Fino agli inizi degli anni
’80 si era convinti che l’energia nucleare[E] [E]
[ES] potesse
essere una fonte inesauribile e senza rischi di energia. Le centrali atomiche
inoltre facevano diminuire per i paesi utilizzatori la dipendenza dal petrolio
come fonte
di energia[ES]; ma ci si è presto resi
conto che invece le centrali nucleari non sono così sicure.
Già nel ’79 in Pennsylvania, a causa di un guasto
imprevisto ad una centrale nucleare, si sviluppò una forte nube radioattiva per
cui si prevedeva lo sgombero di tutta la popolazione nel raggio di almeno 300
Km dalla centrale. Nell’aprile del 1986
a Chernobyl, [ES] in Ucraina
(repubblica dell’ex-U.R.S.S.) in una centrale nucleare della potenza di mille
megawatt, uno dei quattro reattori nucleari si è guastato. Si è così formata
una nube radioattiva che ha girovagato in tutto il mondo, rendendo radioattiva l’acqua,
la terra, i vegetali e il latte. Ai notevoli danni ecologici ed economici
si aggiunge il danno che gli isotopi radioattivi introdotti negli organismi
umani in vario modo, arrecheranno agli esseri viventi in futuro.
Le centrali nucleari pongono, oltre a quello della
sicurezza, altri due problemi: lo
smaltimento delle scorie radioattive [E] e l’inquinamento termico. Il
materiale radioattivo usato nelle centrali nucleari, col tempo diviene meno
attivo e deve essere sostituito. Il materiale scartato è ancora radioattivo e
pericoloso. Nei solo Stati Uniti vi sono già decine di migliaia di tonnellate
di materiale radioattivo non più utilizzabile e da eliminare.
In genere lo si mette in cassoni di cemento che
vengono sotterrati in luogo sicuro o gettati nelle profondità marine[E]. Ma col tempo questi cassoni possono essere
danneggiati e quindi, prima o poi, queste sostanze radioattive possono uscire.
Infatti è già successo di perdite
di materiale radioattivo[E] vicino al lago
Erie, negli Stati Uniti: il lago serve per l’approvvigionamddento idrico dei
dintorni. In Francia, vicino a Cherbourg, il materiale radioattivo di un
serbatoio è filtrato nella terra: nel mare di Normandia si trovano tracce di
radioattività tre volte superiori a quelli accettabili ed i granchi cominciano
a morire a causa degli effetti di queste radiazioni.
L’inquinamento termico delle acque è certo un
problema comune anche ad altri tipi di attività umane potenzialmente meno
pericolose. Infatti le centrali nucleari[E] abbisognano di una grande quantità d’acqua che
prelevano dai fiumi o dai laghi (sono sempre localizzate vicino a fonti di
approvvigionamento idrico). Quest’acqua viene riscaldata nei vari processi e
poi viene riversata nei fiumi che a valle della centrale hanno quindi una
temperatura superiore. Tutto ciò ha naturalmente effetti negativi sulla flora e
sulla fauna di quei delicati ecosistemi naturali.
Le esplosioni nucleari hanno quattro tipi di effetti [ES1]:
immediati, ritardati, somatici e genetici. Tra gli effetti immediati ci sono la
completa distruzione di ogni cosa entro un determinato raggio dal punto
dell’esplosione. Questa distruzione è dovuta alle enormi temperature raggiunte,
all’onda d’urto della esplosione, alla fortissima esposizione alle radiazioni.
Gli effetti ritardati sono dovuti essenzialmente
agli isotopi radioattivi prodotti nell’esplosione. Questi isotopi impregnano il
suolo per anni (l’atollo di Bikini, dove furono fatte esplodere due bombe
atomiche sperimentali nel 1946, è inabitabile per le radiazioni ancora oggi
presenti) ,sono dilavati nei fiumi e nel mare e quindi uccidono i pesci o
danneggiano chi mangia questi pesci. Il fungo radioattivo della esplosione
viene disperso dal vento in tutta l’atmosfera e quindi dopo giorni dalla
esplosione, nell’aria o sulla terra; dalla esplosione di un ordigno nucleare si
ha l’aumento della radioattività dell’aria in tutto il mondo.
Le grandi potenze nucleari (U.S.A., Russia ed
Inghilterra) si sono impegnate a non far più ricorso alle armi nucleari, ma il
pericolo è sempre in agguato poiché la quantità di bombe atomiche dei vari tipi
conservata nei vari arsenali militari è più che sufficiente a distruggere completamente
la vita sul nostro pianeta, e per sempre.
Le radiazioni emesse da un radioisotopo possono
danneggiare le cellule viventi e quindi gli organismi viventi. I danni possono
essere di due tipi: a carico del soggetto esposto alle radiazioni e a carico
anche dei suoi discendenti. L’esposizione alle radiazioni può causare
l’alterazione di composti organici, proteine, enzimi, acidi nucleici; i tessuti
più esposti agli effetti delle radiazioni sono quelli a più rapido sviluppo
come quelli delle gonadi (testicoli e ovaie), del midollo osseo e del feto.
Anche i tessuti tumorali, che sono caratterizzati da
un rapido sviluppo, sono danneggiati dalle radiazioni; a questa azione
distruggitrice delle radiazioni è dovuto l’uso dei raggi X e g nella cura di alcuni tumori.
Per quel che riguarda gli effetti genetici[E], cioè a carico dei discendenti, le radiazioni
possono alterare i cromosomi, per cui le cellule figlie non sono più uguali
alle cellule madri: i figli delle persone molto esposte alle radiazioni possono
nascere con handicap fisici o cerebrali.
L’esposizione può essere a volte anche
inconsapevole, anche se spesso chi lavora con sostanze radioattive dovrebbe
essere a conoscenza dei rischi e delle opportune misure di sicurezza da
adottare.
Le esplosioni atomiche e i gravi incidenti alle
centrali nucleari anche distanti dai centri abitati, o all’altro capo
dell’emisfero, causano la formazione di una notevolissima quantità di isotopi
radioattivi che vengono dispersi nell’atmosfera e prima o poi capitano nei
nostri polmoni o nei nostri cibi. Per esempio nelle esplosioni nucleari c’è la
formazione dell’isotopo 131I dello iodio e 90Sr dello
stronzio; dato che lo stronzio ha proprietà molto simili a quelle del calcio e
che le nostre ossa scambiano continuamente il loro calcio con quello in
circolazione, lo stronzio radioattivo può venir fissato nelle nostre ossa e di
lì mitragliare continuamente il midollo osseo e causare la leucemia, cioè un
abnorme aumento dei globuli bianchi del sangue. Lo iodio radioattivo si fissa
invece nella tiroide.