La leggenda di Bellerofonte [I1] [E1] [E2] [F1] [F2] , eroe della città greca di Corinto
[I1] , è narrata con dovizia di particolari dal libro VI°
dell'Iliade. Nipote di Glauco [I1] [E1] [F1] , pescatore divenuto dio
marino per aver consumato un'ignota, portentosa, erba, come scrisse
Dante, "nel gustar l'erba - che 'l fe' consorte in mar de li altri
dei" (Paradiso, 1.68-69). Se si considera che il nostro era
anche nipote dello sventurato Sisifo, condannato dagli dei, una
volta giunto nell'aldilà, a spingere un masso in eterno nel tentativo di
distoglierlo da una sempre viva ma insidiosa astuzia, i presupposti
genealogici per divenire un eroe di grande rilievo non mancano di certo,
né quelli per concludere amaramente e sfortunatamente una lunga storia
fatta di semplicità d'animo e d'imprese memorabili.
Obbligato per una qualche ragione ad abbandonare la città natale, fu
costretto a riparare ad Argo (secondo altri, a Tirinto,
dove regnava Preto. Qui la
regina Antea (da altre fonti chiamata Stenebea),
invaghitasi di lui, non riuscendo a sedurlo, data la sua casta
innocenza, cercò di vendicare le proprie ambizioni deluse accusandolo
calunniosamnete di fronte al marito e chiedendone la morte.
Preto, non osando condannare il giovane e temendo un castigo divino,
lo inviò in Licia al re Jobate, suo suocero, con una missiva
segreta in
cui si chiedeva che il suo latore fosse ucciso.
Anche Jobate non volle procedere direttamente all'esecuzione di un
giovane così semplice e così ignaro del proprio destino e decise di
sottoporlo ad un'impresa ritenuta ben al di sopra delle sue
possibilità, affinché per lui non vi fosse scampo.
Come Polidette aveva imposto a Perseo di uccidere Medusa, Jobate
ordinò a Bellerofonte di
"di dar morte all'indomita Chimera.
Era il mostro d'origine divina,
lion la testa, il petto capra, e drago
la coda; e dalla bocca orrende vampe
vomitava di foco. E nondimeno,
col favor degli Dei, l'eroe la spense.
(Iliade, versione di
Vincenzo Monti, VI.221-226)
Ancora una volta un giovane eroe si
trova a dover fronteggiare una creatura terribile e disumana: la
Chimera [F1] , che in quel periodo stava seminando morte e disperazione tra le
genti della Licia, era ritenuta figlia di Tifone, mostro con ben
cento teste di drago. Tra le molte rappresentazioni consegnateci
dall'antichità, è da ricordare la splendida Chimera d'Arezzo [E1] ,
capolavoro dell'arte etrusca, scultura bronzea conservata presso il
Museo Archeologico di Firenze
Secondo alcune fonti, Bellerofonte riuscì a vincere il mostro
cavalcando il solito Pegaso, cavallo alato nato dal sangue di Medusa,
come abbiamo visto in precedenza.
Da notare come, ancora una volta,
differenti miti finiscano per intercciarsi quasi di continuo,
riproducendo non solo gli stessi meccanismi narrativi, ma mutuando gli
uni dagli altri circostanze salienti e personaggi, andando così a
costituire un vero e proprio continuum, asistematico e certo non
organico, intrinsecamente privo di vera coerenza narrativa (diverse
fonti portano per quasi ogni leggenda versioni differenti), ma
culturalmente unitario e consistente.
Tornando a Bellerofonte, inaspettatamente superata la prova della
Chimera, venne inviato da Jobate, sempre intenzionato a procurarne la
morte, verso nuove avventure: combattè vittoriosamente, sempre solo, ma
armato della propria invincibilità, contro il vicino popolo dei Solimi,
contro le Amazzoni [E1] [F1] , terribili donne dai costumi guerrieri, infine contro
i migliori dei suoi stessi soldati. Vista l'impossibilità di sconfiggere
il giovane in battaglia, il re decise di concedergli in sposa la bella
figlia.
Meno roseo è il finale della storia tramandatoci dalla tradizione:
secondo Omero,
venne in odio agli Dei Bellerofonte,
solo e consunto da tristezza errava
pe 'l campo Aleio l'infelice, e l'orme
dei viventi fuggia [...]
(Iliade, versione di Vincenzo
Monti, VI.248-251).
Cosa abbia potuto turbare la suprema pace degli dei nel comportamento
di un giovane così costumato non è dato sapere con chiarezza: secondo
alcuni, egli commise il temerario gesto di approssimarsi troppo
all'Olimpo in sella al suo Pegaso.
Dal punto di vista didattico, visti i forti elementi di contatto
intercorrenti tra il mito di Perseo e quello di Bellerofonte, potrebbe
risultare utile un confronto diretto tra di essi, da condurre
direttamente su di uno dei testi reperibili in rete, tradotto nella
lingua che più si ritiene adatta. In questa prospettiva, gli alunni
dovrebbero essere guidati nella comparazione da una serie di quesiti,
preferibilmente formulati con risposte aperte, che consentano di porre
in evidenza le profonde e nette analogie, sia sul piano dei contenuti,
sia su quello dei meccanismi narrativi, che risultano quasi
perfettamente sovrapponibili.
Nel portare avanti tale attività, è
opportuno tenere presente che il mito è, sempre e comunque, fortemente
variabile nei suoi contenuti a seconda delle fonti che si scelgono. Come
si sarà potuto constatare, anche i nomi dei personaggi variano (e non di
poco) da un autore ad un altro. Tuttavia, tutta questa apparente
mutabilità non deve impensierire più del necessario chi desideri
realizzare una consapevole applicazione didattica del mito, a qualsiasi
livello di elaborazione e con studenti di qualunque età: essendo la
materia in ogni caso frutto dell'umana fantasia, non vi sono dati esatti
e dati errati, ma solo versioni più note e conosciute, di fianco ad
altre rimaste nell'ombra per secoli. Il confronto ciritico tra di esse è
di una ricchezza didattica inestimabile, nella misura in cui viene fatto
esercitare in forma attiva ai discenti, piuttosto che essere imposto
loro come dato di fatto da apprendere meccanicamente.