della struttura cognitiva in
base all’acquisizione di schemi nuovi;
c) adattamento: si tratta dell’autoregolazione delle capacità
assimilativa e accomodativa.
Il soggetto non possiede quindi
una struttura a priori, ma essa si costruisce, attraverso trasformazioni,
autoregolazioni diverse a seconda dell'età e degli stadi evolutivi.
L'educatore deve avere una
preparazione psicologica ed è tenuto a d utilizzare questo bagaglio conoscitivo
ideando un insieme di tecniche da sperimentare e adattare personalmente. Certo
Piaget ritiene che i tempi e la successione delle fasi di sviluppo
psicologico siano immodificabili, togliendo efficacia all'intervento
dell'adulto che non può né cambiare né accelerare queste fasi. L'educazione
dunque può solo preparare l'ambiente alla loro comparsa o al loro rinforzo. L'educatore
deve adeguare le sue richieste al livello di sviluppo dell'allievo e costruire
situazioni perché questo adeguamento si produca. A tale proposito la centralità
del fare costituisce il punto di vicinanza di Piaget con l'attivismo in
quanto il motore dell’intelligenza è “il fa fare”. Perciò lo scienziato
svizzero, se ha sempre insistito sulla necessità di un adeguamento della scuola
alle scoperte della psicologia, ha esposto un nuovo profilo professionale degli
insegnanti che conciliasse i contenuti disciplinari con una solida preparazione
psicologica e un'adeguata capacità di gestione dei metodi e della scuola
secondo valenze interdisciplinari.
5 Freinet
Nuove indicazioni
metodologiche provengono dal francese Freinet (1896-1966), fondatore fin dagli
anni Cinquanta del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE). Maestro
elementare in un paesino di montagna della Provenza negli anni seguenti la
prima guerra mondiale, inizialmente influenzato dalle correnti dell'educazione
nuova che facevano capo a Ferrière, a Cousinet e alla scuola ginevrina
dell'Istituto Rousseau, se ne distacca, in quanto non consideravano
sufficientemente Era necessaria una "pedagogia
popolare" che riconoscesse validità culturale agli interessi infantili
delle classi sociali inferiori. La scuola deve rispettare la spontaneità e
promuovere l'attività, favorire la ricerca e la cooperazione, superare
l'individualismo e riconoscere le radici della personalità individuale e
comunitaria. Pertanto essa partirà dai bisogni e dalle attività spontanee dei
ragazzi che devono poter trovare soddisfazione in attività cooperative e
socializzate senza perdere lo slancio creativo. Ma è indispensabile che la scuola
educhi alla socialità e con la socialità.
Per realizzare questi obiettivi Freinet decide di mettere da parte il
tradizionale libro di testo ed elaborare il "testo
libero" che sostituisce la tradizionale composizione. I bambini
scrivono testi liberi, sollecitati da un clima contrassegnato da intensa
conversazione e da vivace e attento scambio di esperienze, ricerche e attività
di documentazione. Tutto questo materiale verrà a costituire il nuovo libro di
testo che naturalmente dovrà essere stampato. La "tipografia scolastica" - la più nota delle tecniche
freinetiane - è costituita da un complessino di attrezzi (caratteri a stampa,
piccola pressa, compositoi, rullo per inchiostro ecc.) utilizzabile anche per
l'apprendimento iniziale della lettura e della scrittura e per la stampa di un
giornale scolastico, il cui contenuto è però elaborato con il criterio del
testo libero. Saranno gli alunni a gestire la tipografia non solo dal punto di
vista manuale, ma anche da quello redazionale. In tal modo tutti gli apprendimenti
disciplinari (grammatica, aritmetica, storia, scienze) vengono a ruotare ad una
serie di laboratori di lavoro pratico (agricoltura, artigianato, commercio) e
alla realizzazione pratica del giornale. I testi individuali dovranno essere
spesso fusi in un testo comune che richiederà un preliminare lavoro di
autocorrezione da parte dei piccoli redattori i quali, mediante votazione
paritaria e democratica, assegneranno anche i voti ai singoli
"pezzi". Infine, partendo dalla soluzione dei problemi metematici
posti dalla vita della classe e dalla gestione della tipografia, si darà vita
al "calcolo vivente", ultima delle tecniche finalizzata a motivare
l'apprendimento e l'esercizio aritmetico. I testi stampati si possono inviare
ai compagni di classi omologhe di altre sedi, e si può sollecitare una
risposta, così che si possa impiantare una corrispondenza
interscolastica molto stimolante e feconda. L'educazione popolare diviene
così educazione sociale e movimento di riforma politica. Per Freinet è importante
che le tecniche impegnino attivamente i soggetti e soprattutto che le attività
abbiano sufficienti motivazioni in modo da conferire al processo di
apprendimento il suo andamento naturale. La figura del maestro deve spogliarsi
della disciplina e dell'autoritarismo per diventare cooperatore dell'attività
degli alunni.
6 Freire
Promotore di una proposta di pedagogia alternativa viene dal brasiliano
Freire (1921), fondatore del Movimento brasiliano di educazione popolare e
autore del famoso "Pedagogia degli oppressi". Il suo interesse non è
solo specificamente pedagogico teso a definire una nuova tecnica di alfabetizzazione (piaga dell'analfabetismo nel
Nord-Est del Brasile), ma rivolto a suscitare una critica alla situazione
sociale per il superamento di modalità non imposte ma individuate dagli stessi
oppressi. Saranno proprio questi ultimi, una volta che non si sentiranno più
culturalmente e ideologicamente succubi degli oppressori a cercare di
recuperare e restaurare la loro umanità e con essa anche quella dei loro
nemici. La pedagogia dell'oppresso
si articolerà dunque in due momenti distinti: il primo in cui gli oppressi
prendono coscienza del mondo dell'oppressione e si impegnano a trasformarlo; il
secondo in cui questa pedagogia si trasforma in pedagogia degli uomini tutti
che sono in "un processo di permanente liberazione". Per il
raggiungimento di questo fine occorre superare l'educazione tradizionale,
centrata sul maestro e che richiede all'alunno un atteggiamento passivo.
L'educazione deve invece essere fondata sul dialogo educatore-educato in
quanto entrambi diventano co-autori e soggetti dello stesso processo in cui
crescono e si formano insieme. L'insegnamento parte da "quadri-situazione" in cui le parole vengono accostate ad
immagini significative della situazione sociale e politica degli oppressi, che
verranno opportunamente discusse; inoltre si ricorrerà a "parole generatrici", alfabeticamente ricche ma anche
dense di significato educativo da cui iniziare l'apprendimento di lettura e
scrittura.
Le aule e gli ambienti scolastici tradizionali sono sostituito da strutture aperte: luoghi appositi per
l'apprendimento formale (biblioteche, laboratori ecc.) e per l'apprendimento
diretto tramite l'esperienza (botteghe, fabbriche ecc.).; formazione di gruppi
di lavoro; creazione di un "annuario degli educatori" per la scelta
degli esperti di cui avvalersi in base ai propri bisogni. L'intero progetto
auspica la creazione di una "nuova
convivialità" come fonte di democrazia, cioè una la società che diventi
luogo di scambio, di confronto e di contatti.
7 Skinner
Il punto di partenza della teoria di Skinner (1904 – 1990) è la critica
alla tesi che il pensiero ha un modo di funzionare autonomo, con proprie
strutture, processi evolutivi e modalità di organizzazione dei dati
dell'esperienza; in realtà il pensiero (come del resto anche il linguaggio e le
altre funzioni superiori) è una forma di comportamento che non possiede una
propria autonomia interna e di cui pertanto occorre conoscere le componenti. Per
Skinner determinati eventi, detti "rinforzi"
hanno un valore particolare per gli individui in quanto il loro prodursi riduce
o aumenta lo stato di tensione interna. Il modo più efficace per promuovere un
certo tipo di condotta mentale sta nel mettere a punto rinforzi con caratteristiche contingenti
(contingenze di rinforzo) tali da esercitare un controllo positivo del
comportamento. Si rende dunque necessaria un'impostazione programmata secondo linee
curricolari ben specificate, sia come gradualità di progressione sia come
momenti di apprendimento e di verifica, in modo da ottenere un insieme
organizzato di comportamenti che sia aperto, non ripetitivo e non meccanico.
Skinner propone di costruire una società in cui il rispetto della libertà e
della dignità della persona viene ottenuto con un sistema educativo fondato sul
condizionamento operante, senza
punizioni e repressioni; una società che anziché punire i comportamenti
negativi, si fondi sul rinforzo precoce di quelli desiderabili. Skinner ritiene
che sia necessario progettare delle sequenze di apprendimento uguali per tutti
ma nello stesso tempo in grado di individualizzarsi per le esigenze di ciascuno
e di verificare accuratamente i risultati ottenuti, utilizzando per la loro
fissazione adeguate attività di rinforzo. La pedagogia deve diventare
"tecnologia dell'insegnamento", avvalendosi del supporto di tecnologie
esterne. Infatti la pedagogia d Skinner, proprio presupponendo l'esame e il
controllo analitico dei processi e delle strutture psichiche da formare negli
allievi, privilegia la progettazione, la programmazione, l'istruzione programmata. In tale contesto si inserisce l'impiego
delle macchine per insegnare: già
realizzate nei primi esemplari fin dagli anni '20, Skinner le progetta, al fine
di individualizzare l'insegnamento, secondo un modello a sequenza lineare. Nel
caso più semplice si tratta di un tabulato con le unità di apprendimento
proposte e la domanda, lo spazio per le risposte costruite, l'eventuale arresto
nel caso di risposta errata, la possibilità di ritorno all'unità di
apprendimento proposta o il passaggio rinforzato alle unità successive. In ogni
caso esse si fondano sul principio di realizzare accurate sequenze di contenuti
e quesiti che ogni alunno può affrontare con i propri tempi e modi, avendo la
garanzia di un feedback immediato attraverso il rinforzo che segue alla
risposta (variamente costituito da un avanzamento o blocco della sequenza, o da
un mutamento di sequenza ecc.).. E' chiaro che l'impiego di questi strumenti ai
fini dell'insegnamento non si può certo inserire nella scuola tradizionale ma
solo in un progetto che si propone di creare scuole modello, di formare
insegnanti preparati, di semplificare e di programmare ciò che si deve
apprendere, di migliorare la prestazione dei materiali utilizzati, di definire
in modo più organico gli obiettivi, di costruire curricoli scolastici
articolati nello spazio, nel tempo, nei contenuti, nei sistemi di verifica e di
controllo.
8 Bruner
L’interesse di Bruner (1915) si concentra su "quegli strumenti di
cui l'organismo si serve per conseguire, conservare e trasformare
l'informazione". Di fatto le nostre esperienze e i nostri rapporti con il
mondo sono semplificati e resi più produttivi dalla nostra capacità di
categorizzare, cioè di rendere equivalenti cose distinguibilmente differenti,
aggruppare gli oggetti, gli eventi e la gente intorno a noi in classi, e
rispondere ad essi nei termini della loro appartenenza ad una classe, anziché
della loro singolarità. Bruner insiste anche su altri due aspetti. Innanzitutto
mostra l'influenza dei fattori
motivazionali e socio-culturali nel processo di riconoscimento percettivo e
di categorizzazione: ciò che vi è di costante nel comportamento cognitivo è
l'atto del categorizzare, mentre le modalità della categorizzazione sono
notevolmente variabili. Oltre la predilezione affettiva, i bisogni,
l'esperienza passata, le categorie in base alle quali l'uomo sceglie e reagisce
al mondo circostante riflettono profondamente la cultura in cui è nato. Il linguaggio,
il modo di vivere, la religione ecc. plasmano il modo in cui una persona ha
esperienza degli eventi che formano la sua storia personale.
Secondo Bruner lo sviluppo dell'intelligenza e delle sue funzioni è dato
da cambiamenti qualitativi della struttura psichica e cognitiva del
comportamento del bambino nelle diverse età. In questo processo di sviluppo
Bruner distingue tre modalità nella rappresentazione del mondo, con cui si
realizza la capacità dell'uomo di oltrepassare gli stimoli immediati e di immagazzinare
le esperienze passate in modelli: modalità
esecutiva o endoattiva (in cui il bambino rappresenta il suo mondo
attraverso l'azione e identifica un oggetto per l'uso che ne fa), quella iconica (che adempie agli stessi scopi
della precedente ma attraverso un'immagine che all'inizio è basata su
un'attività di immaginazione rigida ma concreta ma che progressivamente si
libera dai condizionamenti percettivi), e infine quella simbolica (dove la rappresentazione è effettuata attraverso codici
simbolici, tra i quali un ruolo particolare è rivestito dal linguaggio quale
strumento di pensiero e veicolo di accrescimento culturale). In ogni caso
bisogna evidenziare come per Bruner queste modalità rappresentative sono
largamente influenzate dalla cultura in quanto per lo sviluppo cognitivo hanno
un'importanza determinante i fattori ambientali e sociali, mentre l'educazione
riveste un ruolo essenziale nell'estensione delle capacità cognitive e delle
abilità intellettuali per la risoluzione dei problemi.
La scuola deve adottare un metodo che si adegui agli interessi del
soggetto. L'esperienza scolastica non è l'esperienza spontanea, naturale o
sociale, ma deve essere un'esperienza orientata e predisposta al raggiungimento
di precisi obiettivi di crescita culturale. Il metodo di insegnamento, pur non
trascurando il mondo psicologico dell'alunno, va pertanto cercato all'interno
delle discipline che costituiscono l'oggetto dell'insegnamento stesso: questo è
il principio fondamentale della pedagogia
strutturalista.
Piuttosto che contenuti, la scuola deve fornire strumenti e sviluppare
capacità che rendano gli individui disponibili ad apprendere. L'alunno deve
innanzitutto "imparare ad
imparare", e ciò sarà possibile attraverso l'apprendimento delle
strutture disciplinari.
Posta questa premessa e tenendo conto delle tre forme di
rappresentazione, Bruner evidenzia i vantaggi di una didattica strutturalistica
che permette di salvaguardare l'unitarietà
dell'apprendimento a tre livelli:
a) sul piano orizzontale, in
quanto, mostrando le stesse strutture in materie o argomenti di discipline
diverse, permette l'integrazione tra le discipline;
b) sul piano verticale, in
quanto consente un insegnamento continuo e a spirale in cui l'alunno ritrova, a
diversi stadi di crescita, altrettanti livelli di approfondimento dello stesso
contenuto disciplinare, di cui resta invariata la struttura, mentre cambia la
sua rappresentazione in rapporto all'età psicologica;
c) sul piano trasversale, in
quanto presenta le strutture concettuali con l'utilizzazione di tutte le forme
di rappresentazione.